Citazione

lunedì 26 dicembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #31

Amiche
di frappuccini, carriera e fughe di cervelli

Lucrezia e Sonya si erano conosciute sui banchi di scuola della loro regione depressa. Poi si erano trasferite nella Grande Città per studiare. Presa la laurea avevano tentato la carta dell'estero. Un anno a Londra luogo dove, secondo la vulgata, il mondo si sarebbe accorto di loro e le avrebbe accompagnate al meritato successo professionale.

All’estero le stavano aspettando con un tappeto rosso, pronti a dar loro quei riconoscimenti che in patria venivano negati da quell’ottusità mista a invidia di cui accusiamo chi ci è più vicino.

Come invece accade nel mondo fuori dai blog e dai racconti degli amici degli amici, si erano trovate a dividere un appartamento con della gente allucinante e raschiata via dalla muffa delle rispettive nazioni d'origine. Dopo una lunga serie di vicissitudini, i loro sogni professionali avevano trovato sbocco nel settore commerciale: una faceva la commessa per una linea di vestiti per galline con scarsa autostima in cerca di manzi in discoteca, l'altra serviva bevande per hipster privi del senso del gusto in un noto pseudo bar in franchising.

Il fatto che non fossero nascoste in una cucina ad abbrustolire carne avariata su una piastra o a lavare i piatti era dovuto essenzialmente alla più meritocratica delle caratteristiche: erano carine. Di conseguenza al contatto col pubblico avrebbero attirato (o almeno non allontanato) clienti.

Tutto questo fu vissuto in modo traumatico e doloroso, come solo l’atterraggio al duro suolo della realtà può essere. Fortunatamente, erano sveglie abbastanza da capire che il gioco non valeva la candela e nel giro di un paio d’anni, erano tornate entro i patri confini dove, dopo aver frequentato un corso organizzato dall'Università, vinsero uno stage presso la multinazionale che pagava i pasti a l'Idiota.

In quanto stagiste neo acquisite avevano immediatamente catalizzato l'interesse del coglione che, alla prima occasione utile, le aveva convinte a partecipare ad un party indimenticabile.

Prima che me ne scordi, un’altra caratteristica sgradevole de l’Idiota era il suo assoluto e cieco entusiasmo per tutto ciò che ruotava attorno a lui. Il bar dove prendeva il caffè era bellissimo e il caffè il migliore della città, le sue feste erano sempre incredibili e indimenticabili, i ristoranti che frequentava i migliori, così come i vestiti che comprava, la gente che frequentava, la sua automobile, persino il marciapiede dove camminava era, in qualche modo, più esclusivo degli altri.

Tornando invece a Sonya e Lucrezia, ormai abituate ad una lunga convivenza e a una vita di sogni infranti, scelte coraggiose e condivisioni degli spazi, dividevano una stanza doppia di un grosso appartamento seminterrato abitato da studentesse; ne contammo almeno 5 diverse, cosa che intrigò non poco Nib.

C'è una cosa che può urtare profondamente uno che si alza tutte le mattine per andare a tirare la carretta: condividere gli spazi con degli studenti. Non è per disprezzo spicciolo, il problema fondamentale sono i ritmi diversi di vita che, a meno che non si tratti di studenti zombie, rendono la convivenza inconciliabile. E fu questo il motivo per cui Lucrezia e Sonya iniziarono a passare parecchio tempo a casa da noi.

Nib sembrava estremamente a suo agio, io, per i primi tempi, non vivevo propriamente benissimo la cosa. Non sapevo cosa volevo, non capivo cosa e soprattutto perché lo facessi. Mi lasciavo portare dalla corrente.

Inoltre, il rapporto fra Lucrezia e Sonya era strano. Erano molto amiche, sopravvissute a scelte difficili e a esperienze importanti ma contemporaneamente erano in competizione. Cercavano costantemente di primeggiare l'una sull'altra. Anche io e Nib rientravamo in questa sorta assurda competizione.

Lucrezia era, in fondo, una ragazza estremamente confusa, fragile e a tratti instabile nascosta sotto una maschera da donna-smaliziata-che-non-deve-chiedere-mai. Ed era bellissima. Davvero. Anche troppo, lo ammetto. Di quelle bellezze così estreme che viste sulle copertine delle riviste hanno un senso ma se te le vedi vicino, in giro per casa, ti viene il sospetto di essere di troppo.

Poi c’era un altro problema, a conti fatti era una vera e propria convivenza. In quattro. Di cui due donne. Con un bagno solo. E noi che eravamo poco più addomesticati di due animali da cortile.

Se prima la vivevo male per motivi miei, poi iniziai a soffrire i limiti ambientali. Non penso di essere una brutta persona se penso che ognuno di noi ha diritto ai suoi spazi. Ritrovarmi a non potere reclamare il mio angolo di solitudine per sfogarmi, riflettere o semplicemente annoiarmi quando ne avevo bisogno divenne sempre di più un problema.

CAPITOLO 32

Se non vuoi perderti gli aggiornamenti, scrivi la tua email lì a destra, dove c'è scritto FEED!


Comincia tutto così


lunedì 19 dicembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #30

Candido
di disagio, sportelli e lacrime

“Ti ha dato fastidio?”
“No. Nemmeno ricordo come si chiamava”
“Lucrezia”
“Ah, vero... mi è rimasta più impressa Sonya. Più intraprendente...”
“Più intraprendente?”
“Non hai idea, appena siamo usciti dalla casa di quel coglione...”
“No, no, fermo lì. Già il fatto di essere stato con una su cui hai messo le mani addosso mi dà... mi dà... come un senso di sbagliato... di sordido...”
“Il mio fratellino candido”
“Candido un cazzo! Se ci penso non sono a mio agio, tutto qui”
“Però immagino che quando ti ha messo le mani nelle mutande non ti ha creato tanto disagio”
“… non hai tutti i torti”
“Però è davvero bellina, Lucrezia. Mi dispiace ricordarmi così poco”
“Mi ha detto di essersi addormentata subito”
“Mi pare di sì… non ricordo nemmeno di averla spogliata…”
“Ma allora lo fai apposta?”
“Ok, ok, ok. Basta poco per farti innamorare…”
“Non sono innamorato ma di sicuro non mi lascia indifferente!”
“Con quelle tette... quelle lentigini... e quel culo...”
“Dai, cazzo, piantala! Cioè, hai ragione, c'è anche quello, ma è più quel fare così...”
“… da troia?”
“No, avrei detto da gatta”
“C’è differenza?”
“E su! Semplicemente non è ipocrita. È tutto il contrario di Caterina, insomma”
“Caterina è una suora cagna ipocrita?”
“Cagna?”
“Beh, se l'altra che è il contrario è gatta...”
“Sai che forse hanno ragione i ricercatori di Harward?”
“Eh?”
“Il primo figlio è sempre il più deficiente!”
“E ti servivano i ricercatori di Harward? No, ma seriamente, che vuoi dire con la cosa di Caterina? È successo qualcosa ieri?”
“Il delirio lo ricordi?”
“Vagamente, ricordo che stavo per scambiarmi la saliva con quella sbagliata. Ricordo di aver insultato l'Idiota, ricordo che lui se l'è presa con Caterina. Poi quelle mi hanno portato via, ma il resto non vuoi che te lo racconti”
“Esatto”

Gli raccontai quindi del proseguo della festa.

