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lunedì 23 gennaio 2017

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #35

Telefonia

di incubi e vino

Onestamente non so quanti giorni dopo l'ultimo messaggio di Lucrezia successe. Mentre i giorni correvano in avanti i miei pensieri rimuginavano. Immobili. Poi chiamai Caterina: non rispose.

Sono questi i momenti in cui tutti noi diamo il peggio. È il drammatico teatrino degli alibi: dei non avrà sentito, avrà avuto la suoneria bassa, 16 squilli erano pochi, non si è accorta che sul telefono c'è scritto a caratteri cubitali “HAI PERSO UNA TELEFONATA!!!!”, le hanno rubato il cellulare, ha cambiato numero, ho chiamato il numero sbagliato, il telefono è impazzito e chi sa chi ho chiamato, il gestore telefonico fa lo spiritoso, stava facendo il bagno, il telefono squillava e vibrando è caduto nell'acqua prima che potesse leggere chi fosse a telefonare e via così.

Allora ti chiedi se sia il caso di riprovare, di mandare un messaggio, di insistere. O forse è meglio attendere che veda l'avviso di chiamata non risposta e richiami. Ma magari non ha credito, magari ha perso la rubrica e non riconosce il numero, magari dei campi magnetici hanno bruciato la memoria del suo telefono, magari è stata rapita dai Venusiani e via ancora per la tangente.

La realtà la conosciamo tutti. Semplicemente non vogliamo accettare il fatto di non essere il primo pensiero dell'altra persona. Abbiamo chiara l'immagine di lei che prende il telefono che squilla, vede il nome e lo posa, aspettando che passi. Semplicemente non vogliamo ammetterlo a noi stessi. Non ci piace. Non può essere così. Dev'esserci dell'altro.

Dopo circa 15 minuti di psicodramma decisi di non pensarci. Era andata così. Era andata male. Il destino aveva deciso. Quel Dio che non gioca a dadi aveva decretato la mia sconfitta. Andai in cucina, presi una bottiglia di vino, ne bevvi più di metà e andai a dormire. Erano le 6 di pomeriggio. Nib avrebbe fatto tardi.

Addormentarsi fu dura, le prime due ore tutte un girare e rigirare nel letto, in una sorta di stato semi cosciente in cui la mente non fa che generare mostri ansiogeni. Sembravo una fettina di carne che veniva panata pian piano. La panatura era fatta di autentici mostri: bollette scadute da pagare, addebiti della carta di credito, un dolore a un ginocchio, un alterco col capo. Nella mia mente tutto si mischiava portando a vedermi ormai senza più le gambe, in una casa occupata abusivamente e illuminata solo con poche candele rubate in chiesa. Nib che non torna perché magari ha fatto un incidente mortale e mi ritrovo solo al mondo. Cose così. E soprattutto un pensiero fisso: quello di Caterina con l'Idiota a mo’ di ciliegina avvelenata sulla torta.

La vita è infame a volte. Non parlo della mia, quella di Caterina era sicuramente peggiore. Io non condividevo la casa con un maschio che passava più tempo dall’estetista che a fare gare di rutti con gli amici, ad esempio. Io condividevo la casa con Nib, maschio alfa esclusivamente perché non esiste una lettera antecedente e per giunta totalmente inconsapevole del suo essere in cima alla catena alimentare. Quel signorino con le camicie da scimmia impazzita e il ciuffo biondo impomatato faceva a pugni con la mia estetica del macho nutrita a furia di Bud e Terence. E oltretutto era anche stimolante per l’intelletto come un tappetino da bagno. O forse pure meno.

E quella sera, complice il vino, presi consapevolezza del fatto che Idiota e Caterina fossero un binomio che insultava le cose belle del mondo, una prova dell’ineluttabile inesistenza di Dio e la dimostrazione che l’amore non è solo cieco ma pure stronzo e con la fissa di giocare al ribasso.

Spalancai gli occhi. Era buio. Avevo la faccia impastata di bava secca. Ma ero consapevole di diverse cose, la prima era che restare a letto avrebbe voluto dire solo una cosa: nuovi incubi nel dormiveglia, magari a base di Idiota. La seconda è che Caterina era davvero importante.

Andai in sala deciso a vedermi un film brutto e una mezz'ora dopo tornò Nib.

“Ancora in piedi?”
“In verità sono comodamente seduto sul divano”
“Vedo”
“Com’è andata? Sempre coi tuoi amichetti dell'università?”
“Come vuoi che sia andata... sono delle merde, vivono di merda, dicono stronzate inaccettabili e non mi diverto più a uscire con loro. La prossima volta mi do malato!”
“lo dici tutte le volte...”
“Vero, perché poi torno a casa e ti vedo al buio a fissare uno schermo spento e mi sembra di aver passato una gran serata con gente di un certo livello”
“Penso che andrò via da questa casa dove ormai nessuno mi ama più”
“Toh! Ho preso i cornetti”
“Allora un po’ di bene me lo vuoi ancora!”


Gli raccontai della mia presa di coscienza. Secondo lui Caterina me la sarei trovata miagolante alla porta di casa entro le 11 di mattina. Buon vecchio Nib, di cosa non si sarebbe convinto pur di tirarmi su il morale!

CAPITOLO 36

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