Il Locale
di meschinità e sorprese
