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lunedì 11 luglio 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #8


Traslochi
di gusci e civilità

Il mio primo anno dopo la morte di mamma e papà fu strano.
Non ero mai vissuto fuori casa. Non ero mai vissuto circondato da coinquilini con cui non avevo nulla a che spartire. Intendiamoci, il momento in cui esci fuori da casa dei tuoi dev'essere un momento esaltante, il momento in cui prendi il toro per le corna e diventi finalmente padrone del tuo destino. Per me non fu così, non avevo scelto io di saltare giù dal nido, il nido mi era scivolato via dalle mani. Stavo male, ero affranto, ero incazzato, per cui abituarmi non fu semplice.

Nel corso di due anni cambiai sette case, vivevo praticamente da zingaro. Mi spostavo da un guscio all’altro come un paguro, accompagnato da scatoloni pieni di dischi, uno di libri, una scatola da scarpe con qualche cianfrusaglia e una valigia di vestiti.  Non avevo molta roba. Tante cose le avevo buttate nella pia illusione di indebolire legami con un passato prossimo doloroso, altre cose non mi servivano.

Preferivo muovermi leggero, poter fare i bagagli e caricare tutto in macchina nel minor tempo possibile, così da poter fuggire in caso di un nuovo colpo gobbo del destino.

Il primo guscio in cui mi rifugiai fu una stanza in casa di amici di alcuni parenti. Dopo tutto quello che era successo avevo la testa davvero altrove e ammetto di essermi comportato anche un po' da stronzo. Volevo stare da solo, per conto mio, isolato, non volevo parlare con nessuno, né fare vita sociale. I padroni di casa non erano dello stesso avviso. La seconda settimana di permanenza ero già trattato come “uno di casa”, il che vuol dire che benché non volessero soldi per l'affitto ero tenuto a rendermi utile, che non potevo restare rinchiuso in stanza, che dovevo mettere in ordine, che dovevo pulire e che se proprio volevo ascoltare quella musica di merda era il caso lo facessi quando non c'era nessuno e sei un pessimo esempio per i nostri figli. Durai un mese.

Il secondo lo trovai rispondendo ad un annuncio trovato ad un palo della luce vicino l'ospedale: Affittasi letto in stanza doppia. L'occupante dell'altro letto era un personaggio sgradevole seguace di dubbie teorie igieniche. Non puliva, dormiva vestito ma, quel che è peggio, si lavava il minimo indispensabile perché il sapone fa venire il cancro e fumava continuamente (poco importante se a letto, al bagno, in stanza) perché non è vero che fa male, seminando mozziconi qua e là. Durò 3 settimane. Poi me ne andai, non prima di avergli schiacciato delle uova sotto il materasso e cacato in una scarpa da ginnastica. Seppi diverso tempo dopo che non se ne accorse per mesi.

Il terzo fu una sistemazione di comodo e durò una sola settimana, sistemato su un divano in casa di Angela, una collega. Angela di nome e di fatto e spero che la sua divinità amica la protegga sempre. Questa settimana mi rimise un po' in pace col mondo e con il genere umano. Angela, Giandomenico (il marito) e Stefano (il figlio) mi trattarono da essere umano. Non da povera vittima della sfortuna, non da orfanello, non da ospite e nemmeno da soprammobile. Non mi misero fretta, paletti o altro. Fu poi Stefano, il figlio di Angela, a procurarmi i contatti per il quarto guscio.

Era un appartamento di studenti, amici di Stefano, che avevano una stanza singola da piazzare. Mi ci trovai bene, erano ragazzi tranquilli, un po’ nerd, ma non a livelli preoccupanti ed erano piuttosto felici del fatto che non fossi un pazzo allucinato come il precedente inquilino. Avevo finalmente uno spazio mio e solo mio, potevo stare da solo quando ne avevo bisogno e mi bastava aprire la porta per avere compagnia. Purtroppo, entro i successivi 4 mesi, più della metà dei ragazzi si era laureata ed aveva abbandonato l’appartamento, sostituita da diciottenni che ancora odoravano di gessetti e brufoli e decisi che era il momento di cambiare nuovamente aria. Ormai mi veniva davvero facile, in fondo.