“Fammi indovinare, a questo punto lei ti ha sbottonato i pantaloni, ha visto un geco ed è andata via?”
“Sei veramente il re dei dementi... dammi 5 minuti e trovo un istituto che potrebbe aiutarti…”
“No, ti prego! Non mandarmi via! Potrebbero chiudermi in una stanza di un metro quadro e abusare di me nei giorni dispari!”
“Non penso esista nessuno così disperato da abusare di te!”
“Beh, Sonya e Lucrezia direbbero il contrario”
“Eddai!!!”
“eheheh Insomma, l'hai abbracciata e...?”
“E ha smesso di piangere”
“E...?”
“E ha tirato su il viso e ci siamo guardati”
“E...?”
“L'ho baciata”
“Grandissimo!!! Lingua in bocca e mano sulla tetta!!! Tu mi riempi d'orgoglio!”
“Non sono stato proprio così diretto…”
“Vabbè, bravo uguale!!”
“Bravo una sega! L’ha presa male. Malissimo. Mi ha spinto via... per quanto si può spingere via uno seduto in macchina e si è rimessa a piangere. Ho provato a riconsolarla ma si è messa a urlare come una matta ‘NON TOCCARMI!!! VAI VIAAAA!!!!’”
“Ma non eravate in macchina nostra?”
“Sì. Infatti la cosa, oltre ad avermi stizzito un po', mi ha messo a disagio. Non sapevo se farle notare che, in realtà, era lei a doversene andare”
“E poi?”
“E poi niente. Sono uscito dalla macchina, mi sono seduto sul cofano e ho aspettato si calmasse”
“Hai aspettato si calmasse…” Nib aveva gli occhi al cielo.
“Sì, ho giocato al solitario sul telefono. Mi ha aiutato a calmarmi, a non sentirmi un cretino e a non considerare lei una matta”
“Hai giocato al solitario…” Nib mise le mani sul viso.
“Sì, sei sordo? Ho giocato al solitario!”
“Quella che definisci la donna della tua vita è in macchina tua, che piange a causa sua anche se pensa sia per colpa tua e tu giochi al solitario seduto sul cofano della tua macchina!?”
“Ho fatto una cazzata?”
“No. Se tu avessi fatto una cazzata non ci sarebbero problemi. Ne hai fatte decine e via via più gravi. Questa cosa amplia di parecchio la portata del termine ‘cazzata’”
“Che avrei dovuto fare secondo te?”
“Continuare a baciarla. Tenerla stretta. Avrebbe funzionato. Ancora prima avresti dovuto dare un cartone all'Idiota e abbracciare Caterina davanti a tutti”
“Sì, e magari poi fuggire a cavallo verso il tramonto…”
“A saper andare a cavallo…”
“La vita non è mica un film…”
“ogni tanto dovrebbe esserlo…”

Restammo un po' in silenzio.

“Ma insomma, poi?”
“Poi mi ha fatto cenno di rientrare”
“Tu ovviamente sei rientrato subito?”
“Sì, ho lasciato pure una partita a metà”
“E cosa ti ha detto?”
“Che mi perdonava, che un po' mi capiva”
“Un po' ti capiva…”
“A me ha fatto più incazzare la storia che mi perdonava”
“Ce n’è abbastanza per rimettere su il tribunale a Norimberga”
“Ma non è tutto. Mentre mi diceva sta stronzata, le suona il telefono”
“Non mi dire che...”
“Sì. E sai cosa risponde lei?”
“Non me lo dire...”
“Amore, sì, scusami, ora torno”

Nib mollò una decina di bestemmie

“È quello che ho detto anch’io. E non l'ha presa bene”
“LEI?!!?! LEI non l'ha presa bene?!?”
“Ha detto ‘e ora bestemmi pure?’”
“Non so se voglio che continui...”
“Le ho anche detto che allora si meritava di essere trattata in quel modo”
“Ah, ti sei tolto un sassolino dalla scarpa...”
“Le ho anche fatto notare che a sua volta stava trattando l'unico che cercava di starle vicino e volerle bene gratis come un criminale. E si è incazzata ancora di più”
“Strano, di solito sentirsi rinfacciare le cose fa piacere…”
“E beh, dai, ho fatto male?”
“... Lei che ha detto?”
“Ha detto che come tutti gli altri voglio solo scoparmela, che ha sbagliato a dirmi le cose che mi aveva detto, a darmi la confidenza che mi ha dato e bla bla bla”
“Direi che sì, hai fatto male… poi che è successo?”
“E poi ha aperto lo sportello ed è uscita dalla macchina”
“Finita qui?”
“No.”
“Ti pareva...”
“Ho aperto lo sportello e con voce serissima le ho detto ‘Caterina, pensa bene alle scelte che fai’ poi ho richiuso e sono tornato a casa sfranto”
“La devi smettere con questo vizio di voler avere l’ultima parola. Possibile che tu dica o faccia solo stronzate?” stava ridendo
“Che ti devo dire… lì per lì… poi sono tornato a casa furente di rabbia”
“E hai trovato Lucrezia”
“No, lei l'ho trovata la mattina”
“Penso che ti farà bene frequentarla un po'”
“A te non crea problemi?”
“Affatto”
“Sicuro?”
“Dai, eravamo semplicemente tutti ubriachi ma non abbiamo fatto niente di male. E non penso che Caterina sia una cagna ipocrita... nel senso non nell'accezione normale. Se Lucrezia è gatto, Caterina è cane, quello intendevo... e no, non penso sia ipocrita, semplicemente mi sa di parecchio incasinata. La cosa importante è che tu non ti faccia trascinare verso il fondo. Lucrezia ti farà bene”
“Lo hai già detto. Ripeti sempre le stesse cose, come i vecchi”

“Io sono quello vecchio”

CAPITOLO 31

Se non vuoi perderti gli aggiornamenti, scrivi la tua email lì a destra, dove c'è scritto FEED!

Comincia tutto così

lunedì 12 dicembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #29

Poeta
di biscotti e imbarazzo

La mattina mi svegliai di pessimo umore.
Normalmente appena sveglio non sono il massimo della civiltà. Appena sveglio non vorrei mai essermi svegliato. Appena sveglio maledico il sole che girando ha fatto capolino. Appena sveglio maledico il gallo, le sveglie, gli orologi. Appena sveglio odio tutti, soprattutto chi cerca di farmi parlare, chi vuole interagire, chi cerca di ricordarmi che fuori di me c’è un mondo.

