Ecco, possiamo darvi sangue e amore senza retorica, oppure sangue e retorica senza amore, o ancora tutte le tre cose insieme, o consecutivamente. Ma non possiamo darvi amore e retorica senza sangue, il sangue è indispensabile, è tutto sangue: ecco il trucco
(Capocomico, "Rosenkrantz e Guildestern sono morti")
Ho visto Baaria. Ho sempre considerato il cinema di Tornatore come la summa della retorica italica applicata alla celulloide, quindi per niente nuovo e per niente paradiso. Baaria non fa eccezione. Prevedibile excursus generazionale (quelle cose che vanno di gran moda da quel capolavoro che fu La Meglio Gioventù) che vorrebbe parlare dei cambiamenti di un luogo e di un popolo attraverso lo sguardo e le esperienze di un singolo individuo che inizia il film bambino e lo finisce coi capelli bianchi.
Dagli anni 40 ad oggi ce ne sarebbero di racconti, di domande, di spunti. Tornatore glissa su tutto, glissa sul fascismo, glissa sugli americani in Sicilia, glissa su Giuliano, glissa sui comunisti, glissa sulla mafia, glissa sul degrado, glissa sull’emigrazione, glissa sul clientelismo, glissa sui contadini. Il film sarebbe potuto essere ambientato in qualsiasi realtà rurale italiana senza una sola modifica al copione. Capiamo di essere in Sicilia dal dialetto e dal sole (meravigliosa la fotografia, questo si). Capiamo di essere a Bagheria dalla targa presso la stazione e dalle brevi inquadrature di Villa Palagonia, Tornatore quindi riesce a glissale non solo sulla Sicilia ma anche su Bagheria stessa... questo si chiama talento!
In finale, il mordente principale del film sono le comparsate di chiunque (Raoul Bova, Aldo, Faletti, Lo Cascio, Lo Verso, Lina Sastri, Frassica, Ficarra e Picone, Placido, Gullotta, Laura Chiatti e tanti altri fino ad arrivare a una tetta delle Bellucci).
Alla fine del film ci restano solamente un finale banale, melenso, patetico e ampolloso e tonnellate di amore, sangue e retorica che sotterrano tutti gli spunti presenti.