Merlo
di
Django Reinhardt e falene
E così seguì un periodo di cuore
in fiamme e maschera di ghiaccio. Caterina cercava di riallacciare con l'Idiota
e a farle da confidenti c'eravamo io e un paio di sue amiche a me sconosciute.
Sembrava di essere tornati alle medie.
L'unico aspetto positivo della
faccenda era che l'Idiota non sembrava volerne sapere, secondo lui le cose fra
loro andavano benissimo. Però inizialmente provò a fare buon viso a cattivo
gioco, e questo per me non fu un periodo particolarmente facile.
Far finta di nulla mi richiedeva
grosse energie, e mantenere oggettività come confidente non era affatto
semplice. Però riuscii ad invitarla sempre a riflettere, a chiedere a sé stessa
le cose, a confrontare le mie risposte con quelle delle sue amiche: da maschio
riuscivo a spiegarle in modo disincantato i gesti e gli atteggiamenti di lui
meglio di come qualsiasi donna avrebbe potuto fare. Sarò sincero, mi sentivo
una forchetta piantata nel fegato e la mia autostima subiva regolarmente dei
tracolli mica da ridere.
Il problema vero è che tornando a
casa dal lavoro, lei trovava lui, non me. Allungando la mano nel letto, trovava
lui, non me. La gita in montagna era con lui che l'aveva fatta, non con me. E
così la grigliata in spiaggia, il weekend a Parigi o quello dai parenti in campagna.
La priorità di Caterina era, e giustamente, capire se con l'Idiota le cose
potessero funzionare di nuovo, io venivo dopo, ero un'eventualità successiva
nel caso si fossero lasciati, una possibilità. L'Idiota aveva il tempo dalla
sua, maledetto. Ogni secondo che passavano insieme poteva essere quello
decisivo per riaccendere la scintilla e ogni ora passata senza notizie di
Caterina (e furono parecchie) era un'ora che avevano potuto passare avvinghiati
avvolti dal fuoco della passione.
Fortunatamente l'Idiota, forse
per far valere il suo nome, se la giocava malissimo.
Sapevo che la possibilità di
scottarsi era elevatissima. Eppure come una falena continuavo a volare
ripetutamente contro la lampadina incandescente, irrimediabilmente attratto
dalla luce. E con poche distrazioni e valvole di sfogo. Persone con cui
parlarne pochissime. Si contavano sulle dita di una mano di Django Reinhardt
(esatto, QUELLA mano) e mi dicevano di desistere, che mi sarei fatto davvero
male. Solo Nib mi lasciava il beneficio del dubbio.
“Ti rendi conto che stai facendo
il merlo?”
“Me ne rendo conto”
“Tu che dici che quelle degli
altri sono asessuate”
“Me ne rendo conto”
“Sai che ti farai un male
bestia?”
“Me ne rendo conto”
“Secondo me no, non realizzi che
mentre ti parlo lui le sta infilando una mano nelle mutande...”
“Me ne rendo conto”
“... e lei probabilmente...”
“ME NE RENDO CONTO!”
“Sai che hai rotto il cazzo con
questa risposta?”
“E che altra risposta vorresti?”
“Che andassi lì e spaccassi la
faccia a quel coglione, prendessi Caterina per i capelli e la trascinassi nella
grotta”
“E poi se ne andrebbe perché
avrebbe i dubbi che forse qui o forse lì”
“Ma cosa te ne frega?
“Lo sai come sono, per me o tutto o niente”
“... fratelli minori...”
“È una vitaccia, eh!”
“A chi lo dici! Ma ne vale la
pena? Cioè, pensi davvero che ne valga la pena?”
“Secondo me sì… poi sai forse
cosa c’è? Noi perdenti abbiamo solo paura di vincere”
“Eh?!”
“Facciamo di tutto per perdere,
cerchiamo gli ostacoli, se non ci sono li fabbrichiamo… è come se nella
vittoria, nell’ottenere quello che vogliamo, trovassimo qualcosa di volgare, di
squallido, di banale, rifugiandoci in quella spettacolare e pura catarsi che troviamo
solo in una sonorissima sconfitta”
“…”
“Ma forse è così perché siamo
talmente abituati a masticare merda che abbiamo paura che la cioccolata sia
cattiva”
“…”
“Insomma, non so nemmeno più io
perché mi comporto così. Se lo faccio per allontanare Caterina, per paura di
ottenere quello che voglio. Se lo faccio per dimostrarmi di essere migliore di
quello che sono. Se lo faccio solo per poter fare bella figura con lei… So solo
che non saprei comportarmi altrimenti”
“Forse hai ragione tu... però non
posso vederti così”
“Bisogno di occhiali?”
“Minchione. Piuttosto, dì a
Caterina di chiedere al coglione del toro
nelle mutande”
“Cosa?”
“È una storiella edificante che
mi ha riferito Sonya... secondo me ti farà guadagnare punti”
“Anticipami i dettagli, almeno”
“Prima ubriachiamoci! Che se mi
fai di nuovo discorsi così seri vado a suicidarmi!”
Quella fu spesso l'arma di Nib,
distrarmi e affogarmi nei paradisi alcolici. Ma è sempre un'arma difficile da
maneggiare e, devo dire, noi non fummo particolarmente bravi né efficienti né,
a dirla tutta, attenti.
Durante questo periodo con
Caterina ci vedemmo abbastanza frequentemente, sempre in compagnia, spesso e
volentieri al Locale. Fino alla sera fatidica. Quella dell'epifania.
CAPITOLO 38
CAPITOLO 38
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