Citazione

lunedì 26 dicembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #31

Amiche
di frappuccini, carriera e fughe di cervelli

Lucrezia e Sonya si erano conosciute sui banchi di scuola della loro regione depressa. Poi si erano trasferite nella Grande Città per studiare. Presa la laurea avevano tentato la carta dell'estero. Un anno a Londra luogo dove, secondo la vulgata, il mondo si sarebbe accorto di loro e le avrebbe accompagnate al meritato successo professionale.

All’estero le stavano aspettando con un tappeto rosso, pronti a dar loro quei riconoscimenti che in patria venivano negati da quell’ottusità mista a invidia di cui accusiamo chi ci è più vicino.

Come invece accade nel mondo fuori dai blog e dai racconti degli amici degli amici, si erano trovate a dividere un appartamento con della gente allucinante e raschiata via dalla muffa delle rispettive nazioni d'origine. Dopo una lunga serie di vicissitudini, i loro sogni professionali avevano trovato sbocco nel settore commerciale: una faceva la commessa per una linea di vestiti per galline con scarsa autostima in cerca di manzi in discoteca, l'altra serviva bevande per hipster privi del senso del gusto in un noto pseudo bar in franchising.

Il fatto che non fossero nascoste in una cucina ad abbrustolire carne avariata su una piastra o a lavare i piatti era dovuto essenzialmente alla più meritocratica delle caratteristiche: erano carine. Di conseguenza al contatto col pubblico avrebbero attirato (o almeno non allontanato) clienti.

Tutto questo fu vissuto in modo traumatico e doloroso, come solo l’atterraggio al duro suolo della realtà può essere. Fortunatamente, erano sveglie abbastanza da capire che il gioco non valeva la candela e nel giro di un paio d’anni, erano tornate entro i patri confini dove, dopo aver frequentato un corso organizzato dall'Università, vinsero uno stage presso la multinazionale che pagava i pasti a l'Idiota.

In quanto stagiste neo acquisite avevano immediatamente catalizzato l'interesse del coglione che, alla prima occasione utile, le aveva convinte a partecipare ad un party indimenticabile.

Prima che me ne scordi, un’altra caratteristica sgradevole de l’Idiota era il suo assoluto e cieco entusiasmo per tutto ciò che ruotava attorno a lui. Il bar dove prendeva il caffè era bellissimo e il caffè il migliore della città, le sue feste erano sempre incredibili e indimenticabili, i ristoranti che frequentava i migliori, così come i vestiti che comprava, la gente che frequentava, la sua automobile, persino il marciapiede dove camminava era, in qualche modo, più esclusivo degli altri.

Tornando invece a Sonya e Lucrezia, ormai abituate ad una lunga convivenza e a una vita di sogni infranti, scelte coraggiose e condivisioni degli spazi, dividevano una stanza doppia di un grosso appartamento seminterrato abitato da studentesse; ne contammo almeno 5 diverse, cosa che intrigò non poco Nib.

C'è una cosa che può urtare profondamente uno che si alza tutte le mattine per andare a tirare la carretta: condividere gli spazi con degli studenti. Non è per disprezzo spicciolo, il problema fondamentale sono i ritmi diversi di vita che, a meno che non si tratti di studenti zombie, rendono la convivenza inconciliabile. E fu questo il motivo per cui Lucrezia e Sonya iniziarono a passare parecchio tempo a casa da noi.

Nib sembrava estremamente a suo agio, io, per i primi tempi, non vivevo propriamente benissimo la cosa. Non sapevo cosa volevo, non capivo cosa e soprattutto perché lo facessi. Mi lasciavo portare dalla corrente.

Inoltre, il rapporto fra Lucrezia e Sonya era strano. Erano molto amiche, sopravvissute a scelte difficili e a esperienze importanti ma contemporaneamente erano in competizione. Cercavano costantemente di primeggiare l'una sull'altra. Anche io e Nib rientravamo in questa sorta assurda competizione.

Lucrezia era, in fondo, una ragazza estremamente confusa, fragile e a tratti instabile nascosta sotto una maschera da donna-smaliziata-che-non-deve-chiedere-mai. Ed era bellissima. Davvero. Anche troppo, lo ammetto. Di quelle bellezze così estreme che viste sulle copertine delle riviste hanno un senso ma se te le vedi vicino, in giro per casa, ti viene il sospetto di essere di troppo.

