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lunedì 26 settembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #19

Incontro
di occhi lucidi e risposte casuali

Era Caterina ed era trafelata.

“Ho fatto una super corsa! Tanto per cambiare ero in ritardissimo e ho perso l’autobus!”
“Ah”

Bella trovata, vero? “Ah” ma davvero non mi venne in mente altro? Ma vi pare possibile? Fra tutte le frasi fatte, le frasi lette nei libri, gli aforismi, i versi dei poeti, i testi di canzoni, le permutazioni casuali di vocaboli… niente di niente… aprii la bocca e feci uscire l’aria con la pressione necessaria a dire “Ah”.
“Come stai?” chiese, facendo finta di ignorare il mio “ah”.
“Che ci fai qui?”

Sì. Risposi ad una domanda con un’altra domanda. Quel che è peggio fu il tono fra il secco e il duro. Tipo il tono che aveva mio padre quando mi trovava dove non dovevo stare, ad esempio quando facevo sega a scuola ma lui rincasava in orari non convenzionali beccandomi in flagrante.

“Che ci fai qui?” uguale uguale. Sputato. Severo. Autoritario. Quell'autorità da signore d’altri tempi, tipo quegli uomini che usano vocaboli desueti, che portano la macchina all'autorimessa, che volano su un apparecchio, vanno al cinematografo e che, quando prendono il treno, salgono sulla vettura. Quella gente a cui sei portato a dare del lei rendendoti conto che è pure poco e che forse sarebbe più adeguato il coloro. Quelli che ti mettono soggezione solo per come posano lo sguardo su di te, come titani che scrutano le umane miserie. Quello era il tono di mio padre. Quello era il tono che usai con Caterina.
E dovetti usarlo bene, perché lei fece un passo indietro, intimidita, abbassando lo sguardo e mormorando “oddio mi sento così stupida….”

Io ero zitto, la guardavo, teso, imbarazzato.

“Io… io… volevo solo… solo vedere… sapere come stavi…” aggiungendo, quasi parlando da sola, a voce più bassa “ma che ci faccio qui?”
“Sono contento tu sia qui”

Mi stupii di sentirmelo dire, avrei voluto riprendere le parole nell’aria e rinfilarmele di corsa in bocca, masticarle e ingoiarle lettera per lettera e in velocità. “Ho fatto la cazzata” pensai e tutt’oggi rivedendomi la scena, la vedo al rallentatore, come durante un incidente d’auto quando il tempo sembra fermarsi.
Caterina alzò gli occhi su di me, mi guardò per la prima volta, occhi lucidi, mi abbracciò. In realtà mi si buttò quasi addosso. Mi strinse. Piano piano ricambiai l’abbraccio.

“Scusa” le dissi “sono stato un po’ brusco… ma mi hai preso un po’ di sorpresa…”

Lei mi lasciò.

“ehm… scusa… è che non ti fai più vedere da un sacco! Nessuno sa niente di te, tuo fratello fa finta di nulla e si arrampica sugli specchi, e io…. niente…. io… io mi sono preoccupata… e poi hai risposto come uno stronzo al messaggio di oggi… e mi preoccupo di più… e… e mi manchi… no, cioè, no… non intendo che mi manchi-manchi… ma un po’ sì... oddio sono un disastro…”

“no, ma che disastro. Vieni, andiamo a sederci da qualche parte, comodi e al coperto”

E ci incamminammo in silenzio. Almeno esteriormente. Dentro urlavo, ero nella confusione più totale, mi preparavo il discorso dei discorsi dandomi contemporaneamente dell’imbecille cercando di convincermi che la fuga fosse la risposta più adatta.

Capitolo 20

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lunedì 19 settembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #18


Caterina
di concubine, complicazioni e dilemmi

Risolta la situazione con Marta mi sentii quindi estremamente libero di interessarmi a Caterina.
Nel frattempo, infatti, avevamo comunque continuato a incontrarci con i rispettivi amici (miei e di Marta). Caterina era simpatica a tutti e collezionava oggetti trash a 360°. E quindi fu naturale iniziare ad invitarla alle successive uscite cercando di tagliar via sempre Marta e il resto dell'allegra brigata. C'era però un problema: Caterina era la concubina dell'Idiota.
Questo spiegava perché, a differenza degli altri evanescenti soggetti sponsorizzati da lui, Caterina fosse l'unica a ripresentarsi, sia pure ad intermittenza.

