Citazione

lunedì 21 novembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #26

Zigulì
di nascondigli e nascondini

Passarono i giorni e le settimane e forse anche un mesetto buono. In questo lasso di tempo i contatti con Caterina erano sporadici, una telefonata, uno scambio di messaggi. In un tardo pomeriggio andammo insieme al cinema. L'Idiota era, tanto per cambiare, a fare altro.

Il giorno dopo mi svegliai bene, di quel buon umore quasi ai limiti dell’euforico di quando ti svegli e vedi che la vita va per il verso giusto e che i giorni non sono tutti un susseguirsi di meccaniche ripetizioni delle stesse abitudini. Il risveglio di quello che è sopravvissuto ad un frontale in auto senza nemmeno un graffio, di quello vivo per miracolo.

Non era successo niente e contemporaneamente era successo tutto, in un niente, giorno dopo giorno, ero entrato nel mondo delle possibilità. Mi chiesi, come tutte le mattine, se era il caso di importunare nuovamente Caterina. Decisi di fare il sostenuto per tutta la giornata e fu un’autentica tortura.

Mi sentivo come quando da piccolo rimediavo delle caramelle o dei dolcetti. Ne avevo fatto a meno per settimane, mesi, senza che questo mi pesasse, ma appena ce li avevo fra le mani non riuscivo a smettere di mangiarne fino a rimanere nuovamente senza.

Ricordo quando qualcuno mi comprò un pacchetto di Zigulì. Ne mangiai immediatamente la metà, poi decisi di centellinarle, di seguire il consiglio che mi davano tutti: “non mangiartele tutte insieme, fattele durare”. Allora me le nascosi facendo quello che solo la mente meravigliosa di un bambino può concepire. Le misi fra due libri, nella libreria della cameretta che spartivo con Nib, e mi misi a giocare. Me ne dimenticai volontariamente. Mi fregai da solo.

Le ritrovai solo mesi dopo, per sbaglio, giocando con i libri. Ricordo la sorpresa, il gusto di trovare un dono inaspettato, le mangiai. E solo dopo averle finite ricordai di averle nascoste io e perché.

Nei primi momenti di approccio con una ragazza sono ancora un bambino con un pacchetto di caramelle che cerca di non bruciarsele subito tutte, che si sforza con sé stesso di distrarsi, di pensare ad altro, di centellinare l'entusiasmo. Appena mi accorgo di essere nel mondo delle possibilità smetto di trattenermi: telefono, messaggio, sono presente. A pensarci bene solo con Marta è stato diverso. A posteriori è facile trovare un senso alle cose.

Nascosi le mie Zigulì per tutto il giorno fino a notte e il mattino dopo trovai due messaggi di Caterina

mi sa che ti sei già scordato di me

seguito da

Dopodomani ho invitato un po’ di gente qui da noi, venite?

Il secondo lo aveva ricevuto pure Nib che rispose affermativamente. Quel “qui da noi” non mi andò giù. Mi rese indigesta la colazione e mi mandò di traverso la giornata. Non risposi ai messaggi considerandomi un imbecille per aver creduto che qualcosa fosse possibile.

Quando arrivammo a casa dell’Idiota, ci aprì la porta Caterina, la vidi felice, dietro di lei l’Idiota. Mi tornò in mente un momento poco edificante della mia storia.

Ero decisamente più giovane, stavo con Luciana, studentessa fuori sede, tanto per cambiare, e un’estate decise di invitarmi per ben un weekend nella sua casa al mare con l’ordine tassativo che io non dovevo essere io, che non avrei dovuto dare l’idea che stessimo insieme. Si trattava di una sorta di villino prefabbricato di due piani. Lei era al piano terra, la zia al secondo. Ci sarebbero dovuti essere la cugina Luisa che mi conosceva, l’altra cugina Arianna che non doveva sapere di me e soprattutto il fratello Paolo che, se solo avesse sospettato, mi avrebbe staccato la testa cacandomi nella trachea. In più poteva capitare qualche zia a contorno, quindi mi sarei dovuto guardare le spalle.

