Improvvisazione
di spalle, pelouche e ribaltoni
Usciti dalla sala da tè ci salutammo con naturalezza, come se non ci fossimo confidati nulla, come se il mondo fra le righe fosse inesistente.
Rimasi fermo guardandola andar via, mi sentivo come uno spaventapasseri in un campo abbandonato e in pieno inverno. Certo, avevo detto che poteva andar bene così, ma ovviamente mentivo e lei doveva averlo ben compreso.
Quindi la rincorsi.
“Ti va di cenare? Intendo insieme… tipo… da me, a casa? Poi ti riporto, eh!”
Feci del mio meglio per non farle capire che il reale invito era “vieni a casa mia a strapparci i vestiti di dosso?”. Fece un passo indietro, mi guardò, poi guardò l’ora sul telefono.
“Ehhh non lo so…”
“Se non vuoi non preoccuparti”
Indossai l'espressione da peluche abbandonato su uno scaffale di un supermercato.
“No, in realtà mi piacerebbe… è che avevo un impegno in realtà…”
La mia espressione da peluche abbandonato in balia di cani randagi bavosi, puzzolenti e incazzatissimi.
“...dovevamo andare al cinema…”
La mia espressione da peluche fatto a pezzi da molossi infernali.
“anzi… strano che non mi ha nemmeno mandato un messaggio…”
La mia espressione da peluche che guarda il molosso infernale contorcersi per un bottone andatogli di traverso.
“...’spe’...”
la vedo cercare un numero in rubrica. La vedo portare il telefono all’orecchio. La vedo girarsi dandomi il fianco. La vedo attendere e lanciarmi occhiate nervose.
“Amore! Ciao! Io? Sto tornando a casa… sì… fra una mezzora… sì… un attimo… sì, aspetta… volevo chiederti… sì sì veloce, veloce, due secondi… questa sera, poi?”
La vidi irrigidirsi e darmi le spalle. Facendo finta di farmi i cavoli miei con il lettore mp3 aguzzai le orecchie.
“Ah! Mi… non mi ricordavo… gli amici del poker… ma non avevamo la serata.... No? No… non avevo capito… Ermanno?!?… ah ok... no va bene... cioè mi dispiace... però... ok amore, divertiti. Ciao” Sospirò e portando l’indice sul tasto rosso mormorò con tono triste “anch’io, bacio”.
Si girò di scatto, feci finta di non vederla, ostentando concentrazione sul lettore che avevo in mano.
“Tutto risolto”
“scusa?” feci finta di essere tornato alla realtà ma avevo lo sguardo del peluche che si è trasformato nel Punitore e sgominato la banda di molossi narcotrafficanti a furia di mitragliate
“Sì, l’impegno è saltato”
“Beh, allora andiamo!”
Ci incamminammo verso la fermata dell’autobus dove ebbi un rapido scambio di messaggi con Nib:
Fatti trovare vestito
Gnocca?
VESTITI! PULISCI IL CESSO!
Gnocca! Bravo!
COGLIONE
Poi le dissi che ci sarebbe stato anche mio fratello a cena e lei si disse contenta e sembrò realmente sollevata dalla cosa, evidentemente passare una cena e un dopocena nelle mie grinfie non doveva metterla propriamente a suo agio.
Parlammo molto aspettando l’autobus, parlammo molto sull’autobus, Scendemmo con qualche fermata di anticipo per goderci la passeggiata e continuammo a parlare.
Parlammo di tutto quello che ci veniva in mente, con la naturalezza di quando stai bene con qualcuno senza più l’ansia di dire o fare la cosa giusta.
Passammo per un supermercato e poi arrivammo a casa. Trovammo la tavola apparecchiata, il gabinetto pulito, un aperitivo pronto e Nib vestito che salutò Caterina guardandomi con gli occhi sgranati con un punto interrogativo dentro.
La cena fu estremamente piacevole. Mangiammo, ridemmo, chiacchierammo, Nib raccontò aneddoti imbarazzanti sul sottoscritto e ad un certo punto arrivò quell’ora dove o ci si apparta raggiungendo il letto più vicino o si va a casa.
CAPITOLO 23
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Comincia tutto così
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