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lunedì 13 giugno 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #4

Parallelepipedo
di esagitate e buone azioni

Caterina l’avevo conosciuta per sbaglio. Una di quelle coincidenze che di solito succedono nei film o nei pessimi libri degli esordienti...

Ero a un concerto dei miei amatissimi Car Bonx, mi stavo sorbendo l'anonimo gruppo spalla con l’unico intento di avvicinarmi al palco per mantenere la posizione. Niente di eroico, il pubblico, causa concomitante finale di non so che torneo di pallone, era scarso.

C’era una tipa davanti a me che saltava. Contenta. Io ero pure un po’ infastidito, sapete elencare 3 cose più fastidiose della gioia altrui mentre ti rompi le scatole? No. Esattamente. E quindi un po’ guardavo quei disperati sul palco che, era da ammetterlo, ce la mettevano tutta per scaldare il pubblico, un po’ guardavo questa che saltava, augurandole cose carine, tipo una storta.

Ad un certo punto, a questo forsennata volò via qualcosa dalla borsa. Guardai pigramente in terra, giusto per curiosità, per cercare distrazione, col piglio e il sentimento del Dr. Spock quando guarda calamità e commenta “affascinante” alzando il sopracciglio vulcaniano.

L’oggetto caduto era una sorta di parallelepipedo sformato. Sembrava pelosetto e, dal modo in cui era caduto, si intuiva pesante. Guardai lei, che saltava, e guardai quel coso, immobile a terra. Mi guardai attorno per capire se altri si fossero resi conto dell’accaduto. Niente. Aspettai che qualcuno, con un po’ più di vitalità in corpo, si chinasse a raccoglierlo. Nessuno si mosse.

Raccolsi l’affare pelosetto. Era un portafoglio. Uno di quelli da donna che dentro sembra ci tengano i mattoni, in pelle scamosciata, non particolarmente bello ed evidentemente strausato. Soppesandolo bussai sulla spalla della salterina dicendo nel frattempo: “Oh! T’è caduto questo…”

Dicendolo, m’immaginai già il suo sguardo carico di disapprovazione che mi accusava di averglielo rubato e mi vedevo portato via da poliziotti giganteschi che prima di arrestarmi mi malmenavano. Non feci in tempo a preoccuparmi, lei prese il portafoglio di corsa, guardandomi di sfuggita attraverso le ciocche bionde che le cadevano sugli occhi, farfugliò qualcosa che interpretai come un “grazie”, armeggiò con la borsa e riprese a saltellare.

“Per fortuna è andata liscia” mi dissi “Non ho dovuto fare la fatica di articolare parole o accendere il cervello. Ora posso riprendere ad annoiarmi in santa pace e attendere”.

Poco dopo la musica s’interruppe, i trogloditi sul palco salutarono e se ne andarono via. La tipa si girò attaccando bottone. Cercai vie di fuga onorevoli, tipo scorgere Nib che affondava nelle sabbie mobili o bimbi imprigionati in un incendio da dover salvare. Niente.

“Dai, ti offro una birra!” Disse. “Ma no, grazie” Risposi d’istinto. “Ma mi hai salvato praticamente la vita, dai, una birra sola, devo sdebitarmi!”. Cedetti, accorgendomi in quel momento che il sorriso della tipa mi piaceva. E mi feci offrire una birra. Si chiamava Marta, chiacchierammo un po’, ci divertimmo durante il concerto vero e proprio, ci scambiammo i numeri di telefono e poi tutti a casa a praticare l'antichissimo gioco dell’uva.

Capitolo 5

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