Era tutto decisamente più complicato per una serie di motivi che, stringendo stringendo, si riducevano a due:
1) uscire con Caterina implicava avere l'Idiota di mezzo
2) al tempo vedevo le donne impegnate come angeli asessuati.

All'inizio non sapevo che fare, prima provai a far finta di niente, era semplicemente una persona piacevole ma potevo sempre guardarmi attorno aspettando che la natura facesse il suo corso, l’Idiota fosse scaricato o magari l’arrivo di una preda più appetibile.

L'attesa fu vana.

Decisi di farmela passare, provai a non chiamare più né Caterina né l’Idiota ma ci pensavano sempre altri. Per inciso, è curioso quello che avviene nei gruppi di persone, alla fine ti abitui ad avere attorno anche gentaglia odiosa di cui nessuno riesce più a fare a meno. Nonostante non riscuotesse le simpatie di molti alla fine quasi tutti concordavano sul "ma dai, non possiamo non chiamare l'Idiota!"

Fallito anche il piano B.

Iniziai quindi a farmi vedere sempre più di rado. Mi ritirai pian pianino in eremitaggio. Lontana dagli occhi, lontana dal cuore. Giuro che ci credevo davvero! Non vacillai nemmeno quando Nib mi disse che sembravo quello che si era tagliato l'uccello per far dispetto alla moglie! Mi sentivo un monumento di integrità a tutto vantaggio della mia autostima. Finché un pomeriggio mi arrivò questo messaggio:
Ciao. Tutto bene? Mi preoccupo? Cat

Ulteriore fallimento. Prima di domandarmi se il destino stesse cercando di dirmi qualcosa, andai nel panico. Che fare?
Beh, tanto per cominciare memorizzai il numero. E poi? Che alternative potevo avere?
Tanto per cominciare avrei potuto non rispondere. Avrebbe pensato che non avessi ricevuto il messaggio, di averlo mandato al numero sbagliato, che non volevo rispondere o che non volevo rispondere a lei?

In realtà volevo rispondere. Ma come? Un laconico sì? O un drammaticissimo no? Optai per qualcosa di più verboso ma meno specifico con un
insomma, ma mi riprenderò.

Ne arrivò subito un altro:
:-( salute o altro?

I problemi si complicavano. Il fatto vero è che non sapevo più cosa volevo. Volevo mantenere il contatto? Volevo troncare tutti i rapporti? Entrambe le cose? Ci credevo? Non ci credevo? Decisi di vedere dove sarebbe arrivato lo scambio di messaggi e risposi "altro".

esci alle 5?
si. perché?

Non arrivarono altre risposte. Restai qualche minuto a fissare il display del telefono ma nulla di fatto. Arrivò l'ora di uscire. Presi l'ascensore, mi misi le cuffie nelle orecchie, passai il cartellino, superai il tornello, varcai il portone salutando il guardiano con la mano e una voce disse "ciao". Non era il guardiano. Era Caterina.

CAPITOLO 19

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lunedì 12 settembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #17


Email
di meriti e giri di giostra

Meritare. È facile dire "quella non ti merita" ma, stringendo, che vuol dire? C'è una tabella da qualche parte che stabilisce i meriti nei rapporti umani e sentimentali? C'è un qualche metro, una scala?

Forse è tutto in proporzione a quanto dai? Tipo, sei dai tanto, devi legittimamente ricevere molto. Ma anche il "dare tanto" mica mi ha mai convinto. I perché non contano? E soprattutto questo tanto è in una scala assoluta o relativa? Se uno dà poco, ma è il massimo che può fare, è sempre poco o diventa tantissimo? E se uno dà tanto esclusivamente per tornaconto, per calcolo.... tipo, vengo a prenderti, ti porto l'acqua nelle orecchie, ti porto a cena, scompaio quando devo scomparire, però me la dai? Vale? Cosa merita uno così? Tanto o poco?

