Ricordo giorno, luogo e ora. Era il 4 luglio del 1995, ero in macchina sul Grande raccordo anulare, erano le 7.35. Ed ero fermo. Traffico impazzito. Intorno a me solo automobili in coda, tutti in camicia e cravatta, telefonini in funzione. Un caldo insopportabile. Ho pensato: «Così non va». Un’ora e mezzo per andare in ufficio, schizzi di adrenalina nella gincana del traffico, poi dieci, dodici ore di lavoro e via, altri slalom, buche da evitare, incidenti sfiorati a ogni chilometro, per chiudere la giornata tardi, privo d’energia, per poi ricominciare domani, e ancora, per sempre.
Lo racconta Simone Perotti che oggi ha abbandonato tutto, scrive e gira il mondo in barca e ha pure scritto un libro raccontando questa storia di incredibile coraggio. Certo, ci vuole coraggio a cambiare la propria vita, ad abbandonare tutto, per seguire un ideale. Un salto nel vuoto. Penso a me, allo stipendio che è il prezzo non equo per 8-10 ore di vita regalate giornalmente a un Amministratore Delegato.
Quanti di voi, se fossero ricchi, farebbero il lavoro che fanno? Quanti di voi andrebbero volentieri a ritirarsi in campagna, o i barca, per ritagliarsi una vita a misura d'uomo? Io senz'altro, ma non posso permettermi di rinunciare allo stipendio. Lì per lì invidio un po' il Perotti, poi però scopro chi è, anzi, è lui stesso a raccontarlo in un articolo pubblicato oggi sul Fatto Quotidiano:
Ho fatto il consulente, poi il dirigente, poi il general manager italiano di una delle maggiori agenzie mondiali, poi di nuovo in aziende quotate: direttore affari istituzionali e relazioni esterne in compagnie italiane e multinazionali. Ho fatto lobbying in Parlamento, inventato slogan per prodotti, organizzato eventi con migliaia di persone, ho fatto campagne elettorali.
Fatemi capire, questo tipo, che si spaccia per un coraggioso eroe dei nostri giorni, uno di quelli con le palle di abbandonare una vita “moderna” per una a “misura d'uomo”, è uno ricco? È uno che poteva permetterselo? Sai che coraggio, davvero. Leggendo l'articolo, verrebbe ancora più spontaneo urlargli di andarsene a dare via qualche parte del corpo, scoprendo che non era altro che un fastidiosissimo yuppies tutto macchinone, soldi e vita veloce, ovvero la tipologia di persone che ha contribuito forse più di tutte le altre a rendere questo mondo e questa società la merda di mammuth pressata che abbiamo davanti agli occhi e sotto ai piedi.
E devo leggere il suo auto elogio? E devo sorbirmi la pippa che lui ha abbandonato tutto quello che aveva costruito e, invece di godersi il periodo d'oro (giuro, dice così), ha deciso di SACRIFICARE (si, leggete bene, SACRIFICARE) tutto per “la libertà”. E infine, mi devo anche sentir impartire la lezione che il problema non è il denaro, che se non cambio vita è perché la società attuale, oltre a fregarmi la dignità, m'ha anche fatto il lavaggio del cervello, che sono, in pratica, una scimmia spaziale pronta a essere sparata su Saturno e tecnicamente senza attributi. E me lo devo sentire dire da Simone Perotti. E mi sa che m'incazzo.
Poi fermo la rabbia, sorrido, penso a tutti i miei amici che stanno peggio di me, che lottano per sopravvivere e lo fanno con una dignità che Perotti non sa nemmeno dove stia di casa ed è solo a questo punto che guardo la foto di questo “eroe dei nostri giorni” (bello e fico al timone della sua barca, con uno di quei sorrisi che ti fanno venir voglia di prenderlo a sberle fino a fargli cadere tutti i capelli). E, proprio mentre sto per chiudere la pagina, l'occhio biricchino mi scivola sulla frase di chiusura dell'articolo: Io, uomo come tanti, lavorando duro, con fatica, l’ho fatto.
E l'unico pensiero a prendere il sopravvento è: A Pero', te posso tocca'?