Il bello di vivere con tuo fratello è questo. Sei con uno che se non è identico a te almeno ti conosce dalla nascita ed evita di romperti le scatole appena sveglio.

Quella mattina ero di umore peggiore del solito.

Mi alzai dal letto, mi sistemai i calzoni del pigiama, misi le ciabatte e andai in bagno. Una regola mia e di Nib in casa è che se siamo io e lui, non si tira lo sciacquone se uno dei due sta dormendo. In fondo è solo acqua sporca. Meglio un po’ di acqua sporca nel cesso che essere svegliati prima del dovuto. Feci quello che dovevo fare, lasciando tutto lì. Uscii dal bagno con calma, grattandomi i gioielli di famiglia. Non fate finta di niente, è un gesto irresistibile per qualsiasi maschio, specie appena alzati.

Strusciando le ciabatte, feci per entrare in cucina. Sulla soglia, mi cadde addosso qualcosa di morbido e caldo mentre alle mie orecchie arrivavano frequenze fuori posto. Avete presente? In un contesto che conoscete bene non fate più attenzione ai rumori. Ad esempio, nel traffico siete abituati a sentire i soliti rumori: motori, clacson, sgommate. Non prestate particolare attenzione. Non li sentite più. Ma immaginate di accendere il motore e sentire un muggito. Ecco. Quello lo sentireste per bene, vi arriverebbe come una nota stonata.

Come mi succede quando sono ancora assonato, avevo il cervello più lento del normale. Vedevo il mondo al ralenti. E mentre le cose mi accadevano riuscivo a speculare, a farmi domande e a rispondermi come se stessi guardando la vita di qualcun altro alla moviola. Le frequenze fuori posto erano una voce femminile che diceva una cosa come “hey maschiaccio” e la cosa morbida su cui ero impattato era un petto… o meglio… era proprio un bel paio di tette che spuntava da una camicia aperta. Era una camicia di Nib. La conoscevo. Gliel’avevo regalata io. Un po’ sopra le tette, nascosta da cappelli biondi spettinati, c'era una bocca con un’espressione sorpresa che si stava trasformando in un sorriso mascalzone.

Quel sorriso lo riconobbi: era una delle conquiste serali di Nib. A parte la camicia, evidentemente troppo grande, era nuda e con un pacco di biscotti in mano. Davvero un bello spettacolo.
Non mi venne niente di meglio da dire se non:

“Devo tirare l’acqua del cesso”

 Mi girai, entrai in bagno, tirai l’acqua e tornai indietro. Lei era sempre lì.

“Sei un poeta, quindi”

Ignorai la provocazione.

“E tu non hai freddo?”

Anche lei ignorò la mia. Provai a toglierla dall’imbarazzo: le dissi che poteva tornare da mio fratello.

“E se restassi a farmi scaldare da te? Mi sembri contento all'idea” lo disse ammiccando con aria maliziosa verso gli evidenti sommovimenti che mi animavano il cavallo dei calzoni.

“Andiamo a mangiare quei biscotti di là”

La presi per mano e la portai in camera.

E sì. Mangiammo anche i biscotti. E ci scaldammo nella maniera più antica, strofinandoci l’uno sull’altra come se fossimo dei bastoncini per accendere il fuoco.

Fu una cosa decisamente meccanica, almeno da parte mia. Meccanica e imbarazzata. Più imbarazzata che meccanica.

Non sono uno da sesso occasionale, senza un benché minimo coinvolgimento emotivo mi manca ogni curiosità di scoperta. Con Lucrezia feci quello che dovevo, senza remore e timidezza o particolare trasporto. Non mentirò dicendo che il suo fare strafottente e malizioso non avesse fatto colpo e che lì per lì non fosse divertente. Però poi divenne imbarazzante. A un certo punto mi ritrovai a pensare al fatto che avesse passato la nottata con Nib. Ripensai alla notte con Caterina e questo mi fece ricordare perché m’ero svegliato di cattivo umore. A questo, per essere davvero onesti, andrebbe anche aggiunta quell'invidia che provavo da sempre per Nib. Io trattato a merda, lui ubriaco che si fa riportare a casa da una maiala che resta a rimboccargli le coperte.

Lei sembrò non accorgersi particolarmente di tutto questo mio turbamento. Potrei dire che fu soddisfatta di quello che trovò anche se non era proprio quello che cercava. Ma non lo dirò, so bene quanto è facile far credere a un maschio di essere il più grande macho sulla faccia della terra.
Mi disse che capita a tutti di fare cilecca ma non con lei.

“Beh, vaffanculo, ora sì che va meglio”
“Grazie anche a te!”

Poi si girò su un fianco e si mise a dormire io mi rimisi i miei calzoni di pigiama, la mia maglietta e tornai in cucina, col pacco di biscotti in mano, deciso a fare colazione.

In cucina trovai Nib e una mora. Riconobbi anche lei: era sempre una di quelle della sera prima. Pensai per un momento alla nottata intensa di mio fratello e mi sentii come uno sciacallo che banchetta con gli avanzi di una preda uccisa da qualche fiera più grande. Dall'imbarazzo nei loro occhi, mi resi anche conto di aver interrotto qualcosa. Salutai, lasciai i biscotti sul tavolo e tornai in camera sbuffando.

Lucrezia ora era sotto le coperte, rannicchiata. Appena mi sedetti sul letto si girò e mi cinse la vita.

“Con tuo fratello non ho fatto niente… mi sono addormentata sul divano appena arrivati qui… poi gli ho rubato una camicia e mi sono messa più comoda” disse d'un tratto con una voce da gatta che fa la fusa e gli occhi chiusi “e mi sa che è andata bene così…ieri eri proprio carino… anche se m’ignoravi…”

Ieri. Dedussi che in pigiama, spettinato, di umore ritorto e con l’alito degno di un gatto morto causa indigestione da topi e marci perdevo punti.

Che non avesse fatto nulla con mio fratello mi migliorò l’umore, immediatamente, mentre mi mettevo più comodo, mi dissi che Lucrezia non era quello che cercavo, che volevo Caterina e non una ragazza di quel tipo, sebbene trovassi estremamente sexy ed intrigante, oltre alla sua voce, il suo modo di muoversi, guardarmi e accoccolarsi attorno a me.