Oppure è una questione tipo specchio-riflesso, se dai poco (qualsiasi cosa voglia dire) meriti poco (qualsiasi cosa voglia dire, purché sia la stessa cosa di prima). Quindi uno che dà tanto per calcolo merita pari trattamento, uno che dà poco ma è il massimo che può fare merita lo stesso e via così? Magari è solo qualcosa che si dice per consolare qualcuno a cui vuoi bene e non vuoi dirgli “quella è una merdaccia fregatene”.

Non lo so, la frase "lei non ti merita" mi resta comunque oscura. Forse perché non ho mai pensato di meritare qualcosa ma mi sono limitato a prendere quello che trovavo, valutando di volta in volta quello che l'altra persona aveva a disposizione per me.
Il punto con Marta era proprio questo, sul piatto c'era qualcosa che non mi andava a genio. Poco spazio e poco tempo. Giusto o sbagliato che fosse, ci stavo stretto e ci stavo male. Quando scegli una compagna devi sentirti parte dello stesso mondo (e con Marta questo non succedeva), nel momento in cui ti rendi conto che hai remore a presentarle i tuoi amici, i tuoi familiari e non ti trovi a tuo agio con i suoi, c'è un problema e presto o tardi i nodi arriveranno al pettine.

Se scopri che la carne ha un brutto odore è inutile cucinarla sperando che in qualche modo le cose migliorino. Personalmente la penso così, a prescindere dalla fame. Meglio un pacchetto di patatine a quel punto.

Così dopo un po' di tempo, durante l'ennesimo silenzio radar di Marta, vista l'impossibilità di parlarle, le scrissi quello che pensavo in una romanticissima email; uno sproloquio per giunta con un tono un po' piccato in cui il succo era "mi sono rotto le palle". Non si fece sentire per un mese. Poi mi chiese di andare in un pub. Nulla era cambiato, stessi discorsi, stesso atteggiamento, nessun accenno a quanto le avevo scritto, né alla nostra relazione o frequentazione. Serata piacevole. Soprattutto quando mi chiese di salire da lei perché doveva farmi vedere una cosa.

La coda della relazione fu un po' lunga: ci vedemmo altre volte e non ci facemmo mancare qualche giro di giostra in memoria dei tempi andati. Per fortuna, a quel punto tutto rimase nell'ambito ludico, nessuno prese in giro nessuno e forse era quello che Marta voleva fin dall'inizio.

Forse avevo travisato tutto io. Forse non ci eravamo capiti. Forse era davvero incasinata. Forse era solo stronza. Forse ero io ad essere un illuso. Non ne parlammo mai, nemmeno successivamente, quando ci incontrammo in un pub, con le vite decisamente su altri binari, e lei definì il modo in cui mi aveva trattato come il più grande errore della sua vita.

CAPITOLO 18


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lunedì 5 settembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #16


Mare
di ombrelloni, madri e pezzi

Lei era così. Spariva a botte di messaggi come "ho da fare in palestra, forse ti chiamo quando esco" oppure "devo vedere delle persone" oppure un laconico "faccio tardi". Poi tornava, si facevano fuoco e fiamme per un paio di giorni o magari per un pomeriggio e poi nessuna notizia per un po'.

Un giovedì marcammo entrambi ferie e andammo al mare. Per me andare al mare voleva dire uscire di casa in costume e sandali, portando un asciugamano e i soldi necessari per un panino e un gelato, raggiungere una spiaggia, lanciare l'asciugamano da qualche parte e passare la giornata preferibilmente in acqua. Arrivai quindi da lei in macchina e fu subito passione fin dalla provinciale, come nemmeno da adolescenti.
Al mare però lei si diresse ad uno stabilimento, dove acquistò per lei un ombrello e un lettino. Così, senza parlarne, senza chiedere, senza un confronto preventivo.

