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lunedì 31 ottobre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #23

Macchina
di saluti e abbracci

Presi le chiavi della macchina e uscimmo. La macchina non era parcheggiata troppo distante. Poi dici che non devi maledire il caso… come quando devi fare una cosa mentre sei al volante e dici “al primo rosso la faccio” ed è la volta che becchi un’onda verde come mai ne hai incontrate in vita tua. Quella sera, quella sera che ero in giro, di notte, con Caterina e che mi avrebbero fatto comodo due passi romantici, la macchina era lì, dietro l’angolo, a meno di 20 metri dal portone. Roba che normalmente non è a meno di 2 isolati. Ma quel pomeriggio Nib aveva trovato subito postovicinocasacheculo!

Salimmo in auto in silenzio. Accesi il motore. Accesi le luci. Misi un po’ di musica.
“Dove ti porto? La notte è ancora giovane!”
“Dai, domani devo lavorare… portami a casa, per favore”
“Va bene… da l’Idiota?”
“Eh già...”

Conoscevo la strada. Mi disse che si era trasferita da lui da pochissimo che era stato molto restio perché non si sentiva pronto alla convivenza. Che fossero fesserie non lo dissi. Non le dissi nemmeno che quella era la prova del fatto che lui, di lei, non fosse eccessivamente interessato. Commentai invece che ognuno era fatto a modo suo e aveva dei tempi per fare le cose. E lo dissi infilandomi mentalmente un cacciavite in un testicolo.

Come ad interrompere ogni successivo sviluppo del discorso esclamò “bellissima questa!” alzando di 6-7 tacche il volume della radio. Era “200 Days” di John Grumo. Ascoltammo musica per tutto il non breve tragitto e parlammo solo per commentare quello che usciva dalle casse.

Mi fermai in doppia fila davanti al portone di un palazzo che aveva un disperato bisogno di essere ristrutturato, in una zona studentesca fatta di edifici nelle medesime condizioni. Nemmeno un cane in strada. Nemmeno veicoli. Accesi le quattro frecce. Spensi il motore. Lei tolse la cintura.

“È stata una bella serata” dissi spingendo le mani contro lo sterzo per stiracchiare le braccia “spero si ripeta…”

Mi cadde addosso. Cioè, la prima impressione fu che mi fosse caduta addosso. Invece mi stava abbracciando, in quel modo goffo in cui si può abbracciare la gente seduta sui sedili anteriori di una macchina, specie se uno dei due non è pronto, è legato con la cintura di sicurezza e aveva ancora le mani sul volante.

Si strinse, con il viso tuffato nell’incavo della spalla e restò così. Non sapevo che fare e dopo i primi secondi di tentennamento l’abbracciai a mia volta. Un altro abbraccio goffo, ovviamente. Dopo alcune decine di secondi allentò la presa e mi baciò sulla guancia

“Grazie, è stato tutto bellissimo… e anche molto… molto intenso… no… sbagliato parola… insomma… tante sorprese e… devo pensare a un sacco di cose… grazie. Non mi divertivo tanto da molto” aprì la portiera e uscì, andò di corsa al portone, poi tornò indietro, riaprì la porta “Ringrazia anche Nib!”. Tornò al portone, impiegò un tempo impossibile a cercare le chiavi nella borsa, aprì e scomparve inghiottita dal palazzo malconcio.

Mi sentivo come se fossi arrivato primo alle olimpiadi e contemporaneamente solo come un cane

CAPITOLO 24

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lunedì 24 ottobre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #22

Improvvisazione
di spalle, pelouche e ribaltoni

Usciti dalla sala da tè ci salutammo con naturalezza, come se non ci fossimo confidati nulla, come se il mondo fra le righe fosse inesistente.
Rimasi fermo guardandola andar via, mi sentivo come uno spaventapasseri in un campo abbandonato e in pieno inverno. Certo, avevo detto che poteva andar bene così, ma ovviamente mentivo e lei doveva averlo ben compreso.

Quindi la rincorsi.
“Ti va di cenare? Intendo insieme… tipo… da me, a casa? Poi ti riporto, eh!”

