Questa volta l’amara sorpresa mangereccia è avvenuta in una birreria nota come Lapsutinna. Come birreria è fenomenale, fornitissima di roba incredibile con il problema storico dei prezzi che, in un’incresciosa escalation, sono arrivati a vette tali che con un'amica abbiamo sostituito il rituale della birra periodica con quello del sushi.
Lapsutinna, oltre a vendere birra, spaccia anche primi piatti, secondi e dolci. Tutta roba di qualità preparata dai tenutari con tanto affetto. Il problema è che, ormai, una fettina di dolce e un birra costano quanto una cena. Ok, la qualità si paga, è vero, ma prima di parlare dovreste andare a vedere il locale.
Un autentico buco di cesso con appese alle pareti delle mensole coperte di lattine, boccali e bottiglie di birra, una foto autografa di Stefania Orlando (ah, i vips!), una di Cloris la zingara della Luna Nera (mai più senza), una foto di un paesaggio, varie pubblicità di birre, un televisore lcd inchiodato a un muro (usato in occasione delle partite di pallone), una delicatissima mongolfiera che pende dal soffitto e poi... 2 teste di iena impagliate, una testa di tapiro impagliata e un lucertolone impagliato. Roba di gran classe, credetemi. Oh, a me della testa di tapiro non me ne frega un cazzo, mi piace l’osteria brutta, sporca, cafona, coi tavoli appiccicosi, le panche, gli spazi angusti, le foto trash e il cattivo gusto imperante. Mi piace perché ha degli indubbi vantaggi, tipo il calore, tipo la possibilità di mangiare roba schietta. Vi dirò, mi sta pure bene l’evasione fiscale (l’ho detto!) dell’oste anziano che mi mantiene prezzi onesti per arrivare dignitosamente a fine mese.
Altra particolarità del luogo, oltre alla fine estetica, è quello di essere frequentato da cozze. Sapete quelle tipe che non tocchereste nemmeno col pisello di qualcun altro? Ecco, quelle lì. La cozza è comunque molto utile per capire quando si deve smettere di bere... appena qualcuno del tuo tavolo, dopo l’ennesimo sorso di ottuplo malto, ammicca al tavolo delle cozze e ti dice “a ripensarci... quella a destra... quasi quasi... un colpettino...”. Ecco, insomma, quello è il momento di pagare e andarsene.
Smetto di divagare. Il luogo in questione non è più niente di tutto ciò, da un po’ di tempo a questa parte è diventato solo un buco di cesso, molto costoso e gestito da evasori fiscali, tralasciando poi l'epopea del pos sempre misteriosamente rotto causa cortocircuito, incendio, erosione dei cavi, tralicci abbattuti, sciopero delle connessioni o che... e nonostante tutto, di rado, ancora ci si prova ad andare. In fondo un’abitudine decennale non si abbandona troppo facilmente. L’ultima volta (che prometto sarà davvero l’ultima), non troppi giorni fa, si entra, baci e abbracci con la padrona, ci si siede e si chiede un dolce e una patata fritta. Veniamo scrutati come due cacce di cane abbandonate davanti a un supermercato. Il regolamento del locale impone di bere, ci viene detto. Badate bene, il concetto di “regolamento del locale” in una topaia come quella è già di per sé elemento di ilarità, ma quanto il fatto che il “regolamento del locale” imporrebbe a chiunque vi metta piede la consumazione di un qualche beveraggio... beh è troppo. Puoi mangiarti quello che vuoi, ma se non bevi violi il regolamento del locale. E sono cazzi. Cioè, sarebbero cazzi...