Ombrellone, sdraio e lettino sono per me un’immagine che mi rimanda alle vacanze dell’infanzia con mamma, papà e Nib. L’atto di acquistare l’ombrellone mi rimanda a mio padre, al capo famiglia che si prende cura della cucciolata. Un atto borghese da adulto ormai arrivato. Da adulto stanziale. Da vecchio, diciamo.

Per non far la figura del ragazzino dabbene presi una sdraio sacrificando i soldi del pranzo. La situazione mi turbava non poco ma lo tenni per me.

Passammo comunque delle belle ore (digiuno a parte), acqua fresca, cielo limpido, sole caldo, pochissima gente. Sembravamo una bella coppia. Lei mi disse che con me stava bene che fin dal giorno del concerto la facevo sentire al sicuro, che aveva parlato di me a sua madre (!).

Poi tornammo a casa, durante il tragitto in macchina andò tutto bene. Ci ascoltammo un disco dei Miss Pell che lei definì estremamente erotico facendomi pregustare una gran serata. Verso casa le chiesi cosa avrebbe preferito per la sera, se mangiare da lei, da me o andare da qualche parte. Mi rispose:

“Chi ti ha detto che ho voglia di passare la serata con te?"
"?"
"Credo di aver voglia di vedermi con delle mie amiche"
"Beh, sentile, possiamo andare..."
"Non mi hai sentito?"
"Sì, le amiche, chiamale"
"Tu cosa c'entri?"
"Sai, una coppia, di solito sta... in coppia"
"Siamo una coppia?"
"Penso di sì, siamo insieme..."
"Non stiamo insieme, questa è.... è una frequentazione"

La lasciai a casa e tornai alla base riflettendo su quell'informazione. O meglio, no, non rimuginavo ancora nulla, ero arrabbiato, tanto arrabbiato che la salutai a malapena e me ne andai.

A cena, sondai l'opinione di Nib:

"Se una definisse la vostra relazione col termine frequentazione cosa penseresti?"
"Parli di Marta?"
"No, in generale"
"Che si vuole divertire, e finché il balocco sono io ben venga"
"Tu e Carla vi frequentate?"
"È più complicato"
decisi di non approfondire la questione Carla e andai oltre
"E se una ti dice che ha parlato di te a sua madre?"
"Rischio di averla messa incinta?"
"Estremamente difficile"
"Allora vuol dire che è amore, roba forte!"
"E se una che ti frequenta parla di te a sua madre?"
"Non ci sta col cervello ed è meglio che scappi"
"Non ci sta col cervello più o meno di Viola?"
"È una bella lotta, mi sa che finiscono pari, ma, insomma, mi vuoi dire che è successo oggi?"

Gli raccontai tutto. Era basito.

"Quindi, questa prima ti salta addosso in macchina, poi in acqua, poi al ritorno ci riprova nemmeno fossi l'uomo del Mennen, e poi ti scarica come uno stronzo ma non prima di aver raccontato di quanto sei meraviglioso a sua madre?"
"sì, riassumendo è così"
"Hai fatto cilecca?"
"Non direi"
"Allora è matta”
“Quindi?”
“Quindi scappa. Oppure vuole solo trombare e racconta alla madre i dettagli, quindi è matta, quindi scappa. O magari è solo confusa, quindi scappa lo stesso. O semplicemente c'è un altro, tipo un ex con cui fa da mesi tira e molla, quindi è indecisa e coi sensi di colpi"
"Quindi scappo?"
"È un suggerimento da fratello maggiore"
"Fratello maggiore che si accontenta di una frequentazione anche se vorrebbe di più?"
"Lei non può darmi di più e mi accontento"
"Fai finta di accontentarti"
"Te l’ho detto, è complicato... e poi sono fatti miei, e poi mica sono io che sono venuto a chiedere il tuo parere"
"Quindi scappo?"
"Una così non ti merita e ti fa a pezzi. Che fosse strana s'era capito, ma così è troppo. E scommetto quello che vuoi che con le amiche non è uscita".


CAPITOLO 17