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lunedì 28 novembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #27

Idrocarburo
di musica e battibecchi

La festa fu uno spasso.

Nonostante l’imbarazzo non feci nulla per non stare lontano da Caterina e lei idem, ci passavamo vicini, ci sfioravamo. Nib si ubriacò quasi subito. C’era un vino spaventosamente agghiacciante, praticamente un idrocarburo, che gli andò direttamente al cervello senza passare per l’apparato digerente.

Iniziò prima a fare il brillante, attirandosi le attenzioni della maggior parte delle femmine sconosciute presenti (cosa che gli sarebbe riuscita anche da sobrio, con l'emicrania, un un’unghia incarnita, una macchia di sugo sul maglione e la nonna al seguito). Poi iniziò ad esagerare, alzò la musica, si mise a ballare con 3 (tre) di queste. Ballavano solo loro, in mezzo a questo misero salottino con un divano marrone e qualche cuscino a terra. Io e altra gente eravamo sul terrazzo, altri erano in cucina, altri ancora in piedi sulla porta a gustarsi lo spettacolo.

Nib era carico, era un fungo atomico sterminatore, un corpo ormai imbottito di alcol e testosterone, niente e nessuno lo avrebbe più fermato. Io lo sapevo. Io lo conoscevo.

Ne baciò una, una mora, decisamente carina che sembrò stupita ma non contrariata, l’abbracciò, fu ricambiato. Non pago allungo una mano, tirò a sé la seconda, un’altra moretta leggermente meno carina della prima ma, diciamo, con un paio di argomenti decisamente convincenti. Baciò anche lei.
Sentii uno dietro di me bestemmiare e spingere per passare urlandomi nell’orecchio cosa tipo “Puttana! Stronzo!”.

Ma Nib non sentiva, la musica era alta e lui, ormai posseduto da Supersex, era concentrato nel rilascio del fluido erotico. Stava per baciare pure la terza, una bionda dal sorriso mascalzone ormai totalmente alla sua mercé, quando l’Idiota spense la musica.

La moretta (la seconda), si staccò immediatamente da Nib portandosi le mani alle guance e girandosi verso di me con gli occhi sgranati. Non guardava me, ma il ragazzo che, se non lo avessi prontamente fermato, si sarebbe gettato su Nib o su di lei come un ultimate warrior qualsiasi.

Voltandosi verso lo stereo, Nib disse: “Chi è quel mentecatto figlio di un dio nano che ha staccato la spina?” Si fermò mettendo a fuoco l’Idiota per qualche frazione di secondo “Ah, scusa… chi è quel mentecatto, figlio di un dio nano, coi calzoni a quadretti e le scarpe da ritardato che ha spento la musica?”. Attorno c’era il putiferio, il ragazzo della moretta inveiva e cercava di liberarsi da me e da altri che lo tenevamo dicendogli, dai, non è successo niente, non si sono mica baciati, hai visto male, ballavano solo, tranquillo. L’Idiota, effettivamente con calzoni a quadretti (in realtà erano calzoni color beige-cacchetta con motivi scozzesi di un noto stilista) e con scarpe curiose (una sorta di mocassini neri con una suola indecentemente alta e dentellata, tipo scarpe ortopediche con carrarmato per lo spazio, anch’esse di un noto designer di calzature), era rosso in volto e aveva assunto una posizione da padre severo. E su tutto ciò Caterina rinunciò a trattenere le risa.
Al suono della sua risata tutto sembrò cristallizzarsi, urla, voci, rumori si fermarono all’istante, tutti guardarono lei con le mani sulla bocca che cercava di fermarsi e poi guardarono l’Idiota. La ragazza di ultimate warrior scappò in bagno, la bionda e la mora iniziarono a raccogliere le loro cose. Nib in piedi come un cretino si grattò il mento.