Si prospettava un fine settimana di tutto relax anche perché il fratello conosceva il mio vero nome, perché da bravo romantico avevo passato le settimane estive precedenti scrivendo alla pulzella romanticissime e imbarazzanti lettere manoscritte, insomma quelle cose per cui uno potrebbe essere ricattato a vita, dove in pratica stai scrivendo “sono cretino, sono un mentecatto, sono un coglione, sono un imbecille, sono misero, sputatemi addosso” ma te ne rendi conto solo quando, un mese dopo, ci ripensi.

Decisi quindi che sarei stato Oronzo. Tutti d’accordo. Io mi pregustavo un po’ la scena, questo temibile Paolo mi era stato descritto come uno stronzo del secolo scorso. Quelli che la femmina deve stare zitta e chiusa nell’unico luogo che le compete, la cucina, a pulire verdura, rammendare calzini bucati e fare caffè per poi andarsene solo una volta sposata con qualcuno che avesse ottenuto il benestare del padre padrone.

E quindi a un minchione di questo calibro sei ben disposto a fare qualsiasi cosa.

Il terribile fratello invece era una bravissima persona, avevamo anche delle cose in comune. E mi sentii l’ultima delle merde schiacciata su un bollente marciapiede d’agosto a prenderlo in giro. L’amore, è noto, porta a fare un sacco di cretinate, prima fra tutti quella di fidarsi della gente sbagliata. Luciana era una persona sbagliata, la più classica femmina con più complessi della vitamina B tutti sfogati contro e sul prossimo.

E, insomma, noi siamo lì, io e Paolo, che parliamo e facciamo gli spiritosi cambiandoci dopo il mare. Lui mi chiede se conosco quello che fa il filo alla sorella, prima nego, poi mi fa il nome e mi faccio prendere la mano. “Lo conosco” gli dico “è uno un po’ coglione” e giù d’insulti a me medesimo. Ride, Paolo. Rido anch’io. Ridono un po’ tutti. “Ahahah mia sorella giusto un coglione poteva rimediare! Ahahahahah!”. Io e Paolo ci diamo sonore pacche sulle spalle. Ormai è fatta, Oronzo ha vinto la sua fiducia, ha fatto breccia. E ovviamente la tragedia è prima che dietro l’angolo.

Mentre noi ridiamo, Laura saluta, che se ne va, e mi saluta col mio nome, io faccio finta di niente, rido di grosso. Paolo smette di ridere “Come t’ha chiamato?”, faccio lo gnorri. Laura arriva di corsa, mi prende per mano e mi porta via.

Vengo nascosto nella casa della zia (al piano di sopra). Dove vengo tenuto tutta la notte.

Mi si racconta che Paolo è feroce, che gira attorno alla casa con coltelli, fucili e bombe a mano.

A me la cosa non interessava particolarmente, volevo solo fare sesso con Luciana, onestamente. Ma non mi fu permesso, perché lei aveva troppa paura e volle la cugina Arianna sempre con noi.

Ricordo chiaramente che mi sentivo come un camorrista traditore il giorno prima di essere nascosto dalla polizia, quando capisce che il boss ha saputo del suo tradimento e ha chiesto la sua testa su un vassoio d’argento.

Ovviamente erano tutte cazzate, frutto della peculiare visione della realtà di Luciana, ma che interpretasse la realtà in quel modo tutto personale lo capii solo dopo tanto tempo. Lì, quella sera, in quella stanza mi sentivo pure in colpa per aver preso per il culo il povero fratello che aveva tutto il diritto ad essere incazzato.

Passata la nottata (in bianco) decisi che non mi andava di passare un’altra giornata da recluso. Preparai il mio zaino, presi la mia roba, ingoiai la vergogna e andai al piano di sotto. Salutai Paolo, mi scusai per l’accaduto e me andai a prendere la corriera.

Ecco. Guardando negli occhi l’Idiota provai vergogna.

La stessa identica vergogna che provai quando Paolo mi chiese “come t’ha chiamato?”.

Poi mi resi conto di com’era vestito, feci mente locale e la cosa un po’ mi passò. Già, perché Paolo era una brava persona con una sorella un po' cretina e l’Idiota era … beh era l’Idiota, senza attenuanti.

CAPITOLO 27

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