Citazione

domenica 3 dicembre 2006

racconti metropolitani #9


Camminare mentre la città attorno è immersa nel sonno. Nella momento più profondo del sonno. Strade vuote. Buio, Luce gialla dei lampioni. Poche macchine in strada.

La prima metropolitana. Non è vuota. La città dorme. I lavoratori sono svegli. Quelli più umili. Badanti, muratori, operai. La maggior parte extracomunitari. Facce stanche, assonnate. Punk ancora o già ubriachi ridono. La stazione si sta iniziando a svegliare, nonostante il cielo sia ancora buio. Il treno si mette in moto, attraversa la città muta, immobile, ma d'un tratto, una strada trafficata. Il mostro si è svegliato. Non per me. Sono nel nowhere, il mondo che separa una città dall'altra. In un finestrino appare la campagna addormentata, nell'altro l'alba e i primi segni di vita.

domenica 12 novembre 2006

racconti metropolitani #8


Arriva la pioggia e con lei l'inedia. Voglia di restare sotto le coltri ad ammuffire aspettando che finisca. Il rumore delle gocce, l'odore di polvere bagnata. Ogni immagine poetica viene annichilita dal primo clacson. Non ho mai capito perché, in questa città la pioggia è vissuta come una vera autentica piaga biblica. Ok, la pioggia reagisce con l'asfalto tramutandolo in buca, i tombini vomitano acqua e lo spazio di frenata si allunga. Questo non dovrebbe giustificare il chaos.

E intanto il cielo piange, inconsolabile, riversando le sue fredde lacrime sul delirio urbano.

lunedì 23 ottobre 2006

racconti metropolitani #7


Sono in fila. Come sempre ho sbagliato i calcoli ma mi convinco che sia tutto un problema di parallasse... la mia NON è la fila più lenta. 4 persone davanti, di cui una con un carrello che sembra debba andare a rimpolpare le scorte del bunker antiatomico.

Mi chiedo se ho scordato niente, niente a parte la lista della spesa dimenticata, tanto per cambiare, a casa. Mi spremo le meningi e cerco di riattivare sinapsi su sinapsi. Provo a far riaffiorare i ricordi casalinghi alla ricerca di quella cosa importantissima che ogni volta scordo di comprare.

Niente. La cassiera, inesorabile, passa tutti i prodotti che trova sotto il lettore ottico. Parla poco. Busta? Carta o bancomat? 20 centesimi non li ha? E io sono lì. In attesa del salvifico cliente successivo, amico plastico che incide sul morale come la campanella dell'ultimo giro nelle corse. Busta? Due. Così bilancio i pesi.

E mentre penso ad altro, solitamente mentre giro la chiave nella toppa, ho l'illuminazione: sono 3 settimane che è finito il sale fino.

Mi concedo un paio di imprecazioni e mi riprometto di ricordarmene alla spesa successiva... mangio sciapo da quasi un mese, una settimana in più che sarà mai?

domenica 15 ottobre 2006

racconti metropolitani #6


Ci sono i muri, quelli spessi, quelli di cemento dove non entrano nemmeno i chiodi. Ci sono anche quelli sottili e ci sono quelli di carta velina.

Vite condivise di alveari umani. Puoi ascoltare i vicini che vanno al bagno, sai se fanno pipì, se la fanno tutta, se hanno lo scaldabagno acceso. Puoi ascoltare programmi televisivi, liti familiari. Puoi sobbalzare per la loro sveglia, per il loro campanello o commuoverti per un messaggio d'addio lasciato nella loro segreteria telefonica. La loro vita l'ascolti e loro ascoltano la tua, una sorta di reality  (horror) show radiofonico.

Saranno i muri sottili o saremo noi troppo rumorosi? E' lecito chiederlo, soprattutto mentre la tipa del piano di sopra, con i tacchi, fa più casino di tutta l'arma rossa in parata. Ma sarà proprio del piano di sopra? I rumori si moltiplicano, camminano, prendono vie inaspettate e scivolano per bui anfratti... ed eccoli tutti insieme, cacofonia olofonica o condivisione globale? 

Mentre cerco di rispondere, vengo a sapere che il bimbo del quarto piano è andato ancora una volta male a scuola.

lunedì 2 ottobre 2006

racconti metropolitani #5


... eppure sono sempre stato fortunato con gli autobus. Questa volta devo aspettare. Il panorama è sconcertante. Macchine che vanno, che suonano, che imprecano, che parcheggiano in un balletto metallico disordinato e dissonante. Gente assorta tra i suoi pensieri, estranei che tra una sbuffata e uno sguardo sconsolato diventano solidali l'un l'altro nell'attesa snervante. Sguardi miopi che si sforzano di guardare all'orizzonte, espressioni affrante al passare degli autobus nell'altra carreggiata, speranze disilluse e infrante al passaggio del numero sbagliato. Quello che passa sempre tranne quella volta che ti serve. Luoghi comuni e leggi di murphy snocciolati come se fossero rare perle di saggezza.