E lì si consumò la tragedia. L’Idiota guardò Caterina e le si avvicinò urlando “Cosa cazzo Vidi, cVetina?!” la prese per un braccio strattonandola e portandola via urlandole nell’orecchio “Cos’hai da VideVe, bVutta deficiente?!?!”. Uscirono dalla porta del salotto, lui continuava ad urlare, poi sì sentì sbattere una porta e dedussi si fossero chiusi in camera. Ultimate warrior si diresse verso il bagno, non prima di aver urtato Nib con la spalla. Ma lui non gli diede peso, la bionda lo aveva preso per mano e lo stava tirando verso la porta d’uscita.

Mi avvicinai allo stereo. “Beh, una gran festa riuscita” dissi. E rialzai un po’ il volume, quel tanto che bastava per coprire gli strilli dell’Idiota e di Caterina. Ma non quelli di Ultimate.

Tempo 20 minuti e tre quarti dei presenti, fra cui Nib, se n’erano andati, chi inventando una scusa, chi scomparendo. Qualcuno, fra cui il sottoscritto, cercava un po’ di rassettare. Ultimate era passato dal “puttana puttana” al “dai gattina esci”. Gattina uscì, si abbracciarono, e andarono via anche loro.

Passarono altri 20 minuti. Rimanemmo in 5. Eravamo ormai indecisi se passare pure lo straccio per terra, non avevamo più niente da riordinare, avevamo pure lavati i piatti.
Ero di ottimo umore. Sì, certo, mi dispiaceva per Caterina ma pensavo anche che una bella overdose di realtà le potesse far bene, dopo una scena così pensavo che non avrebbe più potuto sostenere tesi fantascientifiche tipo che non fosse davvero un inutile minchione.
Mentre cercavo di convincere il resto della risicata truppa a proseguire la serata in un pub, la porta della camera si aprì, uscì Caterina di corsa urlando un “mavvatteneaffanculo!” fra le lacrime, ci passò in mezzo e uscì di casa. Si affacciò l’Idiota dalla stanza, sguardo superbo, guance rosse, ci guardò accendendosi una sigaretta:

“Le donne sono tutte cVetine… scusate la scena di Cate e gVazie per essere venuti… e tuo fratello o lo lasci a casa o lo tieni a bada, la pVossima volta”

“Riferirò, tu però prova a vestirti come una persona normale… provaci almeno, eh!”

Uscii gongolante, mentre il resto della truppa salutava più formalmente.

CAPITOLO 28

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lunedì 21 novembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #26

Zigulì
di nascondigli e nascondini

Passarono i giorni e le settimane e forse anche un mesetto buono. In questo lasso di tempo i contatti con Caterina erano sporadici, una telefonata, uno scambio di messaggi. In un tardo pomeriggio andammo insieme al cinema. L'Idiota era, tanto per cambiare, a fare altro.

Il giorno dopo mi svegliai bene, di quel buon umore quasi ai limiti dell’euforico di quando ti svegli e vedi che la vita va per il verso giusto e che i giorni non sono tutti un susseguirsi di meccaniche ripetizioni delle stesse abitudini. Il risveglio di quello che è sopravvissuto ad un frontale in auto senza nemmeno un graffio, di quello vivo per miracolo.

Non era successo niente e contemporaneamente era successo tutto, in un niente, giorno dopo giorno, ero entrato nel mondo delle possibilità. Mi chiesi, come tutte le mattine, se era il caso di importunare nuovamente Caterina. Decisi di fare il sostenuto per tutta la giornata e fu un’autentica tortura.

Mi sentivo come quando da piccolo rimediavo delle caramelle o dei dolcetti. Ne avevo fatto a meno per settimane, mesi, senza che questo mi pesasse, ma appena ce li avevo fra le mani non riuscivo a smettere di mangiarne fino a rimanere nuovamente senza.

Ricordo quando qualcuno mi comprò un pacchetto di Zigulì. Ne mangiai immediatamente la metà, poi decisi di centellinarle, di seguire il consiglio che mi davano tutti: “non mangiartele tutte insieme, fattele durare”. Allora me le nascosi facendo quello che solo la mente meravigliosa di un bambino può concepire. Le misi fra due libri, nella libreria della cameretta che spartivo con Nib, e mi misi a giocare. Me ne dimenticai volontariamente. Mi fregai da solo.