Non voglio descrivermi migliore di quello che sono stato (o che sono), perché i pensieri sono più lunghi da leggere e scrivere che a passar per la testa. Dall'esterno si sarebbe detto che mi arresi subito e che non feci nulla per dissuadere Lucrezia. E in fondo è così, i pensieri contano poco se non servono a darci la forza per opporci a quello che sentiamo di non dover fare. I pensieri che m'invitavano alla cautela sfumarono nel “io intanto me la godo, pareggiamo i conti... alla faccia di Caterina e di Nib ubriaco che si fa riportare a casa da due maiale che restano a rimboccargli le coperte!”

CAPITOLO 30

Se non vuoi perderti gli aggiornamenti, scrivi la tua email lì a destra, dove c'è scritto FEED!

Comincia tutto così

lunedì 5 dicembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #28

Automobile
di risse a Gene Simmons

Scesi le scale a piedi, sentendo in lontananza i vari “non-ti-preoccupare son-cose-che-succedono alla-fine-siam-stati-bene-si-risolve-tutto” di circostanza di quei vigliacchi che si accomiatavano dall’Idiota.

Mi sentivo ingiustificatamente sicuro di me. In effetti, più riflettevo sull’accaduto, più mi sembrava di aver gestito bene la situazione. Nib aveva fatto il Nib (me lo avrebbe fatto notare sicuramente a casa). Io avevo evitato che venisse malmenato (cosa che gli avrei rinfacciato). Lui mi aveva evitato di insultare l’idiota anticipandomi e risparmiandomi problemi con Caterina che era riuscita a tirargli fuori il peggio davanti a testimoni tutto da sola. Mi sentivo Rocky dopo la corsa in salita sulla scalinata.

Nella mente già mi figuravo i pettegolezzi.

“Caterina ha lasciato l’Idiota”
“Beh, puoi biasimarla? Ti ricordi come l’ha trattata davanti a tutti?”
“Sì è stato proprio uno stronzo… dovrebbe ringraziarla… io non lo avrei semplicemente lasciato… gli avrei almeno fatto dei danni o lo avrei sputtanato… magari lo avrei fatto pestare di brutto!”
“Beh, ma tu non lo avresti nemmeno deriso davanti a tutti”
“Forse hai ragione… però… ma te li ricordi quei calzoni?”
“Ma guarda che costano un sacco!”
“Ok, ma facevano schifo, poi addosso a lui…”
“Vero… in effetti tu non avresti mai sopportato uno vestito in quel modo ridicolo!”
“Già, vedi? Ha fatto proprio bene a lasciarlo… e poi ora sembra così felice”
“Beh, lui la tratta come merita, la invidio proprio”
“Anch’io, non avrei mai pensato…”
“Ma nemmeno lei!”
“Ahahahahha ma allora è vero che si sono incontrati per caso in giro?”
“Così mi hanno raccontato!”
“Che storia!”
Eccetera eccetera.

Immerso in questi bei voli pindarici della mente scesi le scale e arrivai al portone. Lo aprii. Uscii. C’era Caterina accucciata, con la schiena poggiata al muro del palazzo che piangeva. Il viso nelle mani.

“Ti va di parlare?”
“Vai via!”
“Io me ne vado, ma sappi che ora arrivano Lorenzo, Bruno, Beatrice e quello inquietante senza sopracciglia…”
Un accenno di sorriso
“Oliviero?”
“Lui!”
“Perché sei solo?”
“Sono andati via quasi tutti e i reduci si sono attardati in salamelecchi al padrone di casa”

Parlando si era alzata. Aveva il trucco degli occhi colato e impiastrato su tutta la faccia.

“Sembri uno dei Kiss dopo una rissa”

Sorrise.

“Cretino”

Risi anch’io porgendole un fazzoletto.

“Se vieni in macchina ho le salviette umide e uno specchio”

Ci avviammo svelti verso la macchina, girato l’angolo sentimmo il portone aprirsi e l’allegra compagnia uscire. Caterina accelerò il passo.

Avevo trovato posto un po’ distante, mentre raggiungevo il veicolo mi resi conto che mio fratello era scomparso lasciandomi le chiavi. Confidai che, alla bisogna, mi avrebbe chiamato.

Camminammo senza parlare, guardando avanti, a passo svelto. Aprii la macchina, ci sedemmo e chiudemmo le portiere. Aprii il bauletto e le passai le salviette, le prese e abbassò il parasole.
“Puoi accendere la luce?”
“Sì, scusa…” e accesi.

“Oh Madonna!” esclamò e si mise a ridere
“Come hai fatto a rimanere serio? Sembro davvero Gene Simmons dopo una rissa!”
“Per me sei carina anche conciata così… almeno più Gene”

Non rispose, fece finta di nulla, restò concentrata a eliminare le tracce di trucco dal viso.

“Stai un po’ meglio?”
“No… e non mi ci far pensare che piango di nuovo…” e si mise a piangere. Questa volta appoggiata sulla mia spalla.

L’improvvisa vicinanza mi destabilizzò. Stavo andando bene fino a quel momento, mi sentivo di essere stato bravo a rispettare spazi e ruoli. Ma così era un casino, entrai in uno dei miei loop. Cosa avrei dovuto fare? Maledissi di non essere Nib, lui non avrebbe pensato, avrebbe agito, fatto la cosa giusta, l’azione perfetta. Io no, io ero lì a pensare che abbracciandola sarei passato per quello che se ne approfittava, restando fermo mi avrebbe preso per indifferente.

So quello che pensate ma da fuori o a posteriori siamo davvero tutti bravi. Sul momento sei in confusione, il sangue freddo non ce l’hai più da un pezzo e sei stanco degli sforzi che fai per simularlo. Pensi tutto e il contrario di tutto, conscio che tanto sceglierai di fare la cosa sbagliata.

L’abbracciai e la tenni stretta, ignorando il fastidio che solo avere un volante e un cambio fra i piedi può procurare. Ma non provai a fare altro, mi faceva pena. Intendo non in senso negativo, pena in senso di tenerezza. Piano piano smise di piangere.

CAPITOLO 29

Se non vuoi perderti gli aggiornamenti, scrivi la tua email lì a destra, dove c'è scritto FEED!


Comincia tutto così

lunedì 28 novembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #27

Idrocarburo
di musica e battibecchi

La festa fu uno spasso.

Nonostante l’imbarazzo non feci nulla per non stare lontano da Caterina e lei idem, ci passavamo vicini, ci sfioravamo. Nib si ubriacò quasi subito. C’era un vino spaventosamente agghiacciante, praticamente un idrocarburo, che gli andò direttamente al cervello senza passare per l’apparato digerente.

Iniziò prima a fare il brillante, attirandosi le attenzioni della maggior parte delle femmine sconosciute presenti (cosa che gli sarebbe riuscita anche da sobrio, con l'emicrania, un un’unghia incarnita, una macchia di sugo sul maglione e la nonna al seguito). Poi iniziò ad esagerare, alzò la musica, si mise a ballare con 3 (tre) di queste. Ballavano solo loro, in mezzo a questo misero salottino con un divano marrone e qualche cuscino a terra. Io e altra gente eravamo sul terrazzo, altri erano in cucina, altri ancora in piedi sulla porta a gustarsi lo spettacolo.

