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martedì 26 giugno 2012

Ciclorumentismi #5


Governo Ladro

E infine piovve. Uscito di casa era sì nuvolo, ma con evidenti e ampie schiarite!
E invece all’altezza dell’evocativo Ponte della Musica, il diluvio. Che poi, di musica, al momento c’è solo i rumori delle ruspe e le urla dei manovali.

Andiamo con ordine. La tenuta sul bagnato va decentemente e tralascerei di ammorbarvi con la storia del freno posteriore un po’ fiacco (non per colpa sua, sono io che c’ho giocato un po’ e devo ancora regolarlo per benino). Dicevo la tenuta sul bagnato va bene, anche se ho scoperto che serve molta più attenzione. Ad esempio sono caduto. Sulle strisce. Quasi da fermo. Ma non è colpa mia! Dovevo schivare un pedone. Ho stretto troppo la curva. Mi hanno rubato la macchina. Un edificio in fiamme. Pioveva zolfo. LE CAVALLETTE! NON E’ STATA COLPA MIA!

Comunque sia, il resto del tragitto è andato bene. Il Kway è quasi sufficiente. Pensavo di bagnarmi di più, invece sarà sufficiente aggiungere un paragambe, un poncho o un’altra diavoleria che mi eviti di bagnare le cosce. Dà in effetti MOLTA soddisfazione, essere lì, tranquillo per la tua strada libera, mentre attorno il traffico letteralmente impazzisce come solo con la pioggia succede.

mercoledì 20 giugno 2012

Alla faccia della maturità


Io la maturità non me la ricordo proprio perfettamente, ho come dei buchi. Tipo il tema io non me lo ricordo, ma proprio per niente. Cioè, mi ricordo grossomodo l’argomento della traccia, che era l’ingegneria genetica e che iniziai probabilmente col sempre verde “fin dall’antichità, l’uomo…” che sul foglio sapevo a malapena mettere un po’ di parole una dietro l’altro.

Ricordo i banchi tutti in fila in corridoio, la corsa ad occupare quelli in posizione più anonima e magari dietro colonne o estintori. Ricordo la troupe della RAI e ricordo la delusione scoprendo che quei filmati non sarebbero andati in onda perché non sembravamo così in tensione. Ok, mi tiravo palle di carta con l’amico G citando gli Squallor ma penso che il gesto sia stato male interpretato. Forse. E avevo una maglietta dei Manowar. Sarà stata questa?

Poi il buio fino alla prova di matematica.
Arrivato a un certo punto non mi tornava una fava. Rifeci tutto daccapo fino ad arrivare allo stesso identico punto. Poi si sparse la voce che c’era un errore nel testo. Ed E si cacò addosso e non volle passarmi la soluzione dell’integrale. Il Maledetto. E poi gli esercizi che non si potevano fare perché non avevamo fatto un pezzo di programma. Insomma, champagne!

Poi ancora buio.

Non ricordo le attese fuori dalla scuola e non ricordo le fughe a casa.

Ricordo che in quei giorni suonavano i Primus e i Dream Theater a Villa Pamphili e che mi persi entrambi i concerti per colpa di quel maledetto esame e a pensare che, vista la figura rimediata, tanto sarebbe valso evitare l’ennesimo ripasso e godermeli… quelli me li sarei ricordati ancora oggi.

Ricordo il caldo infame. Perché eravamo l’ultima sezione a fare gli esami. Ed eravamo la ACCA. Non ricordo sensi di liberazione. A pensarci ora mi viene solo peso allo stomaco. Si vede che le sensazioni rimaste sono solo quelle brutte legate alla tensione e alla consapevolezza che il successo fosse legato esclusivamente alla resistenza dei nervi e al culo.
Io avevo ripetuto poco. C’avevo i dischi da ascoltare e il basso da suonare, alla faccia della maturità. Che poi non è nemmeno vero, le mie due materie me l’ero preparate bene. Mi sentivo ragionevolmente al sicuro. Con tutto che era un periodo che assumevo oppiacei, non per diletto prima che malignate, ma per cura contro una strana forma di tosse.
Ricordo gli orali. Classe schierata alle spalle, sediola, e una sfilza di cattedre davanti piene di gente con la faccia di uno che preferirebbe una vasectomia pur di non stare lì. Ricordo la tensione. Ricordo la maglietta Maui color giallo moccio nucleare e i miei jeans tutti strappati.

E poi lo sguardo allibito della tipa di francese quando riuscii a dire il contrario di quello che pensavo senza rendermene nemmeno conto e sull’autore che preferivo in assoluto, fra l’altro. E io che parlavo convinto. Con il cervello staccato dalla bocca e dalle orecchie. E quella che mi diceva “no, non sono d’accordo” e leggevo un disprezzo interrogativo nel suo sguardo, quegli occhi che sembrano dire “ma che cazzo stai dicendo pazzo?!”. E ricordo anche il membro interno che, su Fisica, riuscì a mettermi a mio agio (attività non certo semplice per una specie di 3BO molto più anziano e meccanico e dal nome d'utensile) dopo che spostata la sedia di un quarto di giro a sinistra, alla prima domanda sui domini di Weiss nelle sostanze ferromagnetiche, sentii il cervello sibilare e sgonfiarsi scorreggiando come un palloncino annodato male. Il robot mi disse “Rumenta, non faccia finta di non sapere cose che in realtà sa benissimo” e lo disse mentre piegava l’ennesimo origami fatto a cigno (costruttiva alternativa alla vasectomia) e poi mi porse un bicchiere d’acqua.

Ecco, quell’inaspettato gesto di umanità, di calore, di comprensione proprio lì da dove non me lo sarei aspettato, è il mio ricordo più bello dell’esame.

A quasi 20 anni di distanza mi sconvolge la consapevolezza che essere interrogato anche 5 minuto prima avrebbe probabilmente cambiato tutto, altra tensione, altra aria, altro momento, altro origami.

E alla faccia della maturità, quello che mi resta è quel "non faccia finta di non sapere cose che sa benissimo" e fanculo a tutto il resto.

Grazie Prof. Utensile!