Poi c’era un altro problema, a conti fatti era una vera e propria convivenza. In quattro. Di cui due donne. Con un bagno solo. E noi che eravamo poco più addomesticati di due animali da cortile.

Se prima la vivevo male per motivi miei, poi iniziai a soffrire i limiti ambientali. Non penso di essere una brutta persona se penso che ognuno di noi ha diritto ai suoi spazi. Ritrovarmi a non potere reclamare il mio angolo di solitudine per sfogarmi, riflettere o semplicemente annoiarmi quando ne avevo bisogno divenne sempre di più un problema.

CAPITOLO 32

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lunedì 19 dicembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #30

Candido
di disagio, sportelli e lacrime

“Ti ha dato fastidio?”
“No. Nemmeno ricordo come si chiamava”
“Lucrezia”
“Ah, vero... mi è rimasta più impressa Sonya. Più intraprendente...”
“Più intraprendente?”
“Non hai idea, appena siamo usciti dalla casa di quel coglione...”
“No, no, fermo lì. Già il fatto di essere stato con una su cui hai messo le mani addosso mi dà... mi dà... come un senso di sbagliato... di sordido...”
“Il mio fratellino candido”
“Candido un cazzo! Se ci penso non sono a mio agio, tutto qui”
“Però immagino che quando ti ha messo le mani nelle mutande non ti ha creato tanto disagio”
“… non hai tutti i torti”
“Però è davvero bellina, Lucrezia. Mi dispiace ricordarmi così poco”
“Mi ha detto di essersi addormentata subito”
“Mi pare di sì… non ricordo nemmeno di averla spogliata…”
“Ma allora lo fai apposta?”
“Ok, ok, ok. Basta poco per farti innamorare…”
“Non sono innamorato ma di sicuro non mi lascia indifferente!”
“Con quelle tette... quelle lentigini... e quel culo...”
“Dai, cazzo, piantala! Cioè, hai ragione, c'è anche quello, ma è più quel fare così...”
“… da troia?”
“No, avrei detto da gatta”
“C’è differenza?”
“E su! Semplicemente non è ipocrita. È tutto il contrario di Caterina, insomma”
“Caterina è una suora cagna ipocrita?”
“Cagna?”
“Beh, se l'altra che è il contrario è gatta...”
“Sai che forse hanno ragione i ricercatori di Harward?”
“Eh?”
“Il primo figlio è sempre il più deficiente!”
“E ti servivano i ricercatori di Harward? No, ma seriamente, che vuoi dire con la cosa di Caterina? È successo qualcosa ieri?”
“Il delirio lo ricordi?”
“Vagamente, ricordo che stavo per scambiarmi la saliva con quella sbagliata. Ricordo di aver insultato l'Idiota, ricordo che lui se l'è presa con Caterina. Poi quelle mi hanno portato via, ma il resto non vuoi che te lo racconti”
“Esatto”

Gli raccontai quindi del proseguo della festa.

