The Day After
di
epifanie e di risse
Probabilmente a scatenarmi quella sera fu il tasso alcolico. Ed è sempre colpa del tasso alcolico se di tutta la vicenda ho ancora dei ricordi distorti. Quando ci penso rivivo tutta la scena in modo estremamente onirico. Quella maniera di ricordare le cose che un po' guardi il mondo con i tuoi occhi e un po’ ti vedi con gli occhi del mondo, quasi in contemporanea.
Come avevo raccontato eravamo al
Locale e io avevo già bevuto qualche bicchierino di troppo. Nib aveva pensato
bene di farmi bere a casa, prima di uscire. Arrivato lì, semplicemente, non mi
fermai.
Il clima era festoso, ridevamo
più o meno tutti, ci stavamo divertendo. Credo. Perché nei miei ricordi ad un
certo punto ci sono immagini discordanti. In alcune mi sto divertendo, rido di
cuore, scherzo, in altre sono infastidito e sempre più teso. Fino a quando, di
questo sono sicuro, ad un certo punto mi alzo deciso a dare un taglio a tutto e
dicendo, come un gran signore, “vado a pisciare prima di rischiare
un’esplosione vergognosa...” poi torno dal bagno e trovo tutti agitati con
l’Idiota che spara l’ennesima fastidiosissima perla guardandomi. Il suo ghigno
sarcastico unito a quella camicia blu elettrico mi stimolano una domanda che
vomito prima di pensare alle conseguenze con un’espressione sul viso che
trasuda innocenza “Hai raccontato a tutti del toro nelle mutande, sì?".
Il ghigno scompare. Guardo tutti
i presenti sorridendo come uno che la sa lunga e facendo finta di attendere una
risposta. Faccio questa pausa ad effetto guardando tutti, tempi comici
perfetti, davvero, roba da far studiare alle scuole di recitazione.
“Dovete sapere che il qui presente premio Nobel” indico l’Idiota “è andato da una stagista a dirle che aveva un toro nelle mutande e se voleva farci un giro”
Tutti ridono. L'Idiota mi guarda
torvo. Caterina ha il sorriso di chi non ha capito la battuta. Non sa se faccio
sul serio o se sto sparando qualche cretinata. Gli sguardi che vedono sono di
divertita sorpresa. Non aspetto, è ora di calare l’ascia.
“Io lo so perché lei lo ha
registrato. Lei è l'ex di mio fratello. E il genio si è pure calato i calzoni.
E nella registrazione si sente lei che dice 'hai detto toro o lumaca?'”
Le risate aumentano di volume,
nel mio ricordo sono assordanti, quasi fisiche, sovrastano tutto. Caterina
sgrana gli occhi. L'Idiota mi dà del figlio di tVoia. Ha la faccia e gli occhi rossi. Gongolo e contemporaneamente
non m’interessa più di niente, voglio solo il sangue. Il suo. Voglio portare
l’umiliazione fino in fondo.
“Sei veramente un povero
stronzo... tutti ci chiediamo da sempre se sei così di tuo o prendi delle
pasticche…” Glielo chiedo mentre si alza e mi spintona. Ma io sto ridacchiando,
l’alcol che ho in corpo si mescola ai mesi di frustrazione e al disprezzo, crea
un unico bolo con i bocconi amari ingoiati e mi fa sentire invincibile. Non ho
paura di nulla.
Arriva un altro spintone. Vedo distrattamente
gente alzarsi di scatto, qualcosa che cade dal tavolo, sedie che si rovesciano.
Qualche indistinto “eh, ma dai…” “ora però basta” “… diglielo che scherzi…”
mentre mi sta per arrivare la terza spinta.
È a questo punto che sento distintamente il crack dei freni inibitori che si lacerano, scoppiano, mi liberano. E scatto.
Il resto l'ho già raccontato.
Nel ricordo confuso rispunta quel momento che ho chiamato epifania. È quando nel parapiglia incrocio gli occhi di Caterina. Quegli occhi neri, profondi, sinceri e dannatamente comunicativi. In essi leggo come in un lampo sorpresa-disapprovazione-liberazione-gelo-disgusto-critica-commiserazione-rifiuto-disprezzo. E la consapevolezza delle consapevolezze che mi cala perentoria come la scure di un boia fra capo e collo: non la rivedrò mai più.
Autogol. L'arbitro fischia la
fine.