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lunedì 4 luglio 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #7


Lavoro manuale
di affitti e traslochi

Nib abitava nell’appartamento di Viola e coerenza volle che, lasciando lei, lasciasse anche casa. Da parte mia ero da un pezzo in rotta con i miei di coinquilini.

Erano due sfigatissimi studenti fuori sede e fuori corso mantenuti da papà. Erano immediatamente caduti nelle viziose spire della grande città e avevano iniziato ad atteggiarsi ad artistoidi intellettuali. Casa era sempre piena di gente inutile, spesso fatta e dedita o a far casino fino all’alba o a parlare dei massimi sistemi o a vomitare in giro. Tengo a precisare che, normalmente, non ho niente contro chi fa casino fino all’alba, con chi si diverte e via dicendo. Mi davano semplicemente fastidio loro e tutte le manifestazioni della loro esistenza.

Ulteriore aggravante, avessero mai e dico MAI portato un pezzo di soppressata, di ‘nduja, un peperoncino, un'oliva ripiena o un qualche altro dono della loro terra. Niente. Tanto che per un periodo pensai che si tenessero tutto nascosto sotto il materasso o fra i vestiti pur di non condividere prelibatezze con il sottoscritto. A domanda diretta mi risposero che a loro quella roba non piaceva e che non si confaceva e persone della loro levatura. Lo giuro su quello che ho di più caro al mondo, usarono davvero i termini “conface” e “levatura” e questo penso sia sufficiente a chiudere la questione senza che si pensi che fossi io la persona cattiva.

Molto probabilmente è a causa di quei due coglioni e dei loro compari se ho sviluppato un certo fastidio verso la categoria dello “studente fuori sede”.

Ospitai Nib per un paio di settimane, dopodiché si colse la palla al balzo per cambiare aria. Ce ne andammo una mattina all’alba, i due fessi dormivano, la macchina l’avevamo caricata subdolamente e pian pianino nelle notti precedenti. Lasciai un biglietto grande e in bella vista attaccato sulla porta di casa con scritto “La vostra levatura mi opprime. Non posso più vivere nella vostra ombra. Mi sento misero. Addio. Niente fiori, ma opere di bene”.
È così che io e Nib finimmo per dividere lo stesso appartamento. Si trattava di una casetta di un centinaio di metri quadri al pianoterra di un palazzone gigante in una zona di tutto rispetto. Lo avevamo trovato, guarda un po’ tu, per caso.

Accadeva infatti in tempi non sospetti che una collega mi chiedesse se per caso conoscessi qualcuno interessato ad affittare un appartamento di un suo amico. Al tempo, proposi ai due imbecilli di cambiare casa, lasciare la topaia in cui stavamo per sistemarci più comodi. Rifiutarono categoricamente, adducendo motivazioni demenziali che non sto qui a riportare per evitarmi un'ulcera.

Trovandomi a dividere la stanza della topaia con Nib, mi rivenne in mente quella storia. Ne parlai quindi con la collega che chiese all’amico. Fortunatamente il tipo era appena riuscito a cacciare a calci nel culo una funesta ciurma di studenti fuori sede (sarà un caso?) che pagava saltuariamente ed aveva fatto un sacco di danni. Ci offrimmo quindi di occuparci noi della risistemazione dell’immobile (cose come rattoppare i muri, ridare la vernice a tutta casa, sostituire qualche mobile e via così) in cambio di uno sconto sull’affitto. Accettò, accogliendoci quasi come angeli salvifici.

Così, dedicammo qualche week end e qualche giornata di ferie a sistemare casa. Per quanto mi riguarda, lavori di questo tipo riconciliano con la vita. Puoi dare una misura al tuo sudore e soprattutto provare una soddisfazione direttamente proporzionale alla fatica che hai fatto. E poi il risultato, buono o brutto che sia è tutto esclusivamente riconducibile a te stesso, alle tue capacità e al tuo sforzo. Se viene uno schifo, almeno non hai pagato nessuno, se viene bello è tutto merito tuo. Insomma, il lavoro manuale può nobilitare l’uomo.

Nelle giuste dosi. Poco all’anno.

Capitolo 8

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