Osservo le donne, sperando in qualche visione che migliori l'umore, ma tra una vecchia zoppa con le sporte e una badante ucraina di 100 chili c'è poco da sperare. Non ho niente da leggere, mi maledico per la dimenticanza mentre sbircio sui giornali altrui, c'è chi non ha nulla da ridire, chi si ritrae, come un bambino che non vuole farti copiare... magari è l'imbarazzo di constatare che un estraneo si fa un'idea di quello che leggi... cronaca rosa, sport, oroscopo. In fine eccolo, impossibile salire, impossibile arginare la folla alla fermata, impazzita, nemmeno fosse la diligenza per il paese dei balocchi. Tecniche e astuzie affinate nel corso degli anni si dimostrano inutili. Ha vinto il carro bestiame. Questa volta è il caso di andare a piedi.

domenica 24 settembre 2006

racconti metropolitani #4


Bancarelle, ogni mattina sono sorpreso, infastidito e divertito allo stesso tempo... Sorta di suk circondati da una masnada di donne in pieno delirio spendereccio. Mutande, scarpe, calze, gonne, mollette. Gomitate e spintoni. La cosa che più mi sconcerta è che estate, inverno, sole o pioggia è sempre lo stesso delirio. Poi mi soffermo sui particolari, matrona sudata che prova un sandalo... lo poggia su un coperchio di scatola da scarpe gettato all'uopo a terra, ci infila il piedone, ci litiga, le prova tutte, non va, riprende la scarpa la rimette nel mucchio. Quanti piedi saranno già entrati lì dentro? E poi, magari, sempre la stessa signora, è quella che arriccia il naso, quando, in autobus, si trova vicino al più classico dei polacchi ubriachi...

Il popolo del bus mattutino mi colpisce sempre e, spesso, mi fa iniziare bene la giornata.

Il finto storpio che parla con i compari, tutti muniti di bastone e/o stampella d'ordinanza, si dividono le zone, decidono i turni e, forse, anche le strategie.

Le mie preferite, però, sono le vampone wannabe, sempre griffatissime, di quelle a cui è impossibile sgualcire il vestito e che si attaccano ai corrimano del bus con 2 dita; nulla è lasciato a caso, nemmeno gli insulti che rivolgono alle vecchie, troppo lente, per i loro alti standard, nel liberare la porta. L'apparenza è impeccabile, ma i particolari le fregano, segni di nicotina sui denti, mani e modi rozzi. Bocche e nasi rifatti al discount e unghie di plastica che imbarazzerebbero anche una pornostar. La fiera del becero... e poi aprono bocca. "Io non sono razzista, ma i negri li ammazzerei tutti".A questo punto è il delirio e viene da chiedersi perché la selezione naturali non acceleri un po'.

Poi ci sono i personaggi conciati come se fossero in un varietà televisivo. Quintali di trucco, cerone, coppale, capelli double-face, capelli finto spettinati, mosse provate attentamente davanti allo specchio...e, soprattuto, uomini con le sopracciglia spinzettate. Ora, sarò vetero-neanderthaliano, ma c'è davvero qualcosa che non va in uno depilato, spinzettato e lampadato e con la marca delle mutande ben visibile sopra la camicia.... e forse, penso, è giusto che la razza umana si estingua il prima possibile.

Non manca nemmeno il manifesto della sfiga più estrema: quello che cerca di venderti 'Lotta Comunista'. Che poi è sempre quello che ti perseguitava all'università, quasi a dimostrare che non tutti abbiamo lo stesso concetto di 'amor proprio'... o almeno non gli attribuiamo la stessa importanza.

Poi le porte si aprono e mi torna in mente una frase letta non so più dove "la gente è il migliore spettacolo del mondo... ed è GRATIS!".

domenica 10 settembre 2006

racconti metropolitani #3

L'insonnia è una brutta bestia. Rigirarsi nel letto, ancora e ancora e ancora. Corpo e testa divisi, con la mente spaccata, rarefatta ma fissa su un assurdo pensiero, che tiene svegli. A volte è lo stomaco, a volte è l'ansia, a volte il caldo, il più delle volte non si capisce e si continua a rigirarsi, a cambiar posizione, a pestare il cuscino, illudendosi che Morfeo sia proprio lì dietro l'angolo.


Dicono che è bene evitare di litigare col letto e fare come se niente fosse, accendere la luce, leggere un libro, vedere la televisione, girare per casa, annaffiare le piante. Io ci credo. Provo tutto. Mi ritrovo alle 5 di mattina, con un libro in meno nella pila da leggere, gli occhi gonfi, le piante zuppe e con una grande cultura in fatto di numeri erotici, tarocchi, talk show pruderecci e cartomanzia.