Le ritrovai solo mesi dopo, per sbaglio, giocando con i libri. Ricordo la sorpresa, il gusto di trovare un dono inaspettato, le mangiai. E solo dopo averle finite ricordai di averle nascoste io e perché.

Nei primi momenti di approccio con una ragazza sono ancora un bambino con un pacchetto di caramelle che cerca di non bruciarsele subito tutte, che si sforza con sé stesso di distrarsi, di pensare ad altro, di centellinare l'entusiasmo. Appena mi accorgo di essere nel mondo delle possibilità smetto di trattenermi: telefono, messaggio, sono presente. A pensarci bene solo con Marta è stato diverso. A posteriori è facile trovare un senso alle cose.

Nascosi le mie Zigulì per tutto il giorno fino a notte e il mattino dopo trovai due messaggi di Caterina

mi sa che ti sei già scordato di me

seguito da

Dopodomani ho invitato un po’ di gente qui da noi, venite?

Il secondo lo aveva ricevuto pure Nib che rispose affermativamente. Quel “qui da noi” non mi andò giù. Mi rese indigesta la colazione e mi mandò di traverso la giornata. Non risposi ai messaggi considerandomi un imbecille per aver creduto che qualcosa fosse possibile.

Quando arrivammo a casa dell’Idiota, ci aprì la porta Caterina, la vidi felice, dietro di lei l’Idiota. Mi tornò in mente un momento poco edificante della mia storia.

Ero decisamente più giovane, stavo con Luciana, studentessa fuori sede, tanto per cambiare, e un’estate decise di invitarmi per ben un weekend nella sua casa al mare con l’ordine tassativo che io non dovevo essere io, che non avrei dovuto dare l’idea che stessimo insieme. Si trattava di una sorta di villino prefabbricato di due piani. Lei era al piano terra, la zia al secondo. Ci sarebbero dovuti essere la cugina Luisa che mi conosceva, l’altra cugina Arianna che non doveva sapere di me e soprattutto il fratello Paolo che, se solo avesse sospettato, mi avrebbe staccato la testa cacandomi nella trachea. In più poteva capitare qualche zia a contorno, quindi mi sarei dovuto guardare le spalle.

Si prospettava un fine settimana di tutto relax anche perché il fratello conosceva il mio vero nome, perché da bravo romantico avevo passato le settimane estive precedenti scrivendo alla pulzella romanticissime e imbarazzanti lettere manoscritte, insomma quelle cose per cui uno potrebbe essere ricattato a vita, dove in pratica stai scrivendo “sono cretino, sono un mentecatto, sono un coglione, sono un imbecille, sono misero, sputatemi addosso” ma te ne rendi conto solo quando, un mese dopo, ci ripensi.

Decisi quindi che sarei stato Oronzo. Tutti d’accordo. Io mi pregustavo un po’ la scena, questo temibile Paolo mi era stato descritto come uno stronzo del secolo scorso. Quelli che la femmina deve stare zitta e chiusa nell’unico luogo che le compete, la cucina, a pulire verdura, rammendare calzini bucati e fare caffè per poi andarsene solo una volta sposata con qualcuno che avesse ottenuto il benestare del padre padrone.

E quindi a un minchione di questo calibro sei ben disposto a fare qualsiasi cosa.

Il terribile fratello invece era una bravissima persona, avevamo anche delle cose in comune. E mi sentii l’ultima delle merde schiacciata su un bollente marciapiede d’agosto a prenderlo in giro. L’amore, è noto, porta a fare un sacco di cretinate, prima fra tutti quella di fidarsi della gente sbagliata. Luciana era una persona sbagliata, la più classica femmina con più complessi della vitamina B tutti sfogati contro e sul prossimo.