Feci del mio meglio per non farle capire che il reale invito era “vieni a casa mia a strapparci i vestiti di dosso?”. Fece un passo indietro, mi guardò, poi guardò l’ora sul telefono.
“Ehhh non lo so…”
“Se non vuoi non preoccuparti”
Indossai l'espressione da peluche abbandonato su uno scaffale di un supermercato.
“No, in realtà mi piacerebbe… è che avevo un impegno in realtà…”
La mia espressione da peluche abbandonato in balia di cani randagi bavosi, puzzolenti e incazzatissimi.
“...dovevamo andare al cinema…”
La mia espressione da peluche fatto a pezzi da molossi infernali.
“anzi… strano che non mi ha nemmeno mandato un messaggio…”
La mia espressione da peluche che guarda il molosso infernale contorcersi per un bottone andatogli di traverso.
“...’spe’...”
la vedo cercare un numero in rubrica. La vedo portare il telefono all’orecchio. La vedo girarsi dandomi il fianco. La vedo attendere e lanciarmi occhiate nervose.

“Amore! Ciao! Io? Sto tornando a casa… sì… fra una mezzora… sì… un attimo… sì, aspetta… volevo chiederti… sì sì veloce, veloce, due secondi… questa sera, poi?”
La vidi irrigidirsi e darmi le spalle. Facendo finta di farmi i cavoli miei con il lettore mp3 aguzzai le orecchie.
“Ah! Mi… non mi ricordavo… gli amici del poker… ma non avevamo la serata.... No? No… non avevo capito… Ermanno?!?… ah ok... no va bene... cioè mi dispiace... però... ok amore, divertiti. Ciao” Sospirò e portando l’indice sul tasto rosso mormorò con tono triste “anch’io, bacio”.

Si girò di scatto, feci finta di non vederla, ostentando concentrazione sul lettore che avevo in mano.
“Tutto risolto”
“scusa?” feci finta di essere tornato alla realtà ma avevo lo sguardo del peluche che si è trasformato nel Punitore e sgominato la banda di molossi narcotrafficanti a furia di mitragliate
“Sì, l’impegno è saltato”
“Beh, allora andiamo!”

Ci incamminammo verso la fermata dell’autobus dove ebbi un rapido scambio di messaggi con Nib:

Fatti trovare vestito
Gnocca?
VESTITI! PULISCI IL CESSO!
Gnocca! Bravo!
COGLIONE

Poi le dissi che ci sarebbe stato anche mio fratello a cena e lei si disse contenta e sembrò realmente sollevata dalla cosa, evidentemente passare una cena e un dopocena nelle mie grinfie non doveva metterla propriamente a suo agio.

Parlammo molto aspettando l’autobus, parlammo molto sull’autobus, Scendemmo con qualche fermata di anticipo per goderci la passeggiata e continuammo a parlare.
Parlammo di tutto quello che ci veniva in mente, con la naturalezza di quando stai bene con qualcuno senza più l’ansia di dire o fare la cosa giusta.

Passammo per un supermercato e poi arrivammo a casa. Trovammo la tavola apparecchiata, il gabinetto pulito, un aperitivo pronto e Nib vestito che salutò Caterina guardandomi con gli occhi sgranati con un punto interrogativo dentro.

La cena fu estremamente piacevole. Mangiammo, ridemmo, chiacchierammo, Nib raccontò aneddoti imbarazzanti sul sottoscritto e ad un certo punto arrivò quell’ora dove o ci si apparta raggiungendo il letto più vicino o si va a casa.

Mi chiese di riaccompagnarla a casa.

CAPITOLO 23

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lunedì 17 ottobre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #21

Surreale
di specchi e sottintesi

“Mi piace quando sei vicino, mi piaceva essere in tua compagnia… “
“Sì, ma tu stai con l’Idiota!”
“Lui è il mio ragazzo… gli voglio bene… sono innamorata… però poi ci sono delle persone … degli amici… con cui sto bene… che sono più di amici, insomma… e tu sei un amico di questi… anzi… forse lo sei ancora più degli altri… sono una frana…”
“Ma se non ci fosse l’idiota tu vorresti stare con uno di questi amici-più-di-amici?”
“Sì… No… non lo so… forse… non ci ho mai pensato in questi termini… ma penso di… boh”
“Senti, sarò chiaro, non capisco come tu possa stare con un imbecille come quello”
“Ma con me è diverso… tu vedi solo una maschera… lui non è così…”
"Questa risparmiatela per raccontarla allo specchio"
"A chi?"
"Allo specchio, quando ti guardi in faccia la sera e lavandoti i denti ti chiedi perché continui a stare con un mentecatto e la te riflessa sputando la schiuma risponde che è per abitudine e pigrizia"
"..."
Forse avevo esagerato.
"Io lo AMO!" sì, avevo esagerato e si stava arrabbiando.
"No. Tu ami l'idea di esserne ancora innamorata, perché forse all'inizio lo sei stata davvero, con tanto di farfalle nella pancia, forse eri in un momento di debolezza o bassa autostima o avevi semplicemente conosciuto gente ancora peggiore di lui. Ma ora non è possibile, non saresti qui".

