Zigulì
di nascondigli e nascondini
Passarono i giorni e le settimane
e forse anche un mesetto buono. In questo lasso di tempo i contatti con
Caterina erano sporadici, una telefonata, uno scambio di messaggi. In un tardo
pomeriggio andammo insieme al cinema. L'Idiota era, tanto per cambiare, a fare
altro.
Il giorno dopo mi svegliai bene,
di quel buon umore quasi ai limiti dell’euforico di quando ti svegli e vedi che
la vita va per il verso giusto e che i giorni non sono tutti un susseguirsi di
meccaniche ripetizioni delle stesse abitudini. Il risveglio di quello che è
sopravvissuto ad un frontale in auto senza nemmeno un graffio, di quello vivo
per miracolo.
Non era successo niente e
contemporaneamente era successo tutto, in un niente, giorno dopo giorno, ero
entrato nel mondo delle possibilità. Mi chiesi, come tutte le mattine, se era
il caso di importunare nuovamente Caterina. Decisi di fare il sostenuto per
tutta la giornata e fu un’autentica tortura.
Mi sentivo come quando da piccolo
rimediavo delle caramelle o dei dolcetti. Ne avevo fatto a meno per settimane,
mesi, senza che questo mi pesasse, ma appena ce li avevo fra le mani non
riuscivo a smettere di mangiarne fino a rimanere nuovamente senza.
Ricordo quando qualcuno mi comprò
un pacchetto di Zigulì. Ne mangiai immediatamente la metà, poi decisi di
centellinarle, di seguire il consiglio che mi davano tutti: “non mangiartele
tutte insieme, fattele durare”. Allora me le nascosi facendo quello che solo la
mente meravigliosa di un bambino può concepire. Le misi fra due libri, nella
libreria della cameretta che spartivo con Nib, e mi misi a giocare. Me ne
dimenticai volontariamente. Mi fregai da solo.
Le ritrovai solo mesi dopo, per
sbaglio, giocando con i libri. Ricordo la sorpresa, il gusto di trovare un dono
inaspettato, le mangiai. E solo dopo averle finite ricordai di averle nascoste
io e perché.
Nei primi momenti di approccio
con una ragazza sono ancora un bambino con un pacchetto di caramelle che cerca
di non bruciarsele subito tutte, che si sforza con sé stesso di distrarsi, di
pensare ad altro, di centellinare l'entusiasmo. Appena mi accorgo di essere nel
mondo delle possibilità smetto di trattenermi: telefono, messaggio, sono
presente. A pensarci bene solo con Marta è stato diverso. A posteriori è facile
trovare un senso alle cose.
Nascosi le mie Zigulì per tutto
il giorno fino a notte e il mattino dopo trovai due messaggi di Caterina
mi sa che ti sei già scordato
di me
seguito da
Dopodomani ho invitato un po’
di gente qui da noi, venite?
Il secondo lo aveva ricevuto pure
Nib che rispose affermativamente. Quel “qui da noi” non mi andò giù. Mi rese
indigesta la colazione e mi mandò di traverso la giornata. Non risposi ai
messaggi considerandomi un imbecille per aver creduto che qualcosa fosse
possibile.
Quando arrivammo a casa
dell’Idiota, ci aprì la porta Caterina, la vidi felice, dietro di lei l’Idiota.
Mi tornò in mente un momento poco edificante della mia storia.
Ero decisamente più giovane,
stavo con Luciana, studentessa fuori sede, tanto per cambiare, e un’estate
decise di invitarmi per ben un weekend nella sua casa al mare con l’ordine
tassativo che io non dovevo essere io, che non avrei dovuto dare l’idea che
stessimo insieme. Si trattava di una sorta di villino prefabbricato di due piani.
Lei era al piano terra, la zia al secondo. Ci sarebbero dovuti essere la cugina
Luisa che mi conosceva, l’altra cugina Arianna che non doveva sapere di me e
soprattutto il fratello Paolo che, se solo avesse sospettato, mi avrebbe
staccato la testa cacandomi nella trachea. In più poteva capitare qualche zia a
contorno, quindi mi sarei dovuto guardare le spalle.