E, insomma, noi siamo lì, io e Paolo, che parliamo e facciamo gli spiritosi cambiandoci dopo il mare. Lui mi chiede se conosco quello che fa il filo alla sorella, prima nego, poi mi fa il nome e mi faccio prendere la mano. “Lo conosco” gli dico “è uno un po’ coglione” e giù d’insulti a me medesimo. Ride, Paolo. Rido anch’io. Ridono un po’ tutti. “Ahahah mia sorella giusto un coglione poteva rimediare! Ahahahahah!”. Io e Paolo ci diamo sonore pacche sulle spalle. Ormai è fatta, Oronzo ha vinto la sua fiducia, ha fatto breccia. E ovviamente la tragedia è prima che dietro l’angolo.

Mentre noi ridiamo, Laura saluta, che se ne va, e mi saluta col mio nome, io faccio finta di niente, rido di grosso. Paolo smette di ridere “Come t’ha chiamato?”, faccio lo gnorri. Laura arriva di corsa, mi prende per mano e mi porta via.

Vengo nascosto nella casa della zia (al piano di sopra). Dove vengo tenuto tutta la notte.

Mi si racconta che Paolo è feroce, che gira attorno alla casa con coltelli, fucili e bombe a mano.

A me la cosa non interessava particolarmente, volevo solo fare sesso con Luciana, onestamente. Ma non mi fu permesso, perché lei aveva troppa paura e volle la cugina Arianna sempre con noi.

Ricordo chiaramente che mi sentivo come un camorrista traditore il giorno prima di essere nascosto dalla polizia, quando capisce che il boss ha saputo del suo tradimento e ha chiesto la sua testa su un vassoio d’argento.

Ovviamente erano tutte cazzate, frutto della peculiare visione della realtà di Luciana, ma che interpretasse la realtà in quel modo tutto personale lo capii solo dopo tanto tempo. Lì, quella sera, in quella stanza mi sentivo pure in colpa per aver preso per il culo il povero fratello che aveva tutto il diritto ad essere incazzato.

Passata la nottata (in bianco) decisi che non mi andava di passare un’altra giornata da recluso. Preparai il mio zaino, presi la mia roba, ingoiai la vergogna e andai al piano di sotto. Salutai Paolo, mi scusai per l’accaduto e me andai a prendere la corriera.

Ecco. Guardando negli occhi l’Idiota provai vergogna.

La stessa identica vergogna che provai quando Paolo mi chiese “come t’ha chiamato?”.

Poi mi resi conto di com’era vestito, feci mente locale e la cosa un po’ mi passò. Già, perché Paolo era una brava persona con una sorella un po' cretina e l’Idiota era … beh era l’Idiota, senza attenuanti.

CAPITOLO 27

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lunedì 14 novembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #25

Jon Grumo
di ipotesi e canzoni

A parole e con Nib ero bravo a fare il fenomeno. La storia del coccodrillo non so nemmeno da dove mi fosse venuta. Ero orgoglioso di me stesso. Ma erano solo idee, parole, proiezioni di qualcosa a cui non sapevo se fossi capace di tener fede.

Forse avevo semplicemente descritto quello che avrei voluto essere oppure stavo gettando le fondamenta di un bel castello di idee elevate dove ripararmi in modo che il fallimento non fosse colpa mia.

Invidiai Nib, lui sarebbe andato al punto. Entrambi non eravamo troppo portati per la strategia, lui però riusciva a mantenere un approccio diretto, senza strafare. Metteva semplicemente le cose in chiaro, del tipo “io sono io, voglio te e non accetto un no”. E funzionava. Non ricordo sia mai stato rifiutato. Mai. Eppure dopo un po’, spento il fuoco, finiva tutto, spesso male.

C’era una correlazione o lui, semplicemente, puntava sempre su quelle sbagliate, distratto magari da una quinta o da un bel paio di chiappe?

Non arrivai ad una risposta perché Caterina si fece largo nei miei pensieri. La immaginai tornare a casa, chiudere la porta piano, e al buio lasciare le chiavi in uno svuota tasche, togliersi il cappotto, appenderlo a un attaccapanni, togliersi le scarpe e andare al bagno cercando di non far rumore. La immaginai chiudere la tazza con un’espressione di fastidio. Sedersi, rannicchiandosi con le ginocchia al petto e restare lì, a riordinare i pensieri, magari riscorrendo i messaggi del pomeriggio sul cellulare.