“Fammi indovinare, a questo punto lei ti ha sbottonato i pantaloni, ha visto un geco ed è andata via?”
“Sei veramente il re dei dementi... dammi 5 minuti e trovo un istituto che potrebbe aiutarti…”
“No, ti prego! Non mandarmi via! Potrebbero chiudermi in una stanza di un metro quadro e abusare di me nei giorni dispari!”
“Non penso esista nessuno così disperato da abusare di te!”
“Beh, Sonya e Lucrezia direbbero il contrario”
“Eddai!!!”
“eheheh Insomma, l'hai abbracciata e...?”
“E ha smesso di piangere”
“E...?”
“E ha tirato su il viso e ci siamo guardati”
“E...?”
“L'ho baciata”
“Grandissimo!!! Lingua in bocca e mano sulla tetta!!! Tu mi riempi d'orgoglio!”
“Non sono stato proprio così diretto…”
“Vabbè, bravo uguale!!”
“Bravo una sega! L’ha presa male. Malissimo. Mi ha spinto via... per quanto si può spingere via uno seduto in macchina e si è rimessa a piangere. Ho provato a riconsolarla ma si è messa a urlare come una matta ‘NON TOCCARMI!!! VAI VIAAAA!!!!’”
“Ma non eravate in macchina nostra?”
“Sì. Infatti la cosa, oltre ad avermi stizzito un po', mi ha messo a disagio. Non sapevo se farle notare che, in realtà, era lei a doversene andare”
“E poi?”
“E poi niente. Sono uscito dalla macchina, mi sono seduto sul cofano e ho aspettato si calmasse”
“Hai aspettato si calmasse…” Nib aveva gli occhi al cielo.
“Sì, ho giocato al solitario sul telefono. Mi ha aiutato a calmarmi, a non sentirmi un cretino e a non considerare lei una matta”
“Hai giocato al solitario…” Nib mise le mani sul viso.
“Sì, sei sordo? Ho giocato al solitario!”
“Quella che definisci la donna della tua vita è in macchina tua, che piange a causa sua anche se pensa sia per colpa tua e tu giochi al solitario seduto sul cofano della tua macchina!?”
“Ho fatto una cazzata?”
“No. Se tu avessi fatto una cazzata non ci sarebbero problemi. Ne hai fatte decine e via via più gravi. Questa cosa amplia di parecchio la portata del termine ‘cazzata’”
“Che avrei dovuto fare secondo te?”
“Continuare a baciarla. Tenerla stretta. Avrebbe funzionato. Ancora prima avresti dovuto dare un cartone all'Idiota e abbracciare Caterina davanti a tutti”
“Sì, e magari poi fuggire a cavallo verso il tramonto…”
“A saper andare a cavallo…”
“La vita non è mica un film…”
“ogni tanto dovrebbe esserlo…”

Restammo un po' in silenzio.

“Ma insomma, poi?”
“Poi mi ha fatto cenno di rientrare”
“Tu ovviamente sei rientrato subito?”
“Sì, ho lasciato pure una partita a metà”
“E cosa ti ha detto?”
“Che mi perdonava, che un po' mi capiva”
“Un po' ti capiva…”
“A me ha fatto più incazzare la storia che mi perdonava”
“Ce n’è abbastanza per rimettere su il tribunale a Norimberga”
“Ma non è tutto. Mentre mi diceva sta stronzata, le suona il telefono”
“Non mi dire che...”
“Sì. E sai cosa risponde lei?”
“Non me lo dire...”
“Amore, sì, scusami, ora torno”

Nib mollò una decina di bestemmie

“È quello che ho detto anch’io. E non l'ha presa bene”
“LEI?!!?! LEI non l'ha presa bene?!?”
“Ha detto ‘e ora bestemmi pure?’”
“Non so se voglio che continui...”
“Le ho anche detto che allora si meritava di essere trattata in quel modo”
“Ah, ti sei tolto un sassolino dalla scarpa...”
“Le ho anche fatto notare che a sua volta stava trattando l'unico che cercava di starle vicino e volerle bene gratis come un criminale. E si è incazzata ancora di più”
“Strano, di solito sentirsi rinfacciare le cose fa piacere…”
“E beh, dai, ho fatto male?”
“... Lei che ha detto?”
“Ha detto che come tutti gli altri voglio solo scoparmela, che ha sbagliato a dirmi le cose che mi aveva detto, a darmi la confidenza che mi ha dato e bla bla bla”
“Direi che sì, hai fatto male… poi che è successo?”
“E poi ha aperto lo sportello ed è uscita dalla macchina”
“Finita qui?”
“No.”
“Ti pareva...”
“Ho aperto lo sportello e con voce serissima le ho detto ‘Caterina, pensa bene alle scelte che fai’ poi ho richiuso e sono tornato a casa sfranto”
“La devi smettere con questo vizio di voler avere l’ultima parola. Possibile che tu dica o faccia solo stronzate?” stava ridendo
“Che ti devo dire… lì per lì… poi sono tornato a casa furente di rabbia”
“E hai trovato Lucrezia”
“No, lei l'ho trovata la mattina”
“Penso che ti farà bene frequentarla un po'”
“A te non crea problemi?”
“Affatto”
“Sicuro?”
“Dai, eravamo semplicemente tutti ubriachi ma non abbiamo fatto niente di male. E non penso che Caterina sia una cagna ipocrita... nel senso non nell'accezione normale. Se Lucrezia è gatto, Caterina è cane, quello intendevo... e no, non penso sia ipocrita, semplicemente mi sa di parecchio incasinata. La cosa importante è che tu non ti faccia trascinare verso il fondo. Lucrezia ti farà bene”
“Lo hai già detto. Ripeti sempre le stesse cose, come i vecchi”