Nib era carico, era un fungo atomico sterminatore, un corpo ormai imbottito di alcol e testosterone, niente e nessuno lo avrebbe più fermato. Io lo sapevo. Io lo conoscevo.

Ne baciò una, una mora, decisamente carina che sembrò stupita ma non contrariata, l’abbracciò, fu ricambiato. Non pago allungo una mano, tirò a sé la seconda, un’altra moretta leggermente meno carina della prima ma, diciamo, con un paio di argomenti decisamente convincenti. Baciò anche lei.
Sentii uno dietro di me bestemmiare e spingere per passare urlandomi nell’orecchio cosa tipo “Puttana! Stronzo!”.

Ma Nib non sentiva, la musica era alta e lui, ormai posseduto da Supersex, era concentrato nel rilascio del fluido erotico. Stava per baciare pure la terza, una bionda dal sorriso mascalzone ormai totalmente alla sua mercé, quando l’Idiota spense la musica.

La moretta (la seconda), si staccò immediatamente da Nib portandosi le mani alle guance e girandosi verso di me con gli occhi sgranati. Non guardava me, ma il ragazzo che, se non lo avessi prontamente fermato, si sarebbe gettato su Nib o su di lei come un ultimate warrior qualsiasi.

Voltandosi verso lo stereo, Nib disse: “Chi è quel mentecatto figlio di un dio nano che ha staccato la spina?” Si fermò mettendo a fuoco l’Idiota per qualche frazione di secondo “Ah, scusa… chi è quel mentecatto, figlio di un dio nano, coi calzoni a quadretti e le scarpe da ritardato che ha spento la musica?”. Attorno c’era il putiferio, il ragazzo della moretta inveiva e cercava di liberarsi da me e da altri che lo tenevamo dicendogli, dai, non è successo niente, non si sono mica baciati, hai visto male, ballavano solo, tranquillo. L’Idiota, effettivamente con calzoni a quadretti (in realtà erano calzoni color beige-cacchetta con motivi scozzesi di un noto stilista) e con scarpe curiose (una sorta di mocassini neri con una suola indecentemente alta e dentellata, tipo scarpe ortopediche con carrarmato per lo spazio, anch’esse di un noto designer di calzature), era rosso in volto e aveva assunto una posizione da padre severo. E su tutto ciò Caterina rinunciò a trattenere le risa.
Al suono della sua risata tutto sembrò cristallizzarsi, urla, voci, rumori si fermarono all’istante, tutti guardarono lei con le mani sulla bocca che cercava di fermarsi e poi guardarono l’Idiota. La ragazza di ultimate warrior scappò in bagno, la bionda e la mora iniziarono a raccogliere le loro cose. Nib in piedi come un cretino si grattò il mento.

E lì si consumò la tragedia. L’Idiota guardò Caterina e le si avvicinò urlando “Cosa cazzo Vidi, cVetina?!” la prese per un braccio strattonandola e portandola via urlandole nell’orecchio “Cos’hai da VideVe, bVutta deficiente?!?!”. Uscirono dalla porta del salotto, lui continuava ad urlare, poi sì sentì sbattere una porta e dedussi si fossero chiusi in camera. Ultimate warrior si diresse verso il bagno, non prima di aver urtato Nib con la spalla. Ma lui non gli diede peso, la bionda lo aveva preso per mano e lo stava tirando verso la porta d’uscita.

Mi avvicinai allo stereo. “Beh, una gran festa riuscita” dissi. E rialzai un po’ il volume, quel tanto che bastava per coprire gli strilli dell’Idiota e di Caterina. Ma non quelli di Ultimate.

Tempo 20 minuti e tre quarti dei presenti, fra cui Nib, se n’erano andati, chi inventando una scusa, chi scomparendo. Qualcuno, fra cui il sottoscritto, cercava un po’ di rassettare. Ultimate era passato dal “puttana puttana” al “dai gattina esci”. Gattina uscì, si abbracciarono, e andarono via anche loro.

Passarono altri 20 minuti. Rimanemmo in 5. Eravamo ormai indecisi se passare pure lo straccio per terra, non avevamo più niente da riordinare, avevamo pure lavati i piatti.
Ero di ottimo umore. Sì, certo, mi dispiaceva per Caterina ma pensavo anche che una bella overdose di realtà le potesse far bene, dopo una scena così pensavo che non avrebbe più potuto sostenere tesi fantascientifiche tipo che non fosse davvero un inutile minchione.
Mentre cercavo di convincere il resto della risicata truppa a proseguire la serata in un pub, la porta della camera si aprì, uscì Caterina di corsa urlando un “mavvatteneaffanculo!” fra le lacrime, ci passò in mezzo e uscì di casa. Si affacciò l’Idiota dalla stanza, sguardo superbo, guance rosse, ci guardò accendendosi una sigaretta:

“Le donne sono tutte cVetine… scusate la scena di Cate e gVazie per essere venuti… e tuo fratello o lo lasci a casa o lo tieni a bada, la pVossima volta”

“Riferirò, tu però prova a vestirti come una persona normale… provaci almeno, eh!”

Uscii gongolante, mentre il resto della truppa salutava più formalmente.

CAPITOLO 28

Se non vuoi perderti gli aggiornamenti, scrivi la tua email lì a destra, dove c'è scritto FEED!

Comincia tutto così

lunedì 21 novembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #26

Zigulì
di nascondigli e nascondini

Passarono i giorni e le settimane e forse anche un mesetto buono. In questo lasso di tempo i contatti con Caterina erano sporadici, una telefonata, uno scambio di messaggi. In un tardo pomeriggio andammo insieme al cinema. L'Idiota era, tanto per cambiare, a fare altro.

Il giorno dopo mi svegliai bene, di quel buon umore quasi ai limiti dell’euforico di quando ti svegli e vedi che la vita va per il verso giusto e che i giorni non sono tutti un susseguirsi di meccaniche ripetizioni delle stesse abitudini. Il risveglio di quello che è sopravvissuto ad un frontale in auto senza nemmeno un graffio, di quello vivo per miracolo.

Non era successo niente e contemporaneamente era successo tutto, in un niente, giorno dopo giorno, ero entrato nel mondo delle possibilità. Mi chiesi, come tutte le mattine, se era il caso di importunare nuovamente Caterina. Decisi di fare il sostenuto per tutta la giornata e fu un’autentica tortura.

Mi sentivo come quando da piccolo rimediavo delle caramelle o dei dolcetti. Ne avevo fatto a meno per settimane, mesi, senza che questo mi pesasse, ma appena ce li avevo fra le mani non riuscivo a smettere di mangiarne fino a rimanere nuovamente senza.