Il quinto ero un appartamento di studentesse. Ci arrivai tramite Gaetano, uno degli occupanti del guscio precedente. Gaetano stava con una certa Simonetta, Simonetta abitava in un appartamento con altre ragazze descritte come estremamente selettive. In questo appartamento c'era una stanza doppia libera. Alessio e Simonetta convinsero le altre ragazze che ospitare due maschi nella doppia sarebbe stato un grande affare. A conti fatti fu più Simonetta a convincerle. Dopo un po’ di tempo però, la doppia divenne appannaggio di Gaetano e Simonetta e io mi trasferii nella stanza singola.
Grazie a Gaetano, Simonetta, Maria Assunta, Rosaria, Viviana, Mery ma soprattutto Michela riuscii a rimettermi definitivamente in sesto, tornando di fatto e completamente alla civiltà. Condividere un appartamento con 5 pulzelle ebbe ricadute positive di vario tipo, una di queste fu proprio Michela.

Cominciò tutto quando un giorno, a pranzo, quando mi portò a sorpresa nella terrazza condominiale. “Ti va una sorpresa?” mi chiese. Risposi affermativamente. Mi prese per mano e mi portò per le scale, salimmo fino alla porta della terrazza, lei aveva la chiave. Aprì la porta. C’era un tavolino apparecchiato per due. La guardai interrogativamente. Lei sorrise e disse solo “Auguri!”. Mangiammo, bevemmo ma soprattutto parlammo. Davanti a lei e davanti ad un bellissimo panorama, per la prima volta da tanto tempo, riuscii a sfogarmi tirando fuori un sacco di cose. Le ore passarono in fretta, ci godemmo anche il tramonto.

“Lo sai che ieri mi hai fatto piangere?”
Caddi dalle nuvole
“Io? No… Che ho fatto?”
“Mi hai evitata… questo… volevo farlo ieri a cena…”
“Ah. Ecco… scusa… non avevo capito…”
“Aspetta… come mi hai risposto… ah sì ‘tranquilla, come se avessi accettato ma devo finire una cosa…’ e stavi cazzeggiando al computer”
“Eh, sì, sono un fenomeno”
“Stronzo. Sono andata a piangere da Viviana…”
“Il punto è che molto molto molto raramente mi capita di essere ricambiato da quelle che mi piacciono”
“Eh?”
“È così, se vuoi ti faccio un elenco… ma l’abitudine è tale che ormai non capisco nemmeno più quando succede qualcosa di bello…”
“E io che pensavo fossi così pieno di donne che non mi vedessi nemmeno…”
L’abbracciai. Fu un bel momento. Uno di quelli che in un modo o nell’altro ti porti dentro a vita.
“Mio fratello non ci crederà mai…” dissi sorridendo
“non crederà a cosa?”
“A me con te”
“Guarda che mica stiamo insieme!”

Ci rimasi come uno stronzo congelato sul ciglio di un marciapiede in una fredda notte siberiana. Il sole era tramontato, alzai lo sguardo guardando le stelle. Pensando che, ancora una volta, non avevo capito nulla. Ero un po’ confuso ma nemmeno troppo stupito della piega che avevano preso le cose.

Poi mi baciò.
“Ora stiamo insieme”.

Purtroppo, 9 mesi dopo, la proprietaria dell'appartamento pensò bene di passare a miglior vita e gli eredi ci comandarono di sloggiare.

Il sesto fu l'appartamento con i due maledettissimi sfigati di cui ho già parlato. Non so perché, ma io e Michela non ci trasferimmo nello stesso appartamento. Lei seguì Maria Assunta, Viviana e Rosaria, Gaetano e Simonetta andarono per conto loro. Per me cambiare casa era ormai un’attività di routine e mi accomodai nel primo posto che trovai. Con Michela durò ancora un po’, dopo che ebbe finito gli studi iniziò a trasformarsi, pian piano in una persona che non mi piaceva più. Divenne piena di sé, con idee strampalate sul futuro, convinta com’era che il mondo fosse la sua ostrica e che la perla attendesse lei e solo lei. Ci lasciammo dopo una litigata feroce dove entrambi dicemmo cose molto poco piacevoli.

Adesso ero al settimo appartamento, ancora un nuovo inizio, questa volta assieme a mio fratello. La vita di entrambi era decisamente migliorata. Cambiato casa, cambiato aria, abbandonati coinquilini molesti, cambiato quartiere. Mi sentivo davvero padrone del mio destino.

Nib aveva pure scaricato Viola, dettaglio da non sottovalutare, io, dopo Michela, ero rimasto solo. Non per forza per colpa mia.

Capitolo 9

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