Vorrei parlarvi di Simone Perotti. Stando alla sua biografia, Perotti era un manager di successo con due passioni: la nautica e la scrittura. Bene, un giorno (13 febbraio 2008), fermo nel traffico della capitale, seduto nella sua automobile, viene fulminato. Lascia il lavoro e rimodula interamente la sua vita.
Capisce che non si può essere schiavi di un sistema che ha come unico obbiettivo quello di masticarti per decenni per poi sputarti via vecchio, stanco e col morale a terra, sia pure col conto in banca gonfio e la casa piena dei gadget più all’ultima moda che puoi immaginare. Capisce che si può vivere con poco, che per essere felici non serve guadagnare 50.000 euro l’anno. Anzi, che felicità e vita semplice, solitamente, sono concetti che si legano l’uno con l’altro.
In parole povere benché anglofone, il Nostro compie il cosiddetto downshifting, letteralmente scalare la marcia, per dedicarsi degnamente alle sue passioni, ovvero, barche e scrittura.
E fin qui va tutto bene, anzi, è una presa di coscienza molto nobile: lavorare meno per godersi la vita nel tempo restante e imparare a far da sé quello che serve fare.
Perotti, poi, inizia a pubblicare dei libri dove parla della sua esperienza di vita, delle sue scelte e del downshifting. Apre un blog. Viene intervistato. In uno dei suoi articoli, ospitato su il Fatto Quotidiano, parla dei messaggi che gli manda la gente:
“Naturalmente i più mi attaccano: “Chi guadagna 1.000 euro al mese come fa?”.
Io mi indigno: per soli mille euro al mese come si fa a fare una vita senza tempo, da schiavi, per sempre? Una vita così assurda dovrebbe valere assai di più. E poi una persona sobria e in equilibrio può vivere con meno di quella cifra. Io vivo con 800 euro, e non mi manca niente. Ho una casa, certo, comprata e ristrutturata dopo 12 anni di progetto. L’ho pagata 50 mila euro, perché fuori dalle grandi città le case costano poco. Le paure che sono emerse con maggior frequenza nell’ampio dibattito sul downshifting sono la paura della povertà, quella della solitudine, il senso di colpa verso genitori e congiunti, e il sospetto di essere inetti, di non saper fare nulla oltre quel che facciamo ora. La più ipocrita invece è la paura travestita da politica: “Dobbiamo restare nel sistema per combatterlo dall’interno”. Quando intasiamo le città, ogni mattina, o quando riempiamo i grandi magazzini, sotto Natale, comprando cianfrusaglie, non diamo l’idea di essere dei grandi combattenti.”
Bene. E qui nasce il problema. Perotti, quando sente di gente che si fa un mazzo così per 1000 euro al mese, non si dispiace, addirittura si INDIGNA. Ma non s’indigna per un mercato del lavoro, per un mondo che obbliga qualcuno a spaccarsi la schiena per 1000 euro. S’indigna perché è stupido spaccarsi la schiena per 1000 euro, visto che per vivere, a lui, ne servono appena 800.
Pensate se sapesse che ci sono pensionati e precari che provano a sopravvivere con 500 euro al mese. Quando invece avrebbero potuto fare come lui, lasciare tutto e dedicarsi alla scrittura e alla nautica.
Sul suo blog il nostro risponde a chi lo accusa di essersi potuto permettere la sua nuova vita perché è ricco. Lui risponde:
“Se così fosse, tanta gente sarebbe salva, non dovrebbe sperare e fare fatica tentando. Ma il punto non è quello. Bisogna consumare poco, vivere con poco, accontentarsi, cercare l’equilibrio. I soldi non sono un buon motivo per fare, non sono un buon motivo per non fare. Io non sono ricco. Non avrò neppure la pensione. Vivo in una casetta di pietra che ho ristrutturato da me. La riscaldo con la legna che taglio e spacco da solo. I mobili, invece che comprarli, li ho costruiti con vecchio legno trovato nel bosco. Ho l’orto. Potete non crederci, ma è così. Vivo con 700 euro al mese. Per campare mi basta poco o niente. Per guadagnare i soldi che mi servono faccio il lavabarche, faccio manutenzione, aiuto al porto, dico sì a qualunque cosa mi si chieda (e che mi va di fare…). Costruisco pesci di legno e ferro zincato, ne ho venduti alcuni. Faccio sculture di legno e ardesia. Faccio anche la guida turistica per vacanzieri americani. Naturalmente o skipper, l’istruttore di vela. Scrivo articoli per qualche giornale, naturalmente scrivo i miei romanzi. Ma ho fatto qualunque lavoro, non solo questi.”
A questo punto qualcosa comincia a non tornare, perché la casetta in pietra devi potertela comunque permettere. Il terreno dove piantare l’orto e gli alberi da tagliare idem. Se nella tua vita hai, al massimo, trovato un lavoro che ti dà 500 euro al mese è un po’ difficile riuscire a permetterti quelle quattro mura.
Per Perotti, vivere con 700-800 euro al mese è “vivere con poco”. Questo mi fa pensare che per lui “vivere con poco” sia un concetto un po’ astratto.
Conosco famiglie che vivono con meno, barcamenandosi fra attività molto meno creative (e lucrative). Non perché siano masochisti, ma perché non hanno mai potuto permettersi di imparare a portare la barca, tantomeno di comprarsene una. E sta qui la grande ipocrisia di Perotti.
Presumere che tutti partano dalle sue stesse basi, presumere che tutti quelli che lavorano per 10 ore al giorno lo facciamo per guadagnare di più e potersi permettere villoni, tute da astronauta, macchine giganti o gadget di ogni tipo, foggia e dimensione. Presumere anche che tutti abbiano i suoi stessi obbiettivi, le sue stesse aspettative, capacità o responsabilità. Questo non è solo sbagliato, ma ipocrita.
E davanti all’ipocrisia, io divento cattivo. Inizio a fare i conti in tasca agli altri.
Caro Perotti, per un certo numero di anni hai lavorato per un lauto stipendio che ti ha permesso di gonfiare il materasso che ti ha consentito di “cambiare vita” (per me hai semplicemente cambiato lavoro). Addirittura avevi già dei libri pubblicati e una barca, non si può nemmeno parlare di salto nel vuoto. Ti faccio i conti in tasca. Una possibilità di fare altro ce l’avevi, un conto in banca per permetterti del tempo a spasso pure. Comodo così INDIGNARSI della vita altrui. Di chi in anni di lavoro non riesce a mettere un euro da parte.
Un sacco di gente “affolla e ingolfa le città” non per divertimento o per inseguire guadagni assurdi, ma per riuscire a sopravvivere (loro e la loro famiglia), riuscire ad avere i soldi per far curare le carie dei figli, mandarli all’università, dar loro chance e strumenti per far si che un giorno possano downshiftarsi. Persone che non hanno un orto da zappare e spesso nemmeno una casa di proprietà.
Non pensi, Perotti, che qualcuno potrebbe non avere delle doti che hanno un valore per il mercato? Non tutti sanno fare i pittori o i muratori, non tutti sanno cucinare, non tutti sanno pescare, non tutti parlano inglese e non tutti sanno (vogliono o possono) vendere i propri talenti.
E, permettimi un’ultima domanda, ma sui lavoretti che dici di fare per campare (vendi il pesce, dipingi le case degli amici, fai lo skipper, la guida, ...) ce le paghi le tasse?
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