Ricordo quando qualcuno mi comprò un pacchetto di Zigulì. Ne mangiai immediatamente la metà, poi decisi di centellinarle, di seguire il consiglio che mi davano tutti: “non mangiartele tutte insieme, fattele durare”. Allora me le nascosi facendo quello che solo la mente meravigliosa di un bambino può concepire. Le misi fra due libri, nella libreria della cameretta che spartivo con Nib, e mi misi a giocare. Me ne dimenticai volontariamente. Mi fregai da solo.

Le ritrovai solo mesi dopo, per sbaglio, giocando con i libri. Ricordo la sorpresa, il gusto di trovare un dono inaspettato, le mangiai. E solo dopo averle finite ricordai di averle nascoste io e perché.

Nei primi momenti di approccio con una ragazza sono ancora un bambino con un pacchetto di caramelle che cerca di non bruciarsele subito tutte, che si sforza con sé stesso di distrarsi, di pensare ad altro, di centellinare l'entusiasmo. Appena mi accorgo di essere nel mondo delle possibilità smetto di trattenermi: telefono, messaggio, sono presente. A pensarci bene solo con Marta è stato diverso. A posteriori è facile trovare un senso alle cose.

Nascosi le mie Zigulì per tutto il giorno fino a notte e il mattino dopo trovai due messaggi di Caterina

mi sa che ti sei già scordato di me

seguito da

Dopodomani ho invitato un po’ di gente qui da noi, venite?

Il secondo lo aveva ricevuto pure Nib che rispose affermativamente. Quel “qui da noi” non mi andò giù. Mi rese indigesta la colazione e mi mandò di traverso la giornata. Non risposi ai messaggi considerandomi un imbecille per aver creduto che qualcosa fosse possibile.

Quando arrivammo a casa dell’Idiota, ci aprì la porta Caterina, la vidi felice, dietro di lei l’Idiota. Mi tornò in mente un momento poco edificante della mia storia.

Ero decisamente più giovane, stavo con Luciana, studentessa fuori sede, tanto per cambiare, e un’estate decise di invitarmi per ben un weekend nella sua casa al mare con l’ordine tassativo che io non dovevo essere io, che non avrei dovuto dare l’idea che stessimo insieme. Si trattava di una sorta di villino prefabbricato di due piani. Lei era al piano terra, la zia al secondo. Ci sarebbero dovuti essere la cugina Luisa che mi conosceva, l’altra cugina Arianna che non doveva sapere di me e soprattutto il fratello Paolo che, se solo avesse sospettato, mi avrebbe staccato la testa cacandomi nella trachea. In più poteva capitare qualche zia a contorno, quindi mi sarei dovuto guardare le spalle.

Si prospettava un fine settimana di tutto relax anche perché il fratello conosceva il mio vero nome, perché da bravo romantico avevo passato le settimane estive precedenti scrivendo alla pulzella romanticissime e imbarazzanti lettere manoscritte, insomma quelle cose per cui uno potrebbe essere ricattato a vita, dove in pratica stai scrivendo “sono cretino, sono un mentecatto, sono un coglione, sono un imbecille, sono misero, sputatemi addosso” ma te ne rendi conto solo quando, un mese dopo, ci ripensi.

Decisi quindi che sarei stato Oronzo. Tutti d’accordo. Io mi pregustavo un po’ la scena, questo temibile Paolo mi era stato descritto come uno stronzo del secolo scorso. Quelli che la femmina deve stare zitta e chiusa nell’unico luogo che le compete, la cucina, a pulire verdura, rammendare calzini bucati e fare caffè per poi andarsene solo una volta sposata con qualcuno che avesse ottenuto il benestare del padre padrone.

E quindi a un minchione di questo calibro sei ben disposto a fare qualsiasi cosa.

Il terribile fratello invece era una bravissima persona, avevamo anche delle cose in comune. E mi sentii l’ultima delle merde schiacciata su un bollente marciapiede d’agosto a prenderlo in giro. L’amore, è noto, porta a fare un sacco di cretinate, prima fra tutti quella di fidarsi della gente sbagliata. Luciana era una persona sbagliata, la più classica femmina con più complessi della vitamina B tutti sfogati contro e sul prossimo.

E, insomma, noi siamo lì, io e Paolo, che parliamo e facciamo gli spiritosi cambiandoci dopo il mare. Lui mi chiede se conosco quello che fa il filo alla sorella, prima nego, poi mi fa il nome e mi faccio prendere la mano. “Lo conosco” gli dico “è uno un po’ coglione” e giù d’insulti a me medesimo. Ride, Paolo. Rido anch’io. Ridono un po’ tutti. “Ahahah mia sorella giusto un coglione poteva rimediare! Ahahahahah!”. Io e Paolo ci diamo sonore pacche sulle spalle. Ormai è fatta, Oronzo ha vinto la sua fiducia, ha fatto breccia. E ovviamente la tragedia è prima che dietro l’angolo.

Mentre noi ridiamo, Laura saluta, che se ne va, e mi saluta col mio nome, io faccio finta di niente, rido di grosso. Paolo smette di ridere “Come t’ha chiamato?”, faccio lo gnorri. Laura arriva di corsa, mi prende per mano e mi porta via.

Vengo nascosto nella casa della zia (al piano di sopra). Dove vengo tenuto tutta la notte.

Mi si racconta che Paolo è feroce, che gira attorno alla casa con coltelli, fucili e bombe a mano.

A me la cosa non interessava particolarmente, volevo solo fare sesso con Luciana, onestamente. Ma non mi fu permesso, perché lei aveva troppa paura e volle la cugina Arianna sempre con noi.

Ricordo chiaramente che mi sentivo come un camorrista traditore il giorno prima di essere nascosto dalla polizia, quando capisce che il boss ha saputo del suo tradimento e ha chiesto la sua testa su un vassoio d’argento.

Ovviamente erano tutte cazzate, frutto della peculiare visione della realtà di Luciana, ma che interpretasse la realtà in quel modo tutto personale lo capii solo dopo tanto tempo. Lì, quella sera, in quella stanza mi sentivo pure in colpa per aver preso per il culo il povero fratello che aveva tutto il diritto ad essere incazzato.

Passata la nottata (in bianco) decisi che non mi andava di passare un’altra giornata da recluso. Preparai il mio zaino, presi la mia roba, ingoiai la vergogna e andai al piano di sotto. Salutai Paolo, mi scusai per l’accaduto e me andai a prendere la corriera.

Ecco. Guardando negli occhi l’Idiota provai vergogna.

La stessa identica vergogna che provai quando Paolo mi chiese “come t’ha chiamato?”.

