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lunedì 30 maggio 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #2

Yogurt
di risvegli e abbrutimenti


Il risveglio del dopo sbronza lo conosciamo tutti. Come se non bastasse, avevo dormito semi vestito e con la finestra aperta. I maschi non badano a queste sottigliezze, almeno non quando ti riportano a casa sfatto. Non ti mettono il pigiamino, non ti augurano la buona notte e non ti rimboccano le coperte. Mi sentivo davvero sfasciato e con un drammatico sapore di bradipo in bocca.

Il sole fuori dalla finestra era già alto; trascinatomi fuori dalla stanza mi trovai davanti Nib, in mutande e pantofole di spugna bianche, che stirava ascoltando, credo, i Bastones. Mi chiese come andasse, la mia risposta non fu dissimile da un basso rantolo, tipo “mmmmmmmmrrrrrh”.

Sul tavolo della cucina 7 bottiglie di birra e gli avanzi di una pasta col tonno. Guardai Nib con gli occhi di un cane abbandonato in autostrada.

“Ma non ti ricordi niente?”
“M”
“Quando siamo tornati a casa abbiamo bevuto, chiacchierato, poi hai detto che avevi fame...”
“M?”
“Sì, tu”
“M.”
L’ultima “M” la dissi inarcando le sopracciglia. Ora era chiaro perché in bocca mi sentivo quel sapore di scolo di grondaia.

Mi attaccai al rubinetto dell’acqua e solo dopo aver messo in crisi le scorte idriche della provincia, grattandomi una natica, gli dissi di non ricordare nulla e di sentirmi come se mi avessero picchiato di brutto con bastoni nodosi e mazze chiodate.

Mi rispose che in realtà, ero io ad aver picchiato qualcuno, che ormai ero diventato un ometto e che si era già vantato con tutti i conoscenti comuni della cosa.

Non mi curai troppo del suo racconto, che ascoltai distrattamente. Ero ancora ben ottuso e soprattutto distratto da uno yogurt ai mirtilli, non scaduto, trovato in frigo. Mangiai in silenzio, mentre Nib riprendeva a stirare e ad ascoltare un genio sguaiato che dallo stereo urlava “Hey ho, lets go!”. Dopodiché, mentre lui interpretava il ruolo della brava massaia andando a fare la spesa e sbrigando alcune commissioni, mi calai nei panni dello zombie casalingo, ciondolando fra camera, bagno e cucina senza meta, scopo, utilità o decenza.

Ci ritrovammo verso sera, io irrancidito sul divano a mangiare wurstel crudi e senape guardando un film brutto, lui tutto giulivo per il suo sabato denso di attività utili. Sullo schermo, un nerboruto ex poliziotto in canottiera, esperto di botte e con la pistola a proiettili infiniti d’ordinanza, stava sgominando una gang di milioni di messicani a furia di calci nel culo, abbattendo un intero quartiere e dopo aver fatto esplodere macchine ed elicotteri.

“Com’è?”
“Buono”
“No, dico il film”
“Ah, ti dirò... probabilmente il fatto che mi senta ancora uno straccio mi ha impedito di cogliere l’approfondimento psicologico dei personaggi privandomi del godimento pieno”
“Sì, sembra proprio un film sottile”
“Puoi dirlo forte, guarda l’intensità dello sguardo di quel povero messicano a cui è appena stata amputata la mano, c’è un mondo lì dentro... ma non sono proprio nello stato migliore per approfondire”
“Non c’è niente da dire, sei il solito fine esteta... beh, io esco con la truppa dell'università, hai programmi per questa sera?”
“Certamente! Ho una lunga marcia a tappe forzate verso l'abbrutimento più profondo. Domani sarà un giorno migliore!”.

Purtroppo, una volta nuovamente in solitudine, anche la faccenda dell'abbrutimento mi divenne stretta. Andai a dormire, concludendo una giornata inutile.

Vai al Capitolo 3


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lunedì 23 maggio 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #1


Jimi vs Vasco
di risse e foto di dubbio gusto


Accadde precisamente lì, in quel posto, in quel buco di cesso che chiamavano “Il Locale”. Uno di quei nomi che può partorire solo un ritardato con troppa autostima. Insomma, io ero lì, l’Idiota era riverso su un tavolo, lo tenevo per la camicia pronto a colpirlo di nuovo. Gli usciva il sangue dal naso e dal labbro, lo avevo colpito per bene. Attorno non ricordo cosa stesse succedendo, avevo bevuto quella dozzina di bicchieri di troppo, i sensi erano ottusi e il campo visivo interamente occupato da dettagli come il blu elettrico della camicia o quelle basette, sopracciglia e ciuffo biondo forgiati in ore di duro lavoro da qualche parrucchiere per finocchi.

A voler essere sinceri, quei dettagli mi avevano urtato da subito, dal primo sguardo, da prima che allungasse la mano per presentarsi tanto tempo prima: “piaceVe Idiota”, con quella stretta caricata di chi spera di convincerti di saper pisciare più lontano di te e una erre moscia enfatizzata in modo grottesco. E probabilmente i suoi continui accenni all’orgoglio italico e al maschio italiano, i suoi modi di fare da furbetto che t’insegna a stare al mondo, agli accenni alle sue innumerevoli e millantate femmine, hanno solo aggravato col tempo una situazione resa poi più che critica dagli ultimi eventi.