Si prospettava un fine settimana
di tutto relax anche perché il fratello conosceva il mio vero nome, perché da
bravo romantico avevo passato le settimane estive precedenti scrivendo alla
pulzella romanticissime e imbarazzanti lettere manoscritte, insomma quelle cose
per cui uno potrebbe essere ricattato a vita, dove in pratica stai scrivendo
“sono cretino, sono un mentecatto, sono un coglione, sono un imbecille, sono
misero, sputatemi addosso” ma te ne rendi conto solo quando, un mese dopo, ci
ripensi.
Decisi quindi che sarei stato
Oronzo. Tutti d’accordo. Io mi pregustavo un po’ la scena, questo temibile
Paolo mi era stato descritto come uno stronzo del secolo scorso. Quelli che la
femmina deve stare zitta e chiusa nell’unico luogo che le compete, la cucina, a
pulire verdura, rammendare calzini bucati e fare caffè per poi andarsene solo
una volta sposata con qualcuno che avesse ottenuto il benestare del padre
padrone.
E quindi a un minchione di questo
calibro sei ben disposto a fare qualsiasi cosa.
Il terribile fratello invece era
una bravissima persona, avevamo anche delle cose in comune. E mi sentii
l’ultima delle merde schiacciata su un bollente marciapiede d’agosto a
prenderlo in giro. L’amore, è noto, porta a fare un sacco di cretinate, prima
fra tutti quella di fidarsi della gente sbagliata. Luciana era una persona
sbagliata, la più classica femmina con più complessi della vitamina B tutti sfogati
contro e sul prossimo.
E, insomma, noi siamo lì, io e
Paolo, che parliamo e facciamo gli spiritosi cambiandoci dopo il mare. Lui mi
chiede se conosco quello che fa il filo alla sorella, prima nego, poi mi fa il
nome e mi faccio prendere la mano. “Lo conosco” gli dico “è uno un po’
coglione” e giù d’insulti a me medesimo. Ride, Paolo. Rido anch’io. Ridono un
po’ tutti. “Ahahah mia sorella giusto un coglione poteva rimediare!
Ahahahahah!”. Io e Paolo ci diamo sonore pacche sulle spalle. Ormai è fatta, Oronzo
ha vinto la sua fiducia, ha fatto breccia. E ovviamente la tragedia è prima che
dietro l’angolo.
Mentre noi ridiamo, Laura saluta,
che se ne va, e mi saluta col mio nome, io faccio finta di niente, rido di
grosso. Paolo smette di ridere “Come t’ha chiamato?”, faccio lo gnorri. Laura
arriva di corsa, mi prende per mano e mi porta via.
Vengo nascosto nella casa della
zia (al piano di sopra). Dove vengo tenuto tutta la notte.
Mi si racconta che Paolo è
feroce, che gira attorno alla casa con coltelli, fucili e bombe a mano.
A me la cosa non interessava
particolarmente, volevo solo fare sesso con Luciana, onestamente. Ma non mi fu
permesso, perché lei aveva troppa paura e volle la cugina Arianna sempre con
noi.
Ricordo chiaramente che mi
sentivo come un camorrista traditore il giorno prima di essere nascosto dalla
polizia, quando capisce che il boss ha saputo del suo tradimento e ha chiesto
la sua testa su un vassoio d’argento.
Ovviamente erano tutte cazzate,
frutto della peculiare visione della realtà di Luciana, ma che interpretasse la realtà in quel modo tutto personale lo capii solo dopo
tanto tempo. Lì, quella sera, in quella stanza mi sentivo pure in colpa per aver preso per il culo il povero
fratello che aveva tutto il diritto ad essere incazzato.
Ecco. Guardando negli occhi
l’Idiota provai vergogna.
La stessa identica vergogna che
provai quando Paolo mi chiese “come t’ha chiamato?”.
Poi mi resi conto di com’era vestito, feci mente
locale e la cosa un po’ mi passò. Già, perché Paolo era una brava persona con
una sorella un po' cretina e l’Idiota era … beh era l’Idiota, senza attenuanti.
CAPITOLO 27
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