Non è vero, questo non lo dissi, lo pensai, oh se lo pensai. Ma dirlo?
Troppo rischioso, sarebbe stato un suicidio fatto e finito, mi avrebbe dato dello stronzo, lanciato la tazza (piena) addosso e sarebbe uscita per sempre dalla mia vita. Indossai quindi la migliore delle mie facce da culo e più falso di un Giuda con una banconota da 3 euro in mano risposi:

"Ok, scusami... sono stato ingiusto"

Lei restò un po' in silenzio guardando nella tazza, con una tale intensità che mi venne il sospetto ci stesse leggendo il futuro.

"Mi sa che ho fatto male a volerti incontrare... mi ero fatta un film... che finiva con me in lacrime a commiserarmi per la mia pochezza. E non è andata come pensavo. Io pensavo che non mi calcolavi... e che eri pieno di donne... e... e.... sono confusa. È un po' che lo sono ma tu non hai diritto a dirmi certe cose."
"Hai ragione, scusami ancora. È che nessuno merita di essere trattato in quel modo".

Sentirmi dire una cosa del genere mi fece sentire in colpa. Mi stavo scusando per la verità, stavo dicendo il contrario di quello che avrei voluto. Ma avrei dovuto? Il suo mondo stava per cadere a pezzi, la crepa era evidente, accelerare l'inevitabile non sarebbe servito a niente se non a farla stare peggio. Mi venne in mente la polemica che avevo fatto a mio fratello per la storia del meritare e mi venne da ridere. Risposi allo sguardo interrogativo di Caterina raccontandole tutto.

"Sono d'accordo. Anche secondo me Marta non ti meritava"
Mi stava provocando? Non aveva capito niente? Sottintendeva altro?
"E chi mi meriterebbe?"
"Qualcuna che non ti mortifica ignorandoti e che ti sopporta quando fai lo stronzo"
"Avvertimi se la trovi. Tornando a noi, come la risolviamo?"
"In che senso?"
"Nel senso che immaginare di rivederti in veste di tuo amichetto preferito sapendo che sei innamorata di uno che considero migliore della merda solo perché si pettina mi mette a disagio, soprattutto se è nei paraggi"
"Saaaaaai! Poverino. E comunque mica ha detto nessuno che dobbiamo vederci sempre sempre quando c'è lui, no? Possiamo anche vederci noi. Lui lo sa che mi sei molto simpatico, mica è uno geloso e poi non dobbiamo fare nulla di male."
"Quindi è risolta così?"
"Se a te va bene..."
"A me può andar bene."

CAPITOLO 22

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lunedì 10 ottobre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #20

Silenzi
di zen, biscotti e pause

La portai in una sala da tè.
Il termine “sala” non rende l’idea, era un posto simile a un pub elegante, dove invece di birra servivano tè da abbinare con biscotti strani. Tutto molto zen, rilassato, silenzioso, sotto l’insegna “il profumo dell’acqua”.

Mi resi conto che avevo avuto un gran culo, era il locale perfetto e mi era venuto in mente per caso, cercando di richiamare alla memoria dei posti in zona. Entrammo, Caterina si sedette ad un tavolo riparato, la cameriera ci portò i menù con centinaia di tipi diversi di tè e dolcetti da abbinare.

Dopo aver sfogliato le pagine ruppi il silenzio:

“Sono nel più profondo delirio decisionale”
“Anch’io… non ci capisco niente… però questo sembra buono…”
“Quello alla frutta? Sì forse, hai ragione… scegliamone due diversi però…”
“Allora io prendo questo e tu questo qui!” mi disse indicando sul menù.

Mi adeguai, ordinammo e restammo in silenzio, guardandoci attorno. Finché non arrivarono i nostri tè. Sul vassoio c’erano due piccole teiere in ghisa, piene di acqua bollente e con le foglie in infusione e due mug diverse fra loro sia di forma che di colore.

