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lunedì 6 febbraio 2017

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #37

Merlo

di Django Reinhardt e falene

E così seguì un periodo di cuore in fiamme e maschera di ghiaccio. Caterina cercava di riallacciare con l'Idiota e a farle da confidenti c'eravamo io e un paio di sue amiche a me sconosciute. Sembrava di essere tornati alle medie.

L'unico aspetto positivo della faccenda era che l'Idiota non sembrava volerne sapere, secondo lui le cose fra loro andavano benissimo. Però inizialmente provò a fare buon viso a cattivo gioco, e questo per me non fu un periodo particolarmente facile.

Far finta di nulla mi richiedeva grosse energie, e mantenere oggettività come confidente non era affatto semplice. Però riuscii ad invitarla sempre a riflettere, a chiedere a sé stessa le cose, a confrontare le mie risposte con quelle delle sue amiche: da maschio riuscivo a spiegarle in modo disincantato i gesti e gli atteggiamenti di lui meglio di come qualsiasi donna avrebbe potuto fare. Sarò sincero, mi sentivo una forchetta piantata nel fegato e la mia autostima subiva regolarmente dei tracolli mica da ridere.

Il problema vero è che tornando a casa dal lavoro, lei trovava lui, non me. Allungando la mano nel letto, trovava lui, non me. La gita in montagna era con lui che l'aveva fatta, non con me. E così la grigliata in spiaggia, il weekend a Parigi o quello dai parenti in campagna. La priorità di Caterina era, e giustamente, capire se con l'Idiota le cose potessero funzionare di nuovo, io venivo dopo, ero un'eventualità successiva nel caso si fossero lasciati, una possibilità. L'Idiota aveva il tempo dalla sua, maledetto. Ogni secondo che passavano insieme poteva essere quello decisivo per riaccendere la scintilla e ogni ora passata senza notizie di Caterina (e furono parecchie) era un'ora che avevano potuto passare avvinghiati avvolti dal fuoco della passione.

Fortunatamente l'Idiota, forse per far valere il suo nome, se la giocava malissimo.

Sapevo che la possibilità di scottarsi era elevatissima. Eppure come una falena continuavo a volare ripetutamente contro la lampadina incandescente, irrimediabilmente attratto dalla luce. E con poche distrazioni e valvole di sfogo. Persone con cui parlarne pochissime. Si contavano sulle dita di una mano di Django Reinhardt (esatto, QUELLA mano) e mi dicevano di desistere, che mi sarei fatto davvero male. Solo Nib mi lasciava il beneficio del dubbio.

“Ti rendi conto che stai facendo il merlo?”
“Me ne rendo conto”
“Tu che dici che quelle degli altri sono asessuate”
“Me ne rendo conto”
“Sai che ti farai un male bestia?”
“Me ne rendo conto”
“Secondo me no, non realizzi che mentre ti parlo lui le sta infilando una mano nelle mutande...”
“Me ne rendo conto”
“... e lei probabilmente...”
“ME NE RENDO CONTO!”
“Sai che hai rotto il cazzo con questa risposta?”
“E che altra risposta vorresti?”
“Che andassi lì e spaccassi la faccia a quel coglione, prendessi Caterina per i capelli e la trascinassi nella grotta”
“E poi se ne andrebbe perché avrebbe i dubbi che forse qui o forse lì”
“Ma cosa te ne frega?
 “Lo sai come sono, per me o tutto o niente”
“... fratelli minori...”
“È una vitaccia, eh!”
“A chi lo dici! Ma ne vale la pena? Cioè, pensi davvero che ne valga la pena?”
“Secondo me sì… poi sai forse cosa c’è? Noi perdenti abbiamo solo paura di vincere”
“Eh?!”
“Facciamo di tutto per perdere, cerchiamo gli ostacoli, se non ci sono li fabbrichiamo… è come se nella vittoria, nell’ottenere quello che vogliamo, trovassimo qualcosa di volgare, di squallido, di banale, rifugiandoci in quella spettacolare e pura catarsi che troviamo solo in una sonorissima sconfitta”
“…”
“Ma forse è così perché siamo talmente abituati a masticare merda che abbiamo paura che la cioccolata sia cattiva”
“…”
“Insomma, non so nemmeno più io perché mi comporto così. Se lo faccio per allontanare Caterina, per paura di ottenere quello che voglio. Se lo faccio per dimostrarmi di essere migliore di quello che sono. Se lo faccio solo per poter fare bella figura con lei… So solo che non saprei comportarmi altrimenti”
“Forse hai ragione tu... però non posso vederti così”
“Bisogno di occhiali?”
“Minchione. Piuttosto, dì a Caterina di chiedere al coglione del toro nelle mutande
“Cosa?”
“È una storiella edificante che mi ha riferito Sonya... secondo me ti farà guadagnare punti”
“Anticipami i dettagli, almeno”
“Prima ubriachiamoci! Che se mi fai di nuovo discorsi così seri vado a suicidarmi!”
Quella fu spesso l'arma di Nib, distrarmi e affogarmi nei paradisi alcolici. Ma è sempre un'arma difficile da maneggiare e, devo dire, noi non fummo particolarmente bravi né efficienti né, a dirla tutta, attenti.

Durante questo periodo con Caterina ci vedemmo abbastanza frequentemente, sempre in compagnia, spesso e volentieri al Locale. Fino alla sera fatidica. Quella dell'epifania.

CAPITOLO 38

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