Citazione

venerdì 31 luglio 2009

peste a


Tanto perché è una cosa seria, pandemia, orrore, piaga d'Egitto... Ricevo e pubblico il resoconto di un amico sopravvissuto:

Un raccontino così, per rendere l'idea di quanto siano seri questi problemi.
Lunedì mi viene improvvisamente un mega febbrone, tipo 38 e 8, così al volo. Mal di gola, tosse, rantgo (quel mezzo fischio che viene quando respiri con i bronchi pieni) pesante, insomma tutti i sintomi della A.

Me ne sbatto, ma insistendo la morosa e avendo LA TASK FORCE ROMANA ANTI VIRUS-A sotto casa mi dirigo.

Arrivo, dopo aver chiesto della task force e aver ricevuto come risposta solo "c'hai la febbre?", mi espongono al pubblico ludibrio mettendomi una mascherina e facendomi fare il giro dell'ospedale in cui ho ricevuto sguardi tipo "dagli all'untore".

Mi lasciano davanti alla porta dalla quale dopo cinque minuti esce uno, che inizia un interrogatorio surreale, con io che rispondevo dietro la mascherina.

Lui: Quanto?
Io: Quanto cosa?
Lui: Quanti giorni?
Io: Quanti giorni cosa?
Lui (stufato): Quanti giorni all'estero?
Io: Tre.
Lui: E' tornato tre giorni fa.
Io: No, sono stato tre giorni all'estero. Sono stato via quindici giorni fa.
Lui: ok, è stato via quindici giorni ed è tornato tre giorni fa.
Io: No, il contrario. Sono stato via due settimane fa per un periodo complessivo di tre giorni.
Lui: Ah, ok. Allora quanto?
Io (disperato): quanto cosa?
Lui: Quanto la febbre?
Io: Ah, ieri 38 e 8, stamani 38 e 2.
Lui: E ora?
Io: ora non lo so.
Lui: ok, sotto 38 (e segna sul questionario)
Lui: congiuntivite?
Io: beh sì, ho gli occhi rossi.
Lui: Vedo. (e segna NO).
Lui: è stato all'estero?
Io: Sì, due settimane fa (stavo per piangere...)
Lui: Allora NO.
Io: 
Lui: Tosse?
Io: sì.
Lui: Pure la tosse?
Io: Eh, sì. Ho anche mal di gola, se è per quello.
Lui (molto a malincuore) segna sì.
Ok, mi aspetti qui.

Dopo cinque minuti torna e mi fa "Si tolga la mascherina che tanto non ha il Virus A"
Io: ma, scusi, nemmeno un tampone, un esame?
Lui: no, il tempo di incubazione è di sette giorni, lei è stato all'estero due settimane fa.
Io: scusi, ma se ci sono diecimila casi a Roma, posso pure averla presa in Italia no?
Lui: sì, ma infatti basta che resti a casa e si curi come una normale influenza. Arrivederci.

giovedì 30 luglio 2009

Today, music!

Pure Reason Revolution - Deus Ex Machina


noio vulevon savuar


Il notevole contributo della Lega per risolvere l’annoso problema dell’istruzione è non dare la cattedra a quei professori che non dimostreranno la conoscenze della lingua, della tradizione e della storia delle regioni dove si intende insegnare , perché, per Dio, serve un’autorità che attesti la tutela e la valorizzazione del territorio da parte dell'insegnante.

Vorrei che mi si spiegasse come l’operato di un docente può portare alla non valorizzazione del territorio in cui è costretto vivere. Siamo ancora all’idea che un professore nato a Napoli parlerà bene di Federico II e male di Cavour per il semplice fatto di essere terùn?

Io ho avuto una prof di lettere nata a Foggia e cresciuta a Napoli. Che faceva un po’ di confusione con le lettere... i miei Promessi Sposi erano popolati di personaggi epici come Tonnappontio, Ton Rotrico, Tonnoferrande e Tonnaprassete. Per non parlare dei laudabund, laudabundur e uttonècongiundivo in latino. Studiammo anche l’antifaida palestinese. Il problema è che, oltre a tutti gli strafalcioni lessicali, la poveretta era intimamente convinta che le piene del Nilo dipendessero dallo scioglimento dei ghiacci dell’Armenia.

In compenso avevo come prof di Storia e Filosofia una bella e raffinata donna, ex moglie di un noto cantautore impegnato, e dall’italiano che sarebbe stato ottimo se non avesse avuto il vezzo di pronunciare “e” ed “è” nello stesso modo, ovvero “é”. Ricordo una “l’éssére é in quanto éssére é il non-éssére non é in quanto non-éssére” che lasciò non solo il sottoscritto un po’ confuso. La fine esteta und campionessa di raffinatezzen sosteneva con forza che Garibaldi avesse partecipato attivamente alla rivoluzione Americana. Quella del 1775. E ne disse anche altre di notevole livello, che ora però non mi tornano a mente.

