Telefonia
di
incubi e vino
Onestamente non so quanti giorni
dopo l'ultimo messaggio di Lucrezia successe. Mentre i giorni correvano in
avanti i miei pensieri rimuginavano. Immobili. Poi chiamai Caterina: non
rispose.
Sono questi i momenti in cui
tutti noi diamo il peggio. È il drammatico teatrino degli alibi: dei non avrà
sentito, avrà avuto la suoneria bassa, 16 squilli erano pochi, non si è accorta
che sul telefono c'è scritto a caratteri cubitali “HAI PERSO UNA
TELEFONATA!!!!”, le hanno rubato il cellulare, ha cambiato numero, ho chiamato
il numero sbagliato, il telefono è impazzito e chi sa chi ho chiamato, il
gestore telefonico fa lo spiritoso, stava facendo il bagno, il telefono
squillava e vibrando è caduto nell'acqua prima che potesse leggere chi fosse a
telefonare e via così.
Allora ti chiedi se sia il caso
di riprovare, di mandare un messaggio, di insistere. O forse è meglio attendere
che veda l'avviso di chiamata non risposta e richiami. Ma magari non ha
credito, magari ha perso la rubrica e non riconosce il numero, magari dei campi
magnetici hanno bruciato la memoria del suo telefono, magari è stata rapita dai
Venusiani e via ancora per la tangente.
La realtà la conosciamo tutti.
Semplicemente non vogliamo accettare il fatto di non essere il primo pensiero
dell'altra persona. Abbiamo chiara l'immagine di lei che prende il telefono che
squilla, vede il nome e lo posa, aspettando che passi. Semplicemente non
vogliamo ammetterlo a noi stessi. Non ci piace. Non può essere così.
Dev'esserci dell'altro.
Dopo circa 15 minuti di
psicodramma decisi di non pensarci. Era andata così. Era andata male. Il
destino aveva deciso. Quel Dio che non gioca a dadi aveva decretato la mia
sconfitta. Andai in cucina, presi una bottiglia di vino, ne bevvi più di metà e
andai a dormire. Erano le 6 di pomeriggio. Nib avrebbe fatto tardi.
Addormentarsi fu dura, le prime
due ore tutte un girare e rigirare nel letto, in una sorta di stato semi
cosciente in cui la mente non fa che generare mostri ansiogeni. Sembravo una
fettina di carne che veniva panata pian piano. La panatura era fatta di
autentici mostri: bollette scadute da pagare, addebiti della carta di credito,
un dolore a un ginocchio, un alterco col capo. Nella mia mente tutto si
mischiava portando a vedermi ormai senza più le gambe, in una casa occupata
abusivamente e illuminata solo con poche candele rubate in chiesa. Nib che non
torna perché magari ha fatto un incidente mortale e mi ritrovo solo al mondo.
Cose così. E soprattutto un pensiero fisso: quello di Caterina con l'Idiota a
mo’ di ciliegina avvelenata sulla torta.
La vita è infame a volte. Non
parlo della mia, quella di Caterina era sicuramente peggiore. Io non
condividevo la casa con un maschio che passava più tempo dall’estetista che a
fare gare di rutti con gli amici, ad esempio. Io condividevo la casa con Nib,
maschio alfa esclusivamente perché non esiste una lettera antecedente e per
giunta totalmente inconsapevole del suo essere in cima alla catena alimentare.
Quel signorino con le camicie da scimmia impazzita e il ciuffo biondo
impomatato faceva a pugni con la mia estetica del macho nutrita a furia di Bud
e Terence. E oltretutto era anche stimolante per l’intelletto come un tappetino
da bagno. O forse pure meno.
E quella sera, complice il vino,
presi consapevolezza del fatto che Idiota e Caterina fossero un binomio che
insultava le cose belle del mondo, una prova dell’ineluttabile inesistenza di
Dio e la dimostrazione che l’amore non è solo cieco ma pure stronzo e con la
fissa di giocare al ribasso.
Spalancai gli occhi. Era buio.
Avevo la faccia impastata di bava secca. Ma ero consapevole di diverse cose, la
prima era che restare a letto avrebbe voluto dire solo una cosa: nuovi incubi
nel dormiveglia, magari a base di Idiota. La seconda è che Caterina era davvero
importante.
Andai in sala deciso a vedermi un
film brutto e una mezz'ora dopo tornò Nib.
“Ancora in piedi?”
“In verità sono comodamente
seduto sul divano”
“Vedo”
“Com’è andata? Sempre coi tuoi
amichetti dell'università?”
“Come vuoi che sia andata... sono
delle merde, vivono di merda, dicono stronzate inaccettabili e non mi diverto
più a uscire con loro. La prossima volta mi do malato!”
“lo dici tutte le volte...”
“Vero, perché poi torno a casa e
ti vedo al buio a fissare uno schermo spento e mi sembra di aver passato una
gran serata con gente di un certo livello”
“Penso che andrò via da questa
casa dove ormai nessuno mi ama più”
“Toh! Ho preso i cornetti”
“Allora un po’ di bene me lo vuoi
ancora!”
Gli raccontai della mia presa di
coscienza. Secondo lui Caterina me la sarei trovata miagolante alla porta di
casa entro le 11 di mattina. Buon vecchio Nib, di cosa non si sarebbe convinto
pur di tirarmi su il morale!
CAPITOLO 36
CAPITOLO 36
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Comincia tutto così
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