Macchina
di saluti e abbracci
Presi le chiavi della macchina e uscimmo. La macchina non era parcheggiata troppo distante. Poi dici che non devi maledire il caso… come quando devi fare una cosa mentre sei al volante e dici “al primo rosso la faccio” ed è la volta che becchi un’onda verde come mai ne hai incontrate in vita tua. Quella sera, quella sera che ero in giro, di notte, con Caterina e che mi avrebbero fatto comodo due passi romantici, la macchina era lì, dietro l’angolo, a meno di 20 metri dal portone. Roba che normalmente non è a meno di 2 isolati. Ma quel pomeriggio Nib aveva trovato subito postovicinocasacheculo!
Salimmo in auto in silenzio. Accesi il motore. Accesi le luci. Misi un po’ di musica.
“Dove ti porto? La notte è ancora giovane!”
“Dai, domani devo lavorare… portami a casa, per favore”
“Va bene… da l’Idiota?”
“Eh già...”
Conoscevo la strada. Mi disse che si era trasferita da lui da pochissimo che era stato molto restio perché non si sentiva pronto alla convivenza. Che fossero fesserie non lo dissi. Non le dissi nemmeno che quella era la prova del fatto che lui, di lei, non fosse eccessivamente interessato. Commentai invece che ognuno era fatto a modo suo e aveva dei tempi per fare le cose. E lo dissi infilandomi mentalmente un cacciavite in un testicolo.
Come ad interrompere ogni successivo sviluppo del discorso esclamò “bellissima questa!” alzando di 6-7 tacche il volume della radio. Era “200 Days” di John Grumo. Ascoltammo musica per tutto il non breve tragitto e parlammo solo per commentare quello che usciva dalle casse.
Mi fermai in doppia fila davanti al portone di un palazzo che aveva un disperato bisogno di essere ristrutturato, in una zona studentesca fatta di edifici nelle medesime condizioni. Nemmeno un cane in strada. Nemmeno veicoli. Accesi le quattro frecce. Spensi il motore. Lei tolse la cintura.
“È stata una bella serata” dissi spingendo le mani contro lo sterzo per stiracchiare le braccia “spero si ripeta…”
Mi cadde addosso. Cioè, la prima impressione fu che mi fosse caduta addosso. Invece mi stava abbracciando, in quel modo goffo in cui si può abbracciare la gente seduta sui sedili anteriori di una macchina, specie se uno dei due non è pronto, è legato con la cintura di sicurezza e aveva ancora le mani sul volante.
Si strinse, con il viso tuffato nell’incavo della spalla e restò così. Non sapevo che fare e dopo i primi secondi di tentennamento l’abbracciai a mia volta. Un altro abbraccio goffo, ovviamente. Dopo alcune decine di secondi allentò la presa e mi baciò sulla guancia
“Grazie, è stato tutto bellissimo… e anche molto… molto intenso… no… sbagliato parola… insomma… tante sorprese e… devo pensare a un sacco di cose… grazie. Non mi divertivo tanto da molto” aprì la portiera e uscì, andò di corsa al portone, poi tornò indietro, riaprì la porta “Ringrazia anche Nib!”. Tornò al portone, impiegò un tempo impossibile a cercare le chiavi nella borsa, aprì e scomparve inghiottita dal palazzo malconcio.
Mi sentivo come se fossi arrivato primo alle olimpiadi e contemporaneamente solo come un cane
CAPITOLO 24
Mi sentivo come se fossi arrivato primo alle olimpiadi e contemporaneamente solo come un cane
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