Poi mi resi conto di com’era vestito, feci mente locale e la cosa un po’ mi passò. Già, perché Paolo era una brava persona con una sorella un po' cretina e l’Idiota era … beh era l’Idiota, senza attenuanti.

CAPITOLO 27

Se non vuoi perderti gli aggiornamenti, scrivi la tua email lì a destra, dove c'è scritto FEED!

Comincia tutto così

lunedì 14 novembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #25

Jon Grumo
di ipotesi e canzoni

A parole e con Nib ero bravo a fare il fenomeno. La storia del coccodrillo non so nemmeno da dove mi fosse venuta. Ero orgoglioso di me stesso. Ma erano solo idee, parole, proiezioni di qualcosa a cui non sapevo se fossi capace di tener fede.

Forse avevo semplicemente descritto quello che avrei voluto essere oppure stavo gettando le fondamenta di un bel castello di idee elevate dove ripararmi in modo che il fallimento non fosse colpa mia.

Invidiai Nib, lui sarebbe andato al punto. Entrambi non eravamo troppo portati per la strategia, lui però riusciva a mantenere un approccio diretto, senza strafare. Metteva semplicemente le cose in chiaro, del tipo “io sono io, voglio te e non accetto un no”. E funzionava. Non ricordo sia mai stato rifiutato. Mai. Eppure dopo un po’, spento il fuoco, finiva tutto, spesso male.

C’era una correlazione o lui, semplicemente, puntava sempre su quelle sbagliate, distratto magari da una quinta o da un bel paio di chiappe?

Non arrivai ad una risposta perché Caterina si fece largo nei miei pensieri. La immaginai tornare a casa, chiudere la porta piano, e al buio lasciare le chiavi in uno svuota tasche, togliersi il cappotto, appenderlo a un attaccapanni, togliersi le scarpe e andare al bagno cercando di non far rumore. La immaginai chiudere la tazza con un’espressione di fastidio. Sedersi, rannicchiandosi con le ginocchia al petto e restare lì, a riordinare i pensieri, magari riscorrendo i messaggi del pomeriggio sul cellulare.

Si sarebbe lasciata cullare dal ricordo o si sarebbe fatta sopraffare da un subdolo senso di colpa? Avrebbe pianto? Avrebbe sorriso? Non potevo saperlo. Di una sola cosa ero certo, comunque fosse andata, ad un certo punto, sarebbe andata in camera da letto, si sarebbe spogliata e infilata sotto le coperte. Di fianco all’Idiota. L’ultimo pensiero mi fece male. Capii però che non dovevo “distogliere i pensieri”, dovevo accettare la situazione se volevo mantenere un equilibrio fino alla fine, qualunque essa fosse. Dovevo accettare che lei sarebbe tornata da lui ogni sera, che si sarebbe svegliata al suo fianco, che lo avrebbe carezzato, che si sarebbero baciati, che magari avrebbero fatto l’amore. Magri solo sporadicamente, controvoglia, senza alcuna soddisfazione reciproca magari a causa di alcune precocità estreme di lui...

Ma quale sarebbe stato il mio ruolo? Io sarei stato un tarlo? Un’idea fissa? Una speranza? Un senso di colpa? Una crepa destinata a far crollare il muro o ad essere imbrigliata dallo stucco?

Le mandai un messaggio. “Buonanotte” scrissi. Alla faccia del coccodrillo che aspetta il momento propizio per scattare. Nemmeno il tempo di sentirmi un cretino, ed ecco la risposta:

vorrei essere ancora in macchina con jon grumo che canta per noi

Non riuscii a trattenermi dal rispondere “as no good reason remains, I'll do the same...”, una strofa della canzone a cui faceva riferimento. Sapevo che non dovevo continuare, che era meglio interrompere lì lo scambio di messaggi. Ma era come averla di nuovo vicino a me e lontana dal letto dell’Idiota. Sapevo di tirare un filo sottile, sapevo che se si fosse rotto non avrei più potuto ripararlo. Ma ormai il danno era fatto. Decisi di non rispondere altro. Sperai che anche lei condividesse il mio stato d’animo. Rispose con un’altra strofa della canzone “...One day a ship comes in. Buonanotte”. Scelta a caso? Fortissimamente voluta? Curioso che fra la strofa scelta da me e quella scelta da lei ci fosse in mezzo un “thinking of you”.

Sì, lo ammetto, ero in disgustoso tunnel da pattume romantico e non facevo altro che supposizioni. Inutili supposizioni. Una cosa sola era certa: era sveglia, col cellulare in mano e il mio messaggio non l’aveva in alcun modo presa in contropiede, quindi era ancora lontana dall’Idiota.

L’idea mi rasserenò e mi permise di guardare al domani con ottimismo. E godermi il sonno dei giusti.

CAPITOLO 26

Se non vuoi perderti gli aggiornamenti, scrivi la tua email lì a destra, dove c'è scritto FEED!

