Si, l’ho fatto davvero, sono stato a un concerto di Gino Paoli. Cornice fantastica, villa Adriana a Tivoli e pubblico meno imbalsamato di quanto pensassi.
Già, incredibile a dirsi, non ero il più giovane fra i presenti... si... ok diciamo che l’età media era verso i 50 e un dettaglio la dice lunga:
Verso il secondo brano si comincia a sentire un cicalino, sembra una suoneria di un cellulare. Dietro di me fanno finta di nulla, passano i minuti, la gente è sempre più nervosa. Si cerca con lo sguardo il criminale che non ha spento il telefono, poi il sussurro: “papà, è la sveglia per le pillole di nonna!”. E la nonna era talmente rapita da Gino da non sentire nient’altro.
Paoli è una mummia fatta e finita. Si presenta con maglietta e calzoni neri, panza, anelli da cafone arricchito e una giacca bianca fastidiosamente stropicciata. La voce è quella che ti aspetti da un ultrasettantenne e spesso parla invece di cantare che è quello che fa anche Vasco Rossi nonostante 20 anni di meno.
Poi ci sono le canzoni, le conosciamo tutti... e non fate finta di niente. I mega hit della canzone italiana non sono poi tanti... c’è Azzurro, c’è Volare e poi La Gatta, Sapore di Sale e Quattro Amici Al Bar e provate a negarlo. Fra l’altro Paoli introduce tutti i brani con un breve monologo che ne spiega l’ispirazione che ne sta dietro, cosa che ho trovato parecchio piacevole e, nonostante l’età, è andato avanti per 120 minuti senza accusare la fatica.
Nonostante il solito delirio dietro agli accrediti, ho fatto comunque una manciata di fotto (decisamente pessime, ma viste le condizioni è veramente grasso che cola).
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