Dicono che non si debba guardare l'orologio, aumenterebbe l'ansia e il pensiero "merda! anche se mi addormento ora avrei solo 3 ore di sonno!" s'insinuerebbe nell'inconscio rendendoci ansiosi e distraendoci dal sonno. Non lo faccio... beh, ogni tanto mi scappa a dir la verità. Fuori intanto albeggia, alcuni uccellini cantano, il sole sorge. Ora, non sono un esperto e non ricordo nemmeno cos'ha detto la signorina delle previsioni... ma saranno le 5 o le 6.

Pregusto la mattinata con il cervello impastato, il labbro pendulo e l'espressione da primate che si rende conto che l'evoluzione ha fatto passi da gigante ignorandolo. Assaporo in anticipo anche il momento dell'oblio, che arriverà, magari alle sei e mezza, giusto per godersi quei tre quarti d'ora di coma profondo perfetti per rovinare quel poco che si sarebbe potuto salvare.

La sveglia mi salva. Suona presto. Per garantire, in condizioni normali, quei venti minuti di pigrizia mattutina. Ma oggi no, brancolo verso il bagno con un sospiro di sollievo.

sabato 2 settembre 2006

racconti metropolitani #2


Gente sulla banchina, almeno un terzo delle facce è sempre lo stesso. Giorno dopo giorno. Tutti sempre nello stesso punto, quasi a ottimizzare i centimetri e gli spostamenti. "Salgo a quest'altezza del treno, perché così alla mia fermata sono già davanti alla scala mobile". Lo ammetto, sono uno di questi... e mi pare che un po' tutti gli habitué tendano a giocare a zona.

Espressioni ottuse di chi ti guardano pensando "che espressione ottusa"... un po' quando incontri qualcuno dopo tanto tempo è pensi che è invecchiato e che il tempo con lui è stato proprio inclemente... poi, in un barlume di lucidità ti rendi conto che anche lui pensa lo stesso di te.

Questo è curioso, l'utente medio della metropolitana ha un'espressione diversa da quello dell'autobus. Il metropolitano (?) è più sfatto, più cupo, quasi sentisse su di sé l'ineluttabilità del destino che lo spinge in quel vagone dritto nelle viscere della terra.

Gente che spinge, preme, innervosisce, quasi stiano distribuendo l'ultima razione di elisir di lunga vita dentro i vagoni. Tutti dentro. Nel rassicurante tepore umano. Anche il bimbo con la tastiera a tracolla e la signora che viene di cosòvo o di albània con 15 bambini da sfamare. Anche gli accattoni sono sempre gli stessi, la carità è diventata routine, a volte una sorta di tassa quasi fissa. Vagoni sporchi, unti. Gente che oscilla tra il maleducato e l'infastidito. Non che io sia un campione di simpatia, chiariamoci: è mattina e sto andando a lavorare. Impossibile trovare uno spazio per aprire un libro, già è difficile schivare i giornali altrui (rigorosamente gazzette dello sport o similari), le valige, gli ombrelli o oggetti totalmente inclassificabili.

Poi ci sono l'odore e il calore... credo la metropolitana ad agosto sia un ambiente inadatto alla vita: caldo tropicale, umido da bagno turco, odore di ascella putrefatta e l'immancabile ciccione sudato in canottiera che ti abbranca come fossi il suo orsacchiotto.

domenica 27 agosto 2006

racconti metropolitani #1


Uscire di mattina presto. La strada, l'aria sicuramente più fresca di quella di casa, la passeggiata che oltre al sangue mette in modo qualche neurone e musica di dubbio gusto in cuffia. Fisicamente sveglio, mentalmente ottuso. Invidio l'apparente lucidità degli sconosciuti che m'intersecano il cammino.

Volti anonimi, nascosti dietro i vetri nelle automobili, come facce in televisione, convinti della loro privacy si intrattengono in ogni tipo di attività, operazioni di trucco e restauro, depilazioni, dita che esplorano narici che ricordano speleologi in missione, gesti inconsulti parlando al telefono. Mi viene da chiedere se mi vedano, peggio, mi chiedo se la loro percezione del mondo non si riduca al mare di lamiere colorate che li circonda. Mi chiedo se si rendano conto che io, misero pedone con l'occhio gonfio di sonno, arriverò prima o semplicemente che sto sorridendo perché li ho pizzicati con 5-6 falangi nelle froge.

Penso che l'automobile riesca a tirar fuori il peggio delle persone e che spesso questo peggio sia proprio la loro più intima natura. Insulti, bestemmie, bava alla bocca, maleducazione. Comportamenti imbarazzanti all'ombra di un posticcia sensazione di anonimato fornita da quattro paretine di metallo e vetro. Quando qualcuno fuori dalla mia macchina mi becca mentre canto a squarciagola nascosto nel mio loculo semovibile mi sento un po' un cretino, lo ammetto, ecco, mi sento come quando qualcuno ti entra nel cesso senza bussare, e tu sei lì, seduto a litigare con le pigrizie del tuo apparato digerente. Intimità violata.