Il punto è che è gente così il problema (nella scuola), non il loro accento, non la loro provenienza (come se un Pugliese fosse contendo di dover andar a lavorare a Verona, fra l’altro...).

Siccome non voglio passare per uno che difende quella categoria che ho così disprezzato e a cui ho augurato piaghe da antico testamento durante gli anni di scuola, aggiungo che sono convinto che a chiunque non sia in grado di parlare (e scrivere) nella lingua comune delle penisola (il Piemontese risciacquato in Arno, chiamato comunemente Italiano) non debba essere permesso di laurearsi. Ovviamente non sto parlando di inflessioni o cadenze, ma dell’incapacità di trattenersi dal dire ‘ngoppa o di parlare come uno sciatore altoatesino “Ja! Io mòlto kontento ti afère vinto kvesto tvofeo pe’ mio paèse, Tio kva e Tio là!”.

I laureati, i dottori, dovrebbero essere il top dell’intelighenzia, il nostro migliore biglietto da visita da presentare ovunque, un vanto. Io ho fatto lezione a uno che s’era laureato (110 e lode) commentando con un “chischt’ e chischt’ se ne vann’affangulo...” una semplificazione in una funzione e che non parlava altro che il dialetto dei suoi padri (e dei padri dei padri dei padri....).

Un laureato a qualsiasi titolo, l’Italiano lo ha studiato per 5 anni alle elementari, 3 di medie, 5 di liceo, davvero non è possibile che non riesca ad emanciparsi dal suo dialetto. Dialetto che sono convinto sia un patrimonio da proteggere e valorizzare ma non ai danni della lingua comune a tutti coloro che si dicono Italiani.

martedì 28 luglio 2009

il gioielliere


Sotto casa mia, da 4 o 5 anni c’è un gelataio. L’apertura di una gelateria sotto casa è, solitamente, sinonimo di fortuna. Hai voglia di un gelato? Tak! Scendi, paghi, è tuo. Visto che è sotto casa, stai sempre lì, chiacchieri, parli e in poco tempo sei un “cliente affezionato”, quello a cui si fanno assaggiare le cose, quello che può suggerire i gusti, quello che mantiene i figli del gelataio agli studi.

Lo so, del gelataio sotto casa ho già parlato il 5 di giugno, ma visto che in estate anche la tv campa raschiando il barile degli anni passati, vi beccate la replica.

Il gelataio sotto casa mia è tristemente noto nel quartiere con il soprannome molto poco fantasioso di gioielliere. Il negozio, da fuori non si vede, è buio e una porta a vetri chiusa cela l’intero a sguardi sfuggenti. Facendo attenzione si può notare un mobili da bordello anni 70, bancone rosso laccato, lampade da casa dei nonni alle pareti, luce soffusa... insomma... niente che faccia pensare al gelato. Per entrare si deve suonare, solo a questo punto la porta a vetri scorrevole si farà da parte, permettendo l’ingresso nel tempio.

Entrando il tipo ti assale, vantando la grandissima qualità dei propri gusti. La base che adopera per il suo cioccolato è la migliore al mondo, dice, ha vinto anche numerosi e prestigiosi premi. Evita di specificare in cosa sia migliore e che premi siano e, soprattutto, chi li abbia conferiti. Com’è ‘sto cioccolato? Caro. Caro arrabbiato. Non ricordo il sapore, ricordo che è costato ben oltre ogni decenza ma l’esperienza papillare non è stata al livello. Da un gelato che costa sugli 80 euro al chilo io pretendo tanto, pretendo tutto, pretendo che umili e ridicolizzi ogni esperienza sul gelato fatta in precedente, pretendo che offuschi ogni ricordo felice riguardo a un gelato, pretendo che crei dipendenza, pretendo che mi resti il sapore sulla lingua per almeno i due giorni successivi. Invece mi sono solo sentito gabbato.

Che poi, quando andai a provare questo nuovo gelataio, fu molto divertente. Entro con giusto un paio d’euro in tasca e mi metto a guardare i gusti. Noto che le vaschette sono profonde pochissimo, tipo 5 centimetri. Il gelataio aveva attaccato un bottone gigantesco al cliente prima di me, dopo 5 minuti avevo deciso per cioccolato e pistacchio, ma non trovavo da nessuna parte il preziario con il calibro dei coni, peggio, non vedevo proprio i coni. Finalmente il clienteprimadime riesce a sganciarsi e uscire.
Vorrei un cono piccolo
Non abbiamo coni, solo coppette
Allora una coppetta piccola (pensando fra me e me che quello era uno di quegli invasati che sostengono che il cono alteri il gusto del gelato e che quindi sia un vezzo da far scomparire)
In che senso piccola?
La più piccola che ha, ho solo 2 euro...
Ah... no... noi qui il gelato lo vendiamo a peso...
Beh... allora prendo solo un gusto... mi dia un po’ di cioccolato (bastardo, vendi gelato non oro!)
Ah! Ottima scelta, questo è il miglior cioccolato del mondo, ha vinto tantissimi premi è fatto con bla bla bla bla uova biologiche bla bla bla germania bla bla bla seccato al sole sulle cosce di donne cubane bla bla bla bla in quanto la mia scelta bla bla bla bla bla bla imperocché bla bla bla bla bla di un certo livello bla bla bla bla antani bla bla bla bla noce albina dell’Himalaya bla bla bla bla bla

