Citazione

venerdì 26 giugno 2009

il titano


Non sono mai stato un fan di Jackson, in quell’età in cui si ha bisogno di idoli e punti di riferimento io avevo i miei, e Jackson era un po’ il nemico. Ma era una presenza ingombrante, era lì, era gigantesco. Fin da quando ho memoria c’è stato Michael Jackson, come il Colosseo. E ho sempre dato inconsciamente per scontato che quella presenza monumentale rimanesse non dico per sempre, ma almeno fino al naturale declino, al ritiro dalle scene per sopraggiunta senilità. 

Pur considerandolo in effetti un fenomeno da baraccone (alla stregua di gente come Cher, Berlusconi, Valentino, ...) ho sempre sostenuto che, a causa del fatto che da bambino fosse già un dio dorato e delle molestie paterne, non abbia vissuto l'infanzia, passando il resto della vita cercando di restare aggrappato in qualche modo al bambino che era quando non proprio di ritornare ad essere bimbo.
Si è comprato un luna park per metterlo in casa e invitarci i suoi amichetti, che avevano al massimo 12 anni, bimbi come lui voleva sentirsi e considerarsi ma il mondo fuori lo trattava da adulto. Voleva essere il bambino che non gli è mai stato permesso essere. Se ci penso bene, questa è fra le 5 cose peggiori che possono accaderti nella vita... quella di non poter essere mai bambino. Certo, ce ne sono tanti di bimbi a cui viene negata l’infanzia, ma sono pochi quelli che poi vengono ricoperti d’oro ed elevati al rango di divinità.

Jackson è vissuto sempre circondato da parenti serpenti, sanguisughe, lacché, puttane, sfruttatori di ogni sorta. Gli hanno tirato fango addosso per ignoranza, invidia o semplice calcolo... e tutto questo un bambino non lo capisce, non lo può capire.

Fra l'altro, leggo nel ricorso estremo alla chirurgia un tentativo disperato di restare bambino anche nell'aspetto esterno, un modo per ancorarsi a quel mondo fantastico (non inteso come "wow incredibile!" ma proprio nell'accettazione di "fantasy") che è proprio dell'infanzia. 
Chiamatelo Peter Pan, chiamatelo pazzo, chiamatelo malato, ma è il Re del pop. Ha preso un genere musicale e gli ha impresso la propria impronta. Lo ha fatto così a fondo che oggi nessuno riesca a suonare determinate cose senza copiarlo (in alternativa si saccheggiano gli Smiths...), senza citarlo, senza ammettere intrinsecamente “lui è stato e sarà sempre tante spanne migliore di me”. Creare qualcosa a propria immagine e somiglianza è proprio delle divinità, quando a farlo è un semplice essere umano il prezzo da pagare è alto.

Il re oggi è morto e non c’è nessun erede degno di occuparne il trono.

E la morale? La morale l'ha sintetizzata alla perfezione il mio amico Biondonoi: "ha dimostrato che non basta avere tanti soldi da potersi comprare i diritti dei Beatles per poter essere felici".

venerdì 5 giugno 2009

oste, il vino è buono


Recentemente ho avuto contatti molto ravvicinati con maniaci del biologico. Non c’è niente di male a voler mangiare biologico, anche se, quando non sei tu direttamente a coltivare e curare i tuoi futuri alimenti, serve sempre un atto di fede, grande o piccolo che sia. Comunque, questi episodi mi hanno dato da pensare e il pensiero si è trasformato in domanda: non è che il bio è per lo più un fattore di moda da fighetto? Qualcosa di simile ai milioni di esperti di vino che circolano al giorno d’oggi, si, avete capito, quelli che alla fine non sanno prescindere dall’etichetta quando devono capire se stanno bevendo un tavernello o un greco di tufo nonostante si vantino di aver fatto un corso da sommelier.

Sono andato in un ristornate, il tipo ha subito tenuto a dirci che lui si rifornisce in aziende agricole bio, che la pasta la fanno in casa, che tutte le verdure non sono trattate e, soprattutto, per descrivere i piatti non ha usato un aggettivo che non fosse molto vicino a un superlativo assoluto: “queste sono eccezionali, quest’altre incredibili, queste buonissime”.

Alla prova dei fatti il cibo era buono, buono esattamente con quello che ha sempre cucinato mia madre (o addirittura il sottoscritto), il valore aggiunto dei materiali di primissima scelta non s’è sentito e dai suoi superlativi invece ci si sarebbe aspettata l’esperienza culinaria della vita. A questo punto, di due cose una:

1. il tipo millanta di usare ingredienti di altissimo livello ma, di fatto, fa la spesa al mercato come noi tutti;
2. il cuoco non sa cucinare e quindi non è in grado di esaltare le particolarità di ingredienti così sopraffini, finendo per mortificarli e banalizzarli.

Sono venuti degli ospiti a casa, volevano prendere un gelato e, nonostante gli avvertimenti, sono finiti dal ‘gioielliere’. Costui è il gelataio del marciapiede davanti, perennemente vuoto, che smercia gelati dal prezzo demenziale (circa 80 euro al chilo) perché fatti con materie prime sceltissime. Il latte, dice, di farselo arrivare fresco dalla Germania, le uova sono esclusivamente di allevamenti biologici, il cacao che usa è (testuali parole) il migliore al mondo. Il risultato è un gelato dal gusto banale e anche eccessivamente zuccherato invece di essere l’esperienza gelatifera più gratificante della vita. Anche qui le uniche due soluzioni sono quelle dell’esempio precedente: o è un farabutto o è un inetto.

Ora, io avevo un pregiudizio e cioè che i patiti del bio fossero personaggi dal palato fine e questo doveva escludere a priori i millantatori che spacciano il pomì per passata fatta a mano con pomodori cresciuti come Dio comanda. Il pregiudizio si sta rivelando infondato.

Fortunatamente esistono posti dove la differenza di materia prima utilizzata è più che evidente ma non vi dico quali sono.