di risse e foto di dubbio gusto
Accadde precisamente lì, in quel posto, in quel buco di cesso che chiamavano “Il Locale”. Uno di quei nomi che può partorire solo un ritardato con troppa autostima. Insomma, io ero lì, l’Idiota era riverso su un tavolo, lo tenevo per la camicia pronto a colpirlo di nuovo. Gli usciva il sangue dal naso e dal labbro, lo avevo colpito per bene. Attorno non ricordo cosa stesse succedendo, avevo bevuto quella dozzina di bicchieri di troppo, i sensi erano ottusi e il campo visivo interamente occupato da dettagli come il blu elettrico della camicia o quelle basette, sopracciglia e ciuffo biondo forgiati in ore di duro lavoro da qualche parrucchiere per finocchi.
A voler essere sinceri, quei dettagli mi avevano urtato da subito, dal primo sguardo, da prima che allungasse la mano per presentarsi tanto tempo prima: “piaceVe Idiota”, con quella stretta caricata di chi spera di convincerti di saper pisciare più lontano di te e una erre moscia enfatizzata in modo grottesco. E probabilmente i suoi continui accenni all’orgoglio italico e al maschio italiano, i suoi modi di fare da furbetto che t’insegna a stare al mondo, agli accenni alle sue innumerevoli e millantate femmine, hanno solo aggravato col tempo una situazione resa poi più che critica dagli ultimi eventi.
Ma a pensarci bene mi aveva anche urtato il fatto che facesse sempre domande senza ascoltare le risposte e sì, anche l’avermi dato dell’imbecille, lo ammetto. Probabilmente con una camicia di un altro colore forse la serata sarebbe andata diversamente, per entrambi dico.
Insomma, è in quel momento, mentre decidevo se dargliene un altro, l’ultimo, così, come a mettere il punto esclamativo dopo le parole “SEI UN POVERO STRONZO”, che è accaduta l’epifania.
Dicono che eventi del genere accadano dopo che ti puntano una pistola in faccia, dopo che ti salvi la vita per miracolo, dopo che assisti ad un evento sovrannaturale, insomma, roba tipo Saulo che cade da cavallo andando in gita a Damasco; un flash che ti lascia boccheggiante a terra a riconsiderare tutta la tua vita passata, presente e futura. La mia, di epifania, mi colse ubriaco, mentre per la prima volta in vita mia picchiavo qualcuno, in un pub che avrebbe fatto schifo pure al demonio.
Il vero problema è che quest’epifania come arrivò fuggì via, immediatamente, in una frazione di battito di ciglia e immagino che ciò fosse dovuto alla mia condizione psicofisica. Mi era rimasta addosso solo una sensazione, come un lampo di consapevolezza, come quando sei alla penultima pagina di un giallo e intuisci come andranno a collocarsi tutti i dettagli che fino a quel punto ti erano sfuggiti.
La verità è che mi distrassi quando gli occhi mi caddero su una foto di Jimi Hendrix alla parete. Sia pace all’anima tua, buon vecchio Jimi, e che tu possa perdonare la mano sacrilega che in quel pub infame decise di metterti vicino ad un poster, per altro brutto, di Vasco. Da ubriaco mi capita di fare cose simili, non picchiare la gente, dico, ma fissarmi su dettagli inutili. Inutili almeno nel momento contingente. E comunque l'accoppiata Jimi-Vasco aveva scansato l’epifania dal centro dei pensieri, buttandola in un qualche sottoscala buio delle mie sinapsi a prendere la muffa.
A quel punto l’ultimo pugno non lo diedi. Non riuscivo a pensare contemporaneamente “cazzotto” e chiedermi quale girone infernale avrebbe potuto ospitare il colpevole di quella blasfemia fotografica. E quindi, come più o meno tutte le cose della mia vita, anche la prima rissa la lasciai a metà.
Sono fatto così, come uno di quei grandi artisti che possono permettersi di limitarsi a tracciare la via e fare due ghirigori mentre uno stuolo di sfigati ragazzi di bottega scalpita per fare il lavoro noioso e leccargli il culo. Io di ragazzi di bottega non ne ho mai avuti e la mia è essenzialmente una storia costellata di incompiuti che anelano al capolavoro.
Lasciai la presa sulla camicia, lasciai l’Idiota riverso sul tavolo, mi guardai attorno, più come gesto teatrale che altro perché la vista era annebbiata di brutto ed era pure buio e non avrei notato nemmeno un gigante vestito da puffo. Prima di andarmene dissi, sollevando un minacciosissimo indice in aria, “e non pensate che io mi sia divertito!”. Che lì per lì m’era sembrata proprio una cosa cazzuta da dire. Una di quelle frasi che la gente cerca di far sue per usarle alla prima occasione.
Brancolando verso la macchina, continuavo a ripetermi quella frase fra me e me, me la facevo passare sulla lingua e tra i denti, non lo nego, con un certo orgoglio. Diavolo, mi sentivo arguto, pungente e feroce, tipo Gunny, del tutto ignaro di quanto mi sarei ritrovato caricaturale l'indomani.
Raggiunsi la macchina, misi una mano in tasca per cercare le chiavi. Non le trovai. Provai un’altra tasca, poi una terza, una quarta e furono finite. Rifeci il giro, fallii e rinunciai. Non c’era altro da fare che chiedere l’aiuto da casa, così chiamai Nib.
Nib è un animale dagli orari instabili, imprigionato in un lavoro dove fa lo schiavo di tutti, e una vita che a tratti cerca di essere sregolata benché con risultati alterni. Nib è mio fratello ma, in quel frangente, il dettaglio più importante è che rispose al mio SOS.
L’ultima cosa che ricordo prima del buio è lui che mi fruga nelle tasche in cerca delle chiavi della macchina.
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La cosa dell'epifania che dura un infinitesimo di secondo mi succede da sempre. Odio.
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