Nel frattempo mi mette una caccola di gelato in un coppetta. Mette tutto sulla bilancia. Sono 5 euro. Gliene lascio 2, vado a casa, tempo di arrivare al portone (30 metri) e il gelato è finito. Sono INSODDISFATTO e INFASTIDITO come un adolescente che ha fatto cilecca alla sua prima volta. Prendo due miriagrammi di monete e gli porto i restanti 3 euro.

Molto buono il cioccolato
Eh! Glielo dicevo perché bla bla bla bla bla sul fondo del Niger bla bla bla bla una battuta di caccia bla bla bla bla bla bla perché ai miei tempi bla bla bla bla la noce ambrata del gabon bla bla bla bla bla bla

Guardi, devo scappare ma tornerò presto!

Succedeva un paio d’anni fa. Oggi (come sempre) il gioielliere non ha più di 2 clienti al giorno. Quanto è triste una gelateria che sembra un bordello con la porta a vetri elettrica (e chiusa) e che è sempre vuota? Quanto è triste di una gelateria frequentata solo da gente che chiunque sano di mente investirebbe con la macchina a marcia avanti e marcia indietro? La risposta non ce l’ho, so solo che non c’ho più rimesso piede. 

Io odio tutto questo.

martedì 7 luglio 2009

iocero


Si, l’ho fatto davvero, sono stato a un concerto di Gino Paoli. Cornice fantastica, villa Adriana a Tivoli e pubblico meno imbalsamato di quanto pensassi. 

Già, incredibile a dirsi, non ero il più giovane fra i presenti... si... ok diciamo che l’età media era verso i 50 e un dettaglio la dice lunga:

Verso il secondo brano si comincia a sentire un cicalino, sembra una suoneria di un cellulare. Dietro di me fanno finta di nulla, passano i minuti, la gente è sempre più nervosa. Si cerca con lo sguardo il criminale che non ha spento il telefono, poi il sussurro: “papà, è la sveglia per le pillole di nonna!”. E la nonna era talmente rapita da Gino da non sentire nient’altro.

Paoli è una mummia fatta e finita. Si presenta con maglietta e calzoni neri, panza, anelli da cafone arricchito e una giacca bianca fastidiosamente stropicciata. La voce è quella che ti aspetti da un ultrasettantenne e spesso parla invece di cantare che è quello che fa anche Vasco Rossi nonostante 20 anni di meno.

Poi ci sono le canzoni, le conosciamo tutti... e non fate finta di niente. I mega hit della canzone italiana non sono poi tanti... c’è Azzurro, c’è Volare e poi La Gatta, Sapore di Sale e Quattro Amici Al Bar e provate a negarlo. Fra l’altro Paoli introduce tutti i brani con un breve monologo che ne spiega l’ispirazione che ne sta dietro, cosa che ho trovato parecchio piacevole e, nonostante l’età, è andato avanti per 120 minuti senza accusare la fatica.

Nonostante il solito delirio dietro agli accrediti, ho fatto comunque una manciata di fotto (decisamente pessime, ma viste le condizioni è veramente grasso che cola).

mercoledì 1 luglio 2009

Non tutti sanno che... #4


Una ricerca firmata da Goran Arnqvist, biologo evoluzionista svedese, e Trine Bilde, professoressa danese di ecologia e genetica, e pubblicata su Science dimostra, tramite un esperimento condotto sugli scarafaggi che gli esemplari con una bassa qualità genetica hanno un maggior successo nella riproduzione, sono i migliori nel compito di fertilizzare le uova, sarebbero anche più bravi nell'occuparsi dei piccoli una volta venuti al mondo.

A quanto pare, quello che vale per i bacarozzi, vale pure le persone. Lo studio boccia anche la promiscuità: inutili i rapporti multipli, ma soprattutto dannosi, perché espongono le potenziali madri a malattie sessualmente trasmissibili. Finora si riteneva che questo approccio "di fiore in fiore" permettesse alle femmine di scegliere il seme del maschio con la migliore qualità genetica, per fertilizzare i suoi ovuli e ottenere una prole più forte. Tutto sbagliato. 

La notizia buona è che, a quanto pare, la natura, sulla lunga distanza, tenda a far trionfare l’amico simpatico sul maestro di tennis. La notizia cattiva è che siamo simili ai bacarozzi. Lo studio però non dice nulla sulle bacarozze pur impegnate con lo scarafaggio simpatico ma dedite all’accoppiamento col bagnino.