“Io sono quello vecchio”

CAPITOLO 31

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lunedì 12 dicembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #29

Poeta
di biscotti e imbarazzo

La mattina mi svegliai di pessimo umore.
Normalmente appena sveglio non sono il massimo della civiltà. Appena sveglio non vorrei mai essermi svegliato. Appena sveglio maledico il sole che girando ha fatto capolino. Appena sveglio maledico il gallo, le sveglie, gli orologi. Appena sveglio odio tutti, soprattutto chi cerca di farmi parlare, chi vuole interagire, chi cerca di ricordarmi che fuori di me c’è un mondo.

Il bello di vivere con tuo fratello è questo. Sei con uno che se non è identico a te almeno ti conosce dalla nascita ed evita di romperti le scatole appena sveglio.

Quella mattina ero di umore peggiore del solito.

Mi alzai dal letto, mi sistemai i calzoni del pigiama, misi le ciabatte e andai in bagno. Una regola mia e di Nib in casa è che se siamo io e lui, non si tira lo sciacquone se uno dei due sta dormendo. In fondo è solo acqua sporca. Meglio un po’ di acqua sporca nel cesso che essere svegliati prima del dovuto. Feci quello che dovevo fare, lasciando tutto lì. Uscii dal bagno con calma, grattandomi i gioielli di famiglia. Non fate finta di niente, è un gesto irresistibile per qualsiasi maschio, specie appena alzati.

Strusciando le ciabatte, feci per entrare in cucina. Sulla soglia, mi cadde addosso qualcosa di morbido e caldo mentre alle mie orecchie arrivavano frequenze fuori posto. Avete presente? In un contesto che conoscete bene non fate più attenzione ai rumori. Ad esempio, nel traffico siete abituati a sentire i soliti rumori: motori, clacson, sgommate. Non prestate particolare attenzione. Non li sentite più. Ma immaginate di accendere il motore e sentire un muggito. Ecco. Quello lo sentireste per bene, vi arriverebbe come una nota stonata.

Come mi succede quando sono ancora assonato, avevo il cervello più lento del normale. Vedevo il mondo al ralenti. E mentre le cose mi accadevano riuscivo a speculare, a farmi domande e a rispondermi come se stessi guardando la vita di qualcun altro alla moviola. Le frequenze fuori posto erano una voce femminile che diceva una cosa come “hey maschiaccio” e la cosa morbida su cui ero impattato era un petto… o meglio… era proprio un bel paio di tette che spuntava da una camicia aperta. Era una camicia di Nib. La conoscevo. Gliel’avevo regalata io. Un po’ sopra le tette, nascosta da cappelli biondi spettinati, c'era una bocca con un’espressione sorpresa che si stava trasformando in un sorriso mascalzone.

Quel sorriso lo riconobbi: era una delle conquiste serali di Nib. A parte la camicia, evidentemente troppo grande, era nuda e con un pacco di biscotti in mano. Davvero un bello spettacolo.
Non mi venne niente di meglio da dire se non:

“Devo tirare l’acqua del cesso”

 Mi girai, entrai in bagno, tirai l’acqua e tornai indietro. Lei era sempre lì.

“Sei un poeta, quindi”

Ignorai la provocazione.

“E tu non hai freddo?”

Anche lei ignorò la mia. Provai a toglierla dall’imbarazzo: le dissi che poteva tornare da mio fratello.

“E se restassi a farmi scaldare da te? Mi sembri contento all'idea” lo disse ammiccando con aria maliziosa verso gli evidenti sommovimenti che mi animavano il cavallo dei calzoni.

“Andiamo a mangiare quei biscotti di là”

La presi per mano e la portai in camera.

E sì. Mangiammo anche i biscotti. E ci scaldammo nella maniera più antica, strofinandoci l’uno sull’altra come se fossimo dei bastoncini per accendere il fuoco.

Fu una cosa decisamente meccanica, almeno da parte mia. Meccanica e imbarazzata. Più imbarazzata che meccanica.