Comincia tutto così

lunedì 7 novembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #24

Confronto
di orgoglio e coccodrilli

“Sveltina in macchina?”
“Cosa?”
“Sveltina in macchina. Sai, calzoni mezzi calati, le chiappe in mostra dal vetro davanti, lei che si lamenta perché ha un poggiatesta in una costola ma tu prendi il tutto come un inno alla tua maschia potenza…”
“Definizione di un cruciverba?”
“No, farina del mio sacco e non stai rispondendo”
“No”
“Cioè? Non è farina del mio sacco? Ti ho picchiato per molto meno”
“Non mi hai mai picchiato”
“Forse una volta. Ma non stai rispondendo”
“No”
“Non vuoi rispondere?”
“Niente sveltina”
“Cioè? Tu in 48 minuti sei uscito, sei arrivato oltre le colonne d’Ercole, ti sei fatto una comoda scopata come Dio comanda, sei tornato indietro e hai pure parcheggiato? Lo sai che sotto i 10 secondi può essere un problema?”
“Secondo me tu sei stato adottato”
“Me lo diceva anche mamma!”
“Ho trovato posto subito e non c’era traffico. E non abbiamo fatto niente”
“Giochi di mano?”
“Giochi da villano”
“Coglione”
“Ehehehe! No, niente di niente”
“Limonato prepotente?”
“No”
“Lingua in bocca e mano su una tetta?”
“No”
“Sei una delusione”
“Me lo diceva anche papà”
“Devi darmi delle spiegazioni”
“Ti fidi di me?”
“No”
“A posto”
“Dai, cazzo, cosa è successo? Che ci faceva Caterina a casa nostra? Che ci faceva Caterina con te? E dov’è l’Idiota?”
“Andiamo per gradi. Sai come la penso su di lei”
“Appunto”
“È incasinata. Sta con l’uomo merda e fa finta di non saperlo. Sai, quelle questioni di orgoglio, tipo il Senegalese con cui parlammo quest’estate”
“Quello che all’umiliazione di tornare a casa preferiva vivere da mendicante qui scrivendo lettere ai genitori in cui millantava una posizione sociale invidiabile?”
“Esatto”
“Quindi è solo una questione di orgoglio personale?”
“Più o meno, sarebbe ammettere col mondo di aver sbagliato”
“Vabbè, dai, non ci sta col cervello”
“Sbagliamo tutti, eh!”
“No, cazzo, io posso sbagliarmi e mettere poco sale nella pasta, non a condividere il letto con l’Idiota…”
“Devo ricordarti Viola?”
“...colpito e affondato”
“Ecco. Quanto c’hai messo a lasciarla?”
“Beh, un pochino”
“Nib!”
“Forse un po' di più...”
“Comunque troppo. E mi pare che lei sia in una situazione simile. Sta con un imbecille, ma in fondo ha delle qualità, potrebbe lasciarlo, ma lui ci starebbe male e poi perché lasciarlo o per chi? Magari non andrebbe bene lo stesso e bla bla bla”
“Mi sa che la fai troppo complicata. Secondo me il punto è che non sai mai se è colpa tua o colpa sua”
“Dici?”
“Sì. Per quanto ce la raccontiamo, nessuno ha la coscienza pulita alla fine. Sensi di colpa, mancanze, rimorsi, rimpianti. Cose fatte male. Cose che si potevano fare meglio… sai, questa roba qui”
“Ti preferivo quando facevi l’imbecille”
“Dai, ogni tanto fammi fare il fratello maggiore. Anche se non ho ancora capito cos’hai intenzione di fare”
“Io ancora niente”
“Bella strategia!”
“Faccio il coccodrillo”
“Piangi?”
“no, resto fermo”
“Utile”
“Sto fermo. A bocca aperta. Faccio finta di vedere il mondo che passa senza curarmene aspettando il momento in cui il destino mi confonderà con lo sfondo, si dimenticherà di me, mi sottovaluterà e mi darà le spalle”
“E poi?”
“A quel punto scatto e mordo quello che trovo. Poi succeda quel che deve succedere”
“Non ti capisco, io le chiederei di scegliere”
“Io no”
“Capisco perché di donne in quella stanza ne passino poche”
“Non credere che non lo vorrei. Ma alla fine cosa otterrei? Dico, anche se venisse con me, non potrebbe restare coi dubbi? Mi piacerebbe altro. Mi piacerebbe che la scelta se la meditasse per bene. Non la voglio influenzare. Non penso che Caterina si meriti il pressing, la pressione, l’obbligo di scelta al buio”
“mi pare una cazzata”
“mettila così, una che cambia uomo dall'oggi al domani, dietro richiesta, ti ispirerebbe fiducia?”
“Intanto me la darebbe!”
“Dai, imbecille! Dico sul serio”
“Beh, che ne so, fai domande complicate”
“Domande complicate per gente complicata. Caterina è complicata”
“Bah! In fondo la conosci più te di me. Non ti capisco, ma mi adeguo. Ma nella pratica?”
“Nella pratica esattamente come prima”.

CAPITOLO 25

Se non vuoi perderti gli aggiornamenti, scrivi la tua email lì a destra, dove c'è scritto FEED!

Comincia tutto così

lunedì 31 ottobre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #23

Macchina
di saluti e abbracci

Presi le chiavi della macchina e uscimmo. La macchina non era parcheggiata troppo distante. Poi dici che non devi maledire il caso… come quando devi fare una cosa mentre sei al volante e dici “al primo rosso la faccio” ed è la volta che becchi un’onda verde come mai ne hai incontrate in vita tua. Quella sera, quella sera che ero in giro, di notte, con Caterina e che mi avrebbero fatto comodo due passi romantici, la macchina era lì, dietro l’angolo, a meno di 20 metri dal portone. Roba che normalmente non è a meno di 2 isolati. Ma quel pomeriggio Nib aveva trovato subito postovicinocasacheculo!

Salimmo in auto in silenzio. Accesi il motore. Accesi le luci. Misi un po’ di musica.
“Dove ti porto? La notte è ancora giovane!”
“Dai, domani devo lavorare… portami a casa, per favore”
“Va bene… da l’Idiota?”
“Eh già...”

Conoscevo la strada. Mi disse che si era trasferita da lui da pochissimo che era stato molto restio perché non si sentiva pronto alla convivenza. Che fossero fesserie non lo dissi. Non le dissi nemmeno che quella era la prova del fatto che lui, di lei, non fosse eccessivamente interessato. Commentai invece che ognuno era fatto a modo suo e aveva dei tempi per fare le cose. E lo dissi infilandomi mentalmente un cacciavite in un testicolo.

Come ad interrompere ogni successivo sviluppo del discorso esclamò “bellissima questa!” alzando di 6-7 tacche il volume della radio. Era “200 Days” di John Grumo. Ascoltammo musica per tutto il non breve tragitto e parlammo solo per commentare quello che usciva dalle casse.

Mi fermai in doppia fila davanti al portone di un palazzo che aveva un disperato bisogno di essere ristrutturato, in una zona studentesca fatta di edifici nelle medesime condizioni. Nemmeno un cane in strada. Nemmeno veicoli. Accesi le quattro frecce. Spensi il motore. Lei tolse la cintura.

“È stata una bella serata” dissi spingendo le mani contro lo sterzo per stiracchiare le braccia “spero si ripeta…”

Mi cadde addosso. Cioè, la prima impressione fu che mi fosse caduta addosso. Invece mi stava abbracciando, in quel modo goffo in cui si può abbracciare la gente seduta sui sedili anteriori di una macchina, specie se uno dei due non è pronto, è legato con la cintura di sicurezza e aveva ancora le mani sul volante.

Si strinse, con il viso tuffato nell’incavo della spalla e restò così. Non sapevo che fare e dopo i primi secondi di tentennamento l’abbracciai a mia volta. Un altro abbraccio goffo, ovviamente. Dopo alcune decine di secondi allentò la presa e mi baciò sulla guancia

“Grazie, è stato tutto bellissimo… e anche molto… molto intenso… no… sbagliato parola… insomma… tante sorprese e… devo pensare a un sacco di cose… grazie. Non mi divertivo tanto da molto” aprì la portiera e uscì, andò di corsa al portone, poi tornò indietro, riaprì la porta “Ringrazia anche Nib!”. Tornò al portone, impiegò un tempo impossibile a cercare le chiavi nella borsa, aprì e scomparve inghiottita dal palazzo malconcio.

Mi sentivo come se fossi arrivato primo alle olimpiadi e contemporaneamente solo come un cane

CAPITOLO 24

Se non vuoi perderti gli aggiornamenti, scrivi la tua email lì a destra, dove c'è scritto FEED!

Comincia tutto così