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sabato 2 settembre 2006

racconti metropolitani #2


Gente sulla banchina, almeno un terzo delle facce è sempre lo stesso. Giorno dopo giorno. Tutti sempre nello stesso punto, quasi a ottimizzare i centimetri e gli spostamenti. "Salgo a quest'altezza del treno, perché così alla mia fermata sono già davanti alla scala mobile". Lo ammetto, sono uno di questi... e mi pare che un po' tutti gli habitué tendano a giocare a zona.

Espressioni ottuse di chi ti guardano pensando "che espressione ottusa"... un po' quando incontri qualcuno dopo tanto tempo è pensi che è invecchiato e che il tempo con lui è stato proprio inclemente... poi, in un barlume di lucidità ti rendi conto che anche lui pensa lo stesso di te.

Questo è curioso, l'utente medio della metropolitana ha un'espressione diversa da quello dell'autobus. Il metropolitano (?) è più sfatto, più cupo, quasi sentisse su di sé l'ineluttabilità del destino che lo spinge in quel vagone dritto nelle viscere della terra.

Gente che spinge, preme, innervosisce, quasi stiano distribuendo l'ultima razione di elisir di lunga vita dentro i vagoni. Tutti dentro. Nel rassicurante tepore umano. Anche il bimbo con la tastiera a tracolla e la signora che viene di cosòvo o di albània con 15 bambini da sfamare. Anche gli accattoni sono sempre gli stessi, la carità è diventata routine, a volte una sorta di tassa quasi fissa. Vagoni sporchi, unti. Gente che oscilla tra il maleducato e l'infastidito. Non che io sia un campione di simpatia, chiariamoci: è mattina e sto andando a lavorare. Impossibile trovare uno spazio per aprire un libro, già è difficile schivare i giornali altrui (rigorosamente gazzette dello sport o similari), le valige, gli ombrelli o oggetti totalmente inclassificabili.

Poi ci sono l'odore e il calore... credo la metropolitana ad agosto sia un ambiente inadatto alla vita: caldo tropicale, umido da bagno turco, odore di ascella putrefatta e l'immancabile ciccione sudato in canottiera che ti abbranca come fossi il suo orsacchiotto.

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