Non sono uno da sesso occasionale, senza un benché minimo coinvolgimento emotivo mi manca ogni curiosità di scoperta. Con Lucrezia feci quello che dovevo, senza remore e timidezza o particolare trasporto. Non mentirò dicendo che il suo fare strafottente e malizioso non avesse fatto colpo e che lì per lì non fosse divertente. Però poi divenne imbarazzante. A un certo punto mi ritrovai a pensare al fatto che avesse passato la nottata con Nib. Ripensai alla notte con Caterina e questo mi fece ricordare perché m’ero svegliato di cattivo umore. A questo, per essere davvero onesti, andrebbe anche aggiunta quell'invidia che provavo da sempre per Nib. Io trattato a merda, lui ubriaco che si fa riportare a casa da una maiala che resta a rimboccargli le coperte.

Lei sembrò non accorgersi particolarmente di tutto questo mio turbamento. Potrei dire che fu soddisfatta di quello che trovò anche se non era proprio quello che cercava. Ma non lo dirò, so bene quanto è facile far credere a un maschio di essere il più grande macho sulla faccia della terra.
Mi disse che capita a tutti di fare cilecca ma non con lei.

“Beh, vaffanculo, ora sì che va meglio”
“Grazie anche a te!”

Poi si girò su un fianco e si mise a dormire io mi rimisi i miei calzoni di pigiama, la mia maglietta e tornai in cucina, col pacco di biscotti in mano, deciso a fare colazione.

In cucina trovai Nib e una mora. Riconobbi anche lei: era sempre una di quelle della sera prima. Pensai per un momento alla nottata intensa di mio fratello e mi sentii come uno sciacallo che banchetta con gli avanzi di una preda uccisa da qualche fiera più grande. Dall'imbarazzo nei loro occhi, mi resi anche conto di aver interrotto qualcosa. Salutai, lasciai i biscotti sul tavolo e tornai in camera sbuffando.

Lucrezia ora era sotto le coperte, rannicchiata. Appena mi sedetti sul letto si girò e mi cinse la vita.

“Con tuo fratello non ho fatto niente… mi sono addormentata sul divano appena arrivati qui… poi gli ho rubato una camicia e mi sono messa più comoda” disse d'un tratto con una voce da gatta che fa la fusa e gli occhi chiusi “e mi sa che è andata bene così…ieri eri proprio carino… anche se m’ignoravi…”

Ieri. Dedussi che in pigiama, spettinato, di umore ritorto e con l’alito degno di un gatto morto causa indigestione da topi e marci perdevo punti.

Che non avesse fatto nulla con mio fratello mi migliorò l’umore, immediatamente, mentre mi mettevo più comodo, mi dissi che Lucrezia non era quello che cercavo, che volevo Caterina e non una ragazza di quel tipo, sebbene trovassi estremamente sexy ed intrigante, oltre alla sua voce, il suo modo di muoversi, guardarmi e accoccolarsi attorno a me.


Non voglio descrivermi migliore di quello che sono stato (o che sono), perché i pensieri sono più lunghi da leggere e scrivere che a passar per la testa. Dall'esterno si sarebbe detto che mi arresi subito e che non feci nulla per dissuadere Lucrezia. E in fondo è così, i pensieri contano poco se non servono a darci la forza per opporci a quello che sentiamo di non dover fare. I pensieri che m'invitavano alla cautela sfumarono nel “io intanto me la godo, pareggiamo i conti... alla faccia di Caterina e di Nib ubriaco che si fa riportare a casa da due maiale che restano a rimboccargli le coperte!”

CAPITOLO 30

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lunedì 5 dicembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #28

Automobile
di risse a Gene Simmons

Scesi le scale a piedi, sentendo in lontananza i vari “non-ti-preoccupare son-cose-che-succedono alla-fine-siam-stati-bene-si-risolve-tutto” di circostanza di quei vigliacchi che si accomiatavano dall’Idiota.

Mi sentivo ingiustificatamente sicuro di me. In effetti, più riflettevo sull’accaduto, più mi sembrava di aver gestito bene la situazione. Nib aveva fatto il Nib (me lo avrebbe fatto notare sicuramente a casa). Io avevo evitato che venisse malmenato (cosa che gli avrei rinfacciato). Lui mi aveva evitato di insultare l’idiota anticipandomi e risparmiandomi problemi con Caterina che era riuscita a tirargli fuori il peggio davanti a testimoni tutto da sola. Mi sentivo Rocky dopo la corsa in salita sulla scalinata.

Nella mente già mi figuravo i pettegolezzi.

