Citazione

venerdì 2 luglio 2010

vado a vivere in campagna?


Sono sempre stato un topo di città. In fondo, pensavo, perché tante genti dovrebbe spostarsi dalle propaggini estreme dell’impero verso la capitale se non per vivere meglio? Perché i barbari sono 1500 anni che insistono tanto per occupare Roma? Perché Napoleone e Garibaldi non si sono fatti i cazzi loro, lasciando il papa-re sul sedile ereditato dai sette re?

La mia mente semplice di ragazzino aveva elaborato la risposta più ovvia: perché la città più è grande, più è ganza. Crescendo questa convinzione è diventata dogma. In città hai tutto a portata di mano, in città hai tutti i servizi che vuoi, in città funziona tutto... cioè, in città fuori dall’Italia funziona tutto, in città in Italia non funziona bene niente, quindi se sei in Italia ma non sei in balia degli elementi come un nomade perso per le steppe della Mongolia.

Tutto il mondo esterno alle città andava bene per fare delle gite, un soggiorno breve, una ricca mangiata o una manciata di fotografie. Bello qui, ma pensa l’inverno quando pioggia e vento sferzano le finestre!

Poi invecchi, vai a lavorare. Hai i colleghi che vivono in campagna e ti sfottono perché loro sì, si godono la vita. Gli fai notare che si fanno 2-3 ore di macchina al giorno e che tu, se vuoi, vai al lavoro a piedi. Ti ribattono che loro, quando arrivano a casa, si godono il prato. Ribatti notando, con pignoleria, che loro il prato non se lo vedono, perché rincasano dopo il tramonto. Ma loro hanno la risposta pronta e ti dicono che sabato e domenica, se vogliono, stanno sbragati a 4 di spade a godersi l’aria aperta. Non fai una piega. Hai parchi immensi a pochi minuti di strada, altrimenti prendi l’autobus e in pochi minuti sei in pieno centro storico.

Nel profondo del cuore sai che menti sapendo di mentire, e sai anche che pure loro mentono spudoratamente, perché farsi 50 km in prima è roba da girone dantesco e che 2 miseri giorni sbragati sul prato non compenseranno mai tutta la merda che si respirano per 5 giorni a settimana. Che tutto il tempo che perdono in macchina lo hanno solamente buttato.

Sai anche però che i tuoi “pochi minuti” di mezzi per andarti a godere il centro città sono una chimera perché ogni spostamento (che sia in macchina o con l’autobus) può trasformarsi nel peggiore incubo possibile. Sai che respiri le peggiori nefandezze che esistano al mondo. E che lo fai tutti i giorni. E che il mandarino cinese che hai sul balcone non riuscirà mai a renderti l’aria migliore. Sai anche che vivi nel casino più totale e che per quanti strati di vetro tu metta alla finestre a svegliarti sarà sempre un BIIIIP o un “malimortaccituaedetunonno!” e mai un dolce cinguettio.

Cinguettio. Sai anche che il massimo del bucolico che potrai permetterti sarà il “cru” dei piccioni che piccionano in bilico sulla serranda della finestra (meringandoti nel frattempo la macchina).

Vivere in un centro piccolo, ma lavorare in una metropoli è demenziale, forse più che abitare direttamente in mezzo alla metropoli. Non sarebbe una via di mezzo, non sarebbe né carne, né pesce. Questa è verità, pura e sacrosanta. Però come sarebbe vivere e lavorare in un piccolo centro? Resti attaccato all’idea che sia brutto.

Se voglio, ho i negozi sotto casa, non devo prendere la macchina, io, se mi finisce la carta igienica. È vero. Ometto però che il negozio sotto casa, di solito, è più cari di un posto in paradiso. 

Per cui sali in macchina macchina, ti fai 5 ore di traffico infernale, vai in un centro commerciale, fai a botte con chiunque, ti perdi nel parcheggio e torni a casa pensando a come sei caduto in bassa e giuri a te stesso che mai e poi mai ci ritornerai. Promesse da marinaio.

Ad un certo punto, ho iniziato a capire che l’unica vera marcia in più di una grande città è legata agli eventi culturali che può offrirti. Teatri, cinema, mostre, eventi, musei, concerti, rassegne, corsi di qualsiasi cosa. Ok, sono cose che ti godi più da vecchio, quando hai tempo da occupare e non paghi nemmeno, però in un centro piccolo hai tutto a scartamento molto ridotto (con le dovute eccezioni), a meno di non puntare sui talenti locali o addirittura fomentare tu un certo movimento. Ma, alla fine, quante mostre si vanno a vedere in un anno? 2? 3? Nessuna? Quanti film irrinunciabili? Quanti concerti? Quante volte al teatro? E cos’è uno spettacolo a teatro davanti a una vita più sana in un luogo fatto finalmente a tua misura? Ecco. Questo è stato l’ultimo scoglio.

La conclusione è che oggi, senza il vincolo del lavoro, io dalla città più bella del mondo me ne andrei ora. Ma proprio subito. Puff! Sbuffo di fumo. E sono... boh... da qualche parte dove ci sia un mare degno di questo nome, gente cordiale e cibo buono. Anche perché, se si deve cambiare, occorre farlo in meglio. L’alternativa è una bella pioggia di fosforo bianco sulla capitale. Mentre sono in ferie.

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