Radio
di quaquaraqua e stronzi
Ci ritrovammo un paio di anni
dopo, in una pizzeria, a causa di uno stronzo.
Era novembre, lo ricordo con
chiarezza, mi squillò il telefono, era Nib che mi chiese “ti interesserebbe
collaborare con una radio?”. Lavoravo poco in quel periodo, momento sbagliato,
clienti sbagliati. Chiuso a chiave in un ufficio e con molto tempo libero,
quindi l’idea non mi parve affatto male.
Per una serie di eventi
tendenzialmente imprevedibili, Nib era entrato in contatto con un certo Quinto
Numerelli, sedicente guru del mondo musicale nonché creatore, mente e capo di
una nuovissima emittente radiofonica locale, già parzialmente lanciata sul
mercato e pronta al botto definitivo, dal nome di Station To Station. Il logo
era una specie di locomotiva che in qualche modo doveva richiamare alla mente
Crazy Train ma che in realtà faceva pensare a una versione svantaggiata del
trenino Thomas.
Quinto aveva bisogno di DJ che
sapessero il fatto loro in termini di rock di varie durezze, che preparassero
scalette per le varie trasmissioni, facessero interviste, si occupassero un po’
dei testi e quant’altro. Nib era stato assoldato immediatamente e fece il mio
nome come altro eventuale collaboratore.
Quinto fu molto soddisfatto del
materiale che gli proposi a mo’ di prova d’ingresso e organizzò una pizza
d’investitura (non badava a spese, lui) per far incontrare tutta la redazione.
Che si scoprì essere composta da tre persone, tutte già nominate in questo
capitolo.
Quinto ci promise carta bianca,
ci fece produrre un bel po’ di materiale, fra monografie, critiche, scalette
tematiche, eccetera. La radio nel frattempo non si concretizzava, Quinto, ad
ogni domanda diretta, rispondeva sempre: “Ci siamo, il mese prossimo iniziamo
le trasmissioni, tenetevi pronti e se avete preparato qualcos’altro
mandatemelo, che così aumentiamo i finanziamenti!”. Questo accadeva in un
febbraio. Dal settembre successivo Quinto sparì.
Non tutto il male viene per
nuocere. Infatti grazie a quell'anno speso dietro a Quinto, il rapporto fra me e
Nib, elaborato ormai il lutto, divenne finalmente solido. In fondo eravamo
cresciuti insieme, conoscevamo i reciproci interessi e sapevamo di avere troppo
in comune perché le cose potessero andare diversamente. In più c’era il
crescente livore verso Quinto a far da collante.
Nib, al tempo, stava con una
rompipalle da competizione, matta come un cavallo e con manie di persecuzione.
Arrivò a chiamarmi perché voleva sapere il nome delle “troie” (testuale) con
cui usciva lui quando diceva che si vedeva con me. Fatto curioso, quando mi
fece questa telefonata, ero in macchina proprio con Nib e non stavamo andando a
troie bensì, tanto per cambiare, a comprare dischi.
Le dissi innanzitutto che il
maschile di “troia”, per il vocabolario, è “porco”, in secondo luogo che non
ero interessato all'articolo e che quindi, anche alla luce dell'insulto
gratuito e della telefonata affatto gradita, se c’era una troia fastidiosa era
lei. Poi passai il telefono ad un allibito Nib.
Lei non aveva senso
dell’umorismo. Le stronze pazze rompipalle non hanno mai senso dell’umorismo,
se siete interessati a+ una lezione di vita. Litigarono per un bel po’. Nel
frattempo eravamo arrivati al negozio e io scesi dalla macchina che ancora
discutevano.
Comprare dischi era un rito che
andava consumato con modalità e tempistiche precise. Decisi quindi di lasciar
litigare Nib in pace, e mi dedicati alla nobile arte di spulciare fra le
copertine polverose. Quando uscii, con una bella sporta carica di dischi, loro
erano ancora lì a parlare. Aprii la porta della macchina dal lato del
passeggero. Strappai il telefono, che poi era il mio, dalle mani di Nib, lo
misi all’orecchio in tempo per sentire “tu quella merda di tuo fratello devi
smettere di vederla!”
“Viola, scusa, sono la merda…
a questo punto avresti rotto le palle e mi serve il telefono.”
“Vaffanculo”
“Se ho tempo, faccio un
tentativo, principessa. Ora ciao.”
Click.
Nib non entrò nel negozio di
dischi e non accettò nemmeno di dividere il mio malloppo. La storia con Viola
proseguì ancora per un dannatissimo lungo strascico, poi la piantò. Ma lei
impiegò decisamente un po' troppo tempo a capire che “non voglio più avere
niente a che fare con te” voleva dire proprio “non voglio più avere niente a
che fare con te”. Poi ebbe la decenza di scomparire.
Capitolo 7
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