“Caterina ha lasciato l’Idiota”
“Beh, puoi biasimarla? Ti ricordi come l’ha trattata davanti a tutti?”
“Sì è stato proprio uno stronzo… dovrebbe ringraziarla… io non lo avrei semplicemente lasciato… gli avrei almeno fatto dei danni o lo avrei sputtanato… magari lo avrei fatto pestare di brutto!”
“Beh, ma tu non lo avresti nemmeno deriso davanti a tutti”
“Forse hai ragione… però… ma te li ricordi quei calzoni?”
“Ma guarda che costano un sacco!”
“Ok, ma facevano schifo, poi addosso a lui…”
“Vero… in effetti tu non avresti mai sopportato uno vestito in quel modo ridicolo!”
“Già, vedi? Ha fatto proprio bene a lasciarlo… e poi ora sembra così felice”
“Beh, lui la tratta come merita, la invidio proprio”
“Anch’io, non avrei mai pensato…”
“Ma nemmeno lei!”
“Ahahahahha ma allora è vero che si sono incontrati per caso in giro?”
“Così mi hanno raccontato!”
“Che storia!”
Eccetera eccetera.

Immerso in questi bei voli pindarici della mente scesi le scale e arrivai al portone. Lo aprii. Uscii. C’era Caterina accucciata, con la schiena poggiata al muro del palazzo che piangeva. Il viso nelle mani.

“Ti va di parlare?”
“Vai via!”
“Io me ne vado, ma sappi che ora arrivano Lorenzo, Bruno, Beatrice e quello inquietante senza sopracciglia…”
Un accenno di sorriso
“Oliviero?”
“Lui!”
“Perché sei solo?”
“Sono andati via quasi tutti e i reduci si sono attardati in salamelecchi al padrone di casa”

Parlando si era alzata. Aveva il trucco degli occhi colato e impiastrato su tutta la faccia.

“Sembri uno dei Kiss dopo una rissa”

Sorrise.

“Cretino”

Risi anch’io porgendole un fazzoletto.

“Se vieni in macchina ho le salviette umide e uno specchio”

Ci avviammo svelti verso la macchina, girato l’angolo sentimmo il portone aprirsi e l’allegra compagnia uscire. Caterina accelerò il passo.

Avevo trovato posto un po’ distante, mentre raggiungevo il veicolo mi resi conto che mio fratello era scomparso lasciandomi le chiavi. Confidai che, alla bisogna, mi avrebbe chiamato.

Camminammo senza parlare, guardando avanti, a passo svelto. Aprii la macchina, ci sedemmo e chiudemmo le portiere. Aprii il bauletto e le passai le salviette, le prese e abbassò il parasole.
“Puoi accendere la luce?”
“Sì, scusa…” e accesi.

“Oh Madonna!” esclamò e si mise a ridere
“Come hai fatto a rimanere serio? Sembro davvero Gene Simmons dopo una rissa!”
“Per me sei carina anche conciata così… almeno più Gene”

Non rispose, fece finta di nulla, restò concentrata a eliminare le tracce di trucco dal viso.

“Stai un po’ meglio?”
“No… e non mi ci far pensare che piango di nuovo…” e si mise a piangere. Questa volta appoggiata sulla mia spalla.

L’improvvisa vicinanza mi destabilizzò. Stavo andando bene fino a quel momento, mi sentivo di essere stato bravo a rispettare spazi e ruoli. Ma così era un casino, entrai in uno dei miei loop. Cosa avrei dovuto fare? Maledissi di non essere Nib, lui non avrebbe pensato, avrebbe agito, fatto la cosa giusta, l’azione perfetta. Io no, io ero lì a pensare che abbracciandola sarei passato per quello che se ne approfittava, restando fermo mi avrebbe preso per indifferente.

So quello che pensate ma da fuori o a posteriori siamo davvero tutti bravi. Sul momento sei in confusione, il sangue freddo non ce l’hai più da un pezzo e sei stanco degli sforzi che fai per simularlo. Pensi tutto e il contrario di tutto, conscio che tanto sceglierai di fare la cosa sbagliata.

L’abbracciai e la tenni stretta, ignorando il fastidio che solo avere un volante e un cambio fra i piedi può procurare. Ma non provai a fare altro, mi faceva pena. Intendo non in senso negativo, pena in senso di tenerezza. Piano piano smise di piangere.

CAPITOLO 29

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