Si sarebbe lasciata cullare dal ricordo o si sarebbe fatta sopraffare da un subdolo senso di colpa? Avrebbe pianto? Avrebbe sorriso? Non potevo saperlo. Di una sola cosa ero certo, comunque fosse andata, ad un certo punto, sarebbe andata in camera da letto, si sarebbe spogliata e infilata sotto le coperte. Di fianco all’Idiota. L’ultimo pensiero mi fece male. Capii però che non dovevo “distogliere i pensieri”, dovevo accettare la situazione se volevo mantenere un equilibrio fino alla fine, qualunque essa fosse. Dovevo accettare che lei sarebbe tornata da lui ogni sera, che si sarebbe svegliata al suo fianco, che lo avrebbe carezzato, che si sarebbero baciati, che magari avrebbero fatto l’amore. Magri solo sporadicamente, controvoglia, senza alcuna soddisfazione reciproca magari a causa di alcune precocità estreme di lui...

Ma quale sarebbe stato il mio ruolo? Io sarei stato un tarlo? Un’idea fissa? Una speranza? Un senso di colpa? Una crepa destinata a far crollare il muro o ad essere imbrigliata dallo stucco?

Le mandai un messaggio. “Buonanotte” scrissi. Alla faccia del coccodrillo che aspetta il momento propizio per scattare. Nemmeno il tempo di sentirmi un cretino, ed ecco la risposta:

vorrei essere ancora in macchina con jon grumo che canta per noi

Non riuscii a trattenermi dal rispondere “as no good reason remains, I'll do the same...”, una strofa della canzone a cui faceva riferimento. Sapevo che non dovevo continuare, che era meglio interrompere lì lo scambio di messaggi. Ma era come averla di nuovo vicino a me e lontana dal letto dell’Idiota. Sapevo di tirare un filo sottile, sapevo che se si fosse rotto non avrei più potuto ripararlo. Ma ormai il danno era fatto. Decisi di non rispondere altro. Sperai che anche lei condividesse il mio stato d’animo. Rispose con un’altra strofa della canzone “...One day a ship comes in. Buonanotte”. Scelta a caso? Fortissimamente voluta? Curioso che fra la strofa scelta da me e quella scelta da lei ci fosse in mezzo un “thinking of you”.

Sì, lo ammetto, ero in disgustoso tunnel da pattume romantico e non facevo altro che supposizioni. Inutili supposizioni. Una cosa sola era certa: era sveglia, col cellulare in mano e il mio messaggio non l’aveva in alcun modo presa in contropiede, quindi era ancora lontana dall’Idiota.

L’idea mi rasserenò e mi permise di guardare al domani con ottimismo. E godermi il sonno dei giusti.

CAPITOLO 26

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lunedì 7 novembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #24