Ma a pensarci bene mi aveva anche urtato il fatto che facesse sempre domande senza ascoltare le risposte e sì, anche l’avermi dato dell’imbecille, lo ammetto. Probabilmente con una camicia di un altro colore forse la serata sarebbe andata diversamente, per entrambi dico.

Insomma, è in quel momento, mentre decidevo se dargliene un altro, l’ultimo, così, come a mettere il punto esclamativo dopo le parole “SEI UN POVERO STRONZO”, che è accaduta l’epifania.

Dicono che eventi del genere accadano dopo che ti puntano una pistola in faccia, dopo che ti salvi la vita per miracolo, dopo che assisti ad un evento sovrannaturale, insomma, roba tipo Saulo che cade da cavallo andando in gita a Damasco; un flash che ti lascia boccheggiante a terra a riconsiderare tutta la tua vita passata, presente e futura. La mia, di epifania, mi colse ubriaco, mentre per la prima volta in vita mia picchiavo qualcuno, in un pub che avrebbe fatto schifo pure al demonio.

Il vero problema è che quest’epifania come arrivò fuggì via, immediatamente, in una frazione di battito di ciglia e immagino che ciò fosse dovuto alla mia condizione psicofisica. Mi era rimasta addosso solo una sensazione, come un lampo di consapevolezza, come quando sei alla penultima pagina di un giallo e intuisci come andranno a collocarsi tutti i dettagli che fino a quel punto ti erano sfuggiti.

La verità è che mi distrassi quando gli occhi mi caddero su una foto di Jimi Hendrix alla parete. Sia pace all’anima tua, buon vecchio Jimi, e che tu possa perdonare la mano sacrilega che in quel pub infame decise di metterti vicino ad un poster, per altro brutto, di Vasco. Da ubriaco mi capita di fare cose simili, non picchiare la gente, dico, ma fissarmi su dettagli inutili. Inutili almeno nel momento contingente. E comunque l'accoppiata Jimi-Vasco aveva scansato l’epifania dal centro dei pensieri, buttandola in un qualche sottoscala buio delle mie sinapsi a prendere la muffa.

A quel punto l’ultimo pugno non lo diedi. Non riuscivo a pensare contemporaneamente “cazzotto” e chiedermi quale girone infernale avrebbe potuto ospitare il colpevole di quella blasfemia fotografica. E quindi, come più o meno tutte le cose della mia vita, anche la prima rissa la lasciai a metà.

Sono fatto così, come uno di quei grandi artisti che possono permettersi di limitarsi a tracciare la via e fare due ghirigori mentre uno stuolo di sfigati ragazzi di bottega scalpita per fare il lavoro noioso e leccargli il culo. Io di ragazzi di bottega non ne ho mai avuti e la mia è essenzialmente una storia costellata di incompiuti che anelano al capolavoro.

Lasciai la presa sulla camicia, lasciai l’Idiota riverso sul tavolo, mi guardai attorno, più come gesto teatrale che altro perché la vista era annebbiata di brutto ed era pure buio e non avrei notato nemmeno un gigante vestito da puffo. Prima di andarmene dissi, sollevando un minacciosissimo indice in aria, “e non pensate che io mi sia divertito!”. Che lì per lì m’era sembrata proprio una cosa cazzuta da dire. Una di quelle frasi che la gente cerca di far sue per usarle alla prima occasione.

Brancolando verso la macchina, continuavo a ripetermi quella frase fra me e me, me la facevo passare sulla lingua e tra i denti, non lo nego, con un certo orgoglio. Diavolo, mi sentivo arguto, pungente e feroce, tipo Gunny, del tutto ignaro di quanto mi sarei ritrovato caricaturale l'indomani.

Raggiunsi la macchina, misi una mano in tasca per cercare le chiavi. Non le trovai. Provai un’altra tasca, poi una terza, una quarta e furono finite. Rifeci il giro, fallii e rinunciai. Non c’era altro da fare che chiedere l’aiuto da casa, così chiamai Nib.

Nib è un animale dagli orari instabili, imprigionato in un lavoro dove fa lo schiavo di tutti, e una vita che a tratti cerca di essere sregolata benché con risultati alterni. Nib è mio fratello ma, in quel frangente, il dettaglio più importante è che rispose al mio SOS.

L’ultima cosa che ricordo prima del buio è lui che mi fruga nelle tasche in cerca delle chiavi della macchina.

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domenica 22 maggio 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO - premessa


Eccoci, provo a riportare un po' di vita nel blog dopo quasi 2 anni di nulla assoluto.

A partire da domani, ogni lunedì, pubblicherò un capitolo de La Razionalità Del Coccodrillo.

Di che si tratta? Chiamatelo come vi pare, libro, racconto, sequela di scemenze. A me ha divertito scriverlo, spero che qualcuno si divertirà a leggerlo.

Come si dice sempre in questi casi, ogni riferimento a fatti realmente accaduti o a persone esistenti è puramente casuale. Che è vero, ma alla fine è sempre poco credibile, perché la vita vera inquina sempre la fantasia e in alcuni casi la fantasia non riesce in alcun modo a tenere il passo con la realtà, o come preferite voi.

Ringrazio quella manciata di buone anime che si è presa la briga di leggere le bozze, di suggerire miglioramenti e incoraggiarmi. Ringrazio anche le persone le cui gesta, in un modo o nell'altro, più o meno coscientemente, sono finite fra queste pagine.

Dedico il tutto a chi, leggendo, riuscirà in qualche modo ad immedesimarsi.


Buona lettura e sentitevi liberi di commentare.

Per il primo capitolo, clicca qui!