Qualche giorno fa mi ha telefonato Sotrniz, la furia orobica, fatto questo che riempirà di gioia molti di voi. Quella con Sotrniz è un’amicizia nata per sbaglio, in rete ma prima che questa esistesse, in quel periodo confuso e felice che sono stati gli anni ante-cronaca internettiani.
Ma questo c’entra poco. O meglio. C’entra tanto, ma poco con quello che vorrei riuscire a dire. Sempre che ci riesca perché oggi sono più in vena di distrazioni del solito.
Sarà che già soffro di una certa antipatia per il telefono, sarà che “orobicità” non fa rima con “espansività”, ma le telefonate con Sotrniz mi stanno scomode come un paio di mutande mie ma usate da qualche sconosciuto per una lunga passeggiata in montagna.
Il punto fondamentale qual è? Che l’amicizia con Sotrniz è nata per iscritto. Cresciuta per iscritto. Rafforzata dal vivo. Il telefono, per le nostre comunicazioni, non lo abbiamo praticamente mai usato, ricordo non più di 4 telefonate in quasi vent’anni. E quindi? E quindi parlarci al telefono è strano. Sotrniz, per me, è un’intelligenza (ahahahah) che si manifesta come testo scritto o come persona reale, a colori. Non come voce ultramondana.
La cornetta è castrante e, fra i surrogati della persona in carne ed ossa, è quello che davvero sopporto meno. E non so perché. Ma il punto vero è che il medium con cui conosci una persona vincola il modo di rapportarti con questa. Che non è una regola universale, ma di sicuro vale per me. E forse è per questo che il telefono mi è inviso. Io non ho conosciuto nessuno per telefono, né dovuto coltivare queste amicizia telefonicamente. il telefono non è mai stato un mezzo di comunicazione a me fondamentale. E’ un qualcosa che serve per brevi comunicazioni di servizio, tipo “sono in ritardo”, “cala la pasta”, “ricordati di fare questo”, “ci vediamo?”. Stop. Quindi la voce non mi basta come surrogato. Voglio il pacchetto completo o almeno la parte più cerebrale del soggetto, priva di ogni vincolo, remora e vergogna.
Al telefono con la Furia mi sento quasi in imbarazzo. E a questo si aggiungono problemi di linea, rumori bianchi, effetti larsen e altre porcate. Tutto concorre a rendere la conversazione difficoltosa e, soprattutto, la mantiene a un livello estremamente superficiale. Non a livello di “che tempo fa lì, qui piove, eh la primavera lo fa!” ma poco ci manca. E questo è triste. È come fermarsi davanti alla vetrina di un ristornate, affamati, guardare quelli che mangiano e non poter entrare. In effetti, a pensarci bene, mi capita con un sacco di gente. E mi capita anche quella cosa del ristorante.
E poi mi fanno orrore le pause, al telefono. Quei momenti di silenzio in cui non sai se c’è qualcuno che ti ascolta. Che sei da solo con tutto l’universo infilato in un orecchio e ti senti piccolo, misero e in balia degli elementi.
P.s. per Sotrniz. Che non ti venga in mente di non chiamare più!
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