“Forse ora il giaccone puoi toglierlo…” le dissi.
“Eh??! Oddio!! Non mi ero resa conto di essere ancora tutta infagottata, stavo così bene al calduccio! Però mi sa che hai ragione…” iniziò a spogliarsi ridacchiando. Nel frattempo arrivarono anche i dolcetti: biscotti per me e una torta soffice per lei.

“E così ti mancavo ma non ti mancavo…” dissi quasi fra me e me.

Caterina arrossì, ma non disse nulla, prese la sua teiera, si versò un po’ di infuso nella tazza e respirò il vapore con occhi chiusi ed espressione godereccia. Poi mi guardò. Seria. Sguardo fermo su di me che facevo finta di nulla versandomi il tè a mia volta:

“Perché sei sparito?”

Avendo cura di non ricambiare il suo sguardo e con fare distratto, mentre giravo pigramente il mio infuso con un cucchiaino, risposi:

“Vuoi la verità?”
“Sì”
“Sicura?”
“Sì”
“Sai, spesso la gente pretende una risposta sincera salvo poi offendersi quando questa non è all’altezza delle aspettative. Quindi a volte, per quanto non mi piaccia, preferisco censurare la realtà, dare una risposta di comodo o rispondere quello che gli altri vogliono sentirsi dire…”
“Non ti ho chiesto se mi trovi ingrassata…”
“Ecco, nel tuo caso avrei risposto sinceramente un no, comunque hai centrato il punto…”
“Non stai rispondendo”
“Mi è difficile rispondere. La domanda traccia un bivio e la risposta può portarmi in territori inesplorati che potrebbero non piacermi affatto”
“Non piacerebbero nemmeno a me?”
“Penso di no. Però c’è una risposta, che magari non ti piacerebbe lo stesso, ma ci porterebbe su un percorso già abbondantemente mappato e sicuro, lasciandoci esattamente così come siamo.”
“Ma sarebbe sincera”
“Probabilmente no”
“Quindi devo scegliere fra due risposte che potrebbero non piacermi?”
“Sì… ”
"Ma che ne sai? È tutta una tua presunzione. Tu hai deciso che delle risposte potrebbero piacermi, altre no, altre non si sa... "
"Vero, ma anche tu avrai qualche idea su quello che vorresti che ti rispondessi e su quello che non ti piacerebbe"
"Forse... so cosa vorrei che mi dicessi, ma so che non lo dirai e non sono nemmeno sicura che mi piacerebbe... in fin dei conti mi mette un po' paura pensarci..."
"Quindi?"
“Quindi scelgo la risposta non di circostanza… quella più sincera… la verità insomma!”
“Pur tenendo in gran conto la tua preferenza, non è detto che invece a me vada di rischiare, in fondo una risposta di circostanza non avrebbe ripercussioni di nessun tipo”
“Quindi?”

Morsi un biscotto. Lo masticai lentamente. Lo assaporai (cristo se era buono!). Caterina mi guardava fisso, potevo vedere i suoi pensieri muoversi freneticamente, mentre con una mano nervosa disintegrava la tovaglietta di carta.

“È per colpa tua” risposi a bruciapelo, visto che tutti i miei tentativi di prendere tempo erano andati male

Decisi per la risposta più complicata. La verità. Senza censure. Cosa potevo rischiare? Un’ustione in faccia da tè bollente per poi non rivederla mai più? Non vederla più era proprio quello che tentavo di fare da un pezzo, quindi non rischiavo niente.

“Cosa?! Cos'è colpa mia?”
“Se sono scomparso”
“...”

fa sempre effetto lasciare qualcuno senza parole. E ammetto che in quella circostanza ci provai più gusto del solito.

“Ma cosa ti ho fatto?”
“Mi piaci. Mi piaci molto. Ho provato a far finta di nulla ma non ci riesco, quindi mi sono allontanato…”

Restammo in silenzio, ognuno concentrato sulla sua tazza e sul dolce.

“... e io che pensavo mi considerassi una cretina… e... e ora capisco anche perché Nib si comportava così quando gli chiedevo di te… e…” e sorrise.
“E… ?”
“...niente...”
“Ok, hai avuto la tua dose di verità, finiamoci la merenda e poi ognuno per la sua strada, in pace per quanto possibile...”
“Perché?”
“E me lo chiedi pure?”
“Non lo capisci?”
“Cosa devo capire?”
“Anche tu mi piaci”
“Rus vuxcvxjklhjjlhg sg lògzkg?” dissi così, giuro. E i pensieri in quel momento non erano affatto più limpidi.

CAPITOLO 21

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