Non ero troppo piccolo, avrò avuto 11-12 anni. Era settembre, tempo di vendemmia e proprio durante una bella giornata di raccolta delle uve si sono svolti i fatti che sto per narrarvi. Il luogo del misfatto è Monte Compatri, amena locali dei castelli romani, nello specifico la vigna del mio amico Gigante.
In realtà, la vigna era del papà di Gigante e ogni periodo di vendemmia era usanza, per diversi amici di famiglia, partecipare al rito agreste. Un bel pomeriggio all’aria aperta, cesoie, tanto sporco, una bella pasta aglio e olio e tante risate.
Ai bambini, categoria in cui eravamo fortunatamente ancora inseriti, non era richiesto molto, dare una mano se volevano ma, tendenzialmente, stare fuori dalle balle e creare meno problemi possibile. I bambini, normalmente, partecipavano alla vendemmia per i primi 30-60 minuti, poi, esaurita l’eccitazione per la novità, si dedicavano ad altro.
Quella volta eravamo solo in 4: Gigante, io e i due tedeschi. I tedeschi non erano davvero tali, non avevano nulla a che fare con la Germania, non erano nemmeno biondi, alti o con gli occhi azzurri. Erano soprannominati tedeschi per il loro fastidioso ordine. Sempre precisi, bravi, educati e sostanzialmente molto pallosi. Il fatto che la madre di Gigante e la mia non facessero che lodarli ce li rendeva ancora più invisi.
Comunque sia, ci troviamo in 4 ragazzini in mezzo a una vendemmia. Stufi ai di raccogliere grappoli sia di discorsi alti, come ad esempio la macroeconomia socialista del villaggio dei Puffi. Che facciamo allora? Giochiamo e il gioco va avanti, cresce, si nutre di sé stesso, finché i tedeschi, ispirati da qualcosa, non hanno un’idea geniale: “facciamo la guerra con l’uva!”.
A quel punto è tutto finito. Iniziamo a tirarci addosso prima gli acini, poi i grappoli interi, stufi di dover prendere la mira ci lanciamo in assalti suicidi, tutti contro tutti, con tuffi in trincea, salti e recuperi. Un divertimento senza fine. Un divertimento senza fine ed igienicamente esecrabile.
Al momento della chiamata all’appello per tornare alle nostre vite, ci presentiamo lerci come solo dei cani bagnati che corrono e si rotolano nella sabbia possono diventare o, se preferite, solo come dei bambini in campagna possono ridursi.
Sorvolo sugli insulti dei rispettivi genitori, sappiate che furono maggiorati per me e Gigante perché rei di aver condotto anche i tedeschi verso la perdizione. Abbiamo anche provato una linea difensiva, solida come solo la verità può esserlo dicendo “Ma è stata una loro idea!”. Siamo stati anche chiamati bugiardi. Ricordo un viaggio di ritorno immerso in un mostruoso silenzio, seduto immobile sul sedile posteriore di una Fiat 132 avvolto, per l’occasione, in fogli di giornale.
Diverso tempo e insulti dopo, sentii la mamma di Gigante raccontare alla mia “Lo sai che alla vendemmia, l’idea di quel gioco così l’avevano avuta sul serio i tedeschi? Rumenta e Gigante non c’entravano niente... chi l’avrebbe mai detto!”.
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