Confronto
di orgoglio e coccodrilli

“Sveltina in macchina?”
“Cosa?”
“Sveltina in macchina. Sai, calzoni mezzi calati, le chiappe in mostra dal vetro davanti, lei che si lamenta perché ha un poggiatesta in una costola ma tu prendi il tutto come un inno alla tua maschia potenza…”
“Definizione di un cruciverba?”
“No, farina del mio sacco e non stai rispondendo”
“No”
“Cioè? Non è farina del mio sacco? Ti ho picchiato per molto meno”
“Non mi hai mai picchiato”
“Forse una volta. Ma non stai rispondendo”
“No”
“Non vuoi rispondere?”
“Niente sveltina”
“Cioè? Tu in 48 minuti sei uscito, sei arrivato oltre le colonne d’Ercole, ti sei fatto una comoda scopata come Dio comanda, sei tornato indietro e hai pure parcheggiato? Lo sai che sotto i 10 secondi può essere un problema?”
“Secondo me tu sei stato adottato”
“Me lo diceva anche mamma!”
“Ho trovato posto subito e non c’era traffico. E non abbiamo fatto niente”
“Giochi di mano?”
“Giochi da villano”
“Coglione”
“Ehehehe! No, niente di niente”
“Limonato prepotente?”
“No”
“Lingua in bocca e mano su una tetta?”
“No”
“Sei una delusione”
“Me lo diceva anche papà”
“Devi darmi delle spiegazioni”
“Ti fidi di me?”
“No”
“A posto”
“Dai, cazzo, cosa è successo? Che ci faceva Caterina a casa nostra? Che ci faceva Caterina con te? E dov’è l’Idiota?”
“Andiamo per gradi. Sai come la penso su di lei”
“Appunto”
“È incasinata. Sta con l’uomo merda e fa finta di non saperlo. Sai, quelle questioni di orgoglio, tipo il Senegalese con cui parlammo quest’estate”
“Quello che all’umiliazione di tornare a casa preferiva vivere da mendicante qui scrivendo lettere ai genitori in cui millantava una posizione sociale invidiabile?”
“Esatto”
“Quindi è solo una questione di orgoglio personale?”
“Più o meno, sarebbe ammettere col mondo di aver sbagliato”
“Vabbè, dai, non ci sta col cervello”
“Sbagliamo tutti, eh!”
“No, cazzo, io posso sbagliarmi e mettere poco sale nella pasta, non a condividere il letto con l’Idiota…”
“Devo ricordarti Viola?”
“...colpito e affondato”
“Ecco. Quanto c’hai messo a lasciarla?”
“Beh, un pochino”
“Nib!”
“Forse un po' di più...”
“Comunque troppo. E mi pare che lei sia in una situazione simile. Sta con un imbecille, ma in fondo ha delle qualità, potrebbe lasciarlo, ma lui ci starebbe male e poi perché lasciarlo o per chi? Magari non andrebbe bene lo stesso e bla bla bla”
“Mi sa che la fai troppo complicata. Secondo me il punto è che non sai mai se è colpa tua o colpa sua”
“Dici?”
“Sì. Per quanto ce la raccontiamo, nessuno ha la coscienza pulita alla fine. Sensi di colpa, mancanze, rimorsi, rimpianti. Cose fatte male. Cose che si potevano fare meglio… sai, questa roba qui”
“Ti preferivo quando facevi l’imbecille”
“Dai, ogni tanto fammi fare il fratello maggiore. Anche se non ho ancora capito cos’hai intenzione di fare”
“Io ancora niente”
“Bella strategia!”
“Faccio il coccodrillo”
“Piangi?”
“no, resto fermo”
“Utile”
“Sto fermo. A bocca aperta. Faccio finta di vedere il mondo che passa senza curarmene aspettando il momento in cui il destino mi confonderà con lo sfondo, si dimenticherà di me, mi sottovaluterà e mi darà le spalle”
“E poi?”
“A quel punto scatto e mordo quello che trovo. Poi succeda quel che deve succedere”
“Non ti capisco, io le chiederei di scegliere”
“Io no”
“Capisco perché di donne in quella stanza ne passino poche”
“Non credere che non lo vorrei. Ma alla fine cosa otterrei? Dico, anche se venisse con me, non potrebbe restare coi dubbi? Mi piacerebbe altro. Mi piacerebbe che la scelta se la meditasse per bene. Non la voglio influenzare. Non penso che Caterina si meriti il pressing, la pressione, l’obbligo di scelta al buio”
“mi pare una cazzata”
“mettila così, una che cambia uomo dall'oggi al domani, dietro richiesta, ti ispirerebbe fiducia?”
“Intanto me la darebbe!”
“Dai, imbecille! Dico sul serio”
“Beh, che ne so, fai domande complicate”
“Domande complicate per gente complicata. Caterina è complicata”
“Bah! In fondo la conosci più te di me. Non ti capisco, ma mi adeguo. Ma nella pratica?”
“Nella pratica esattamente come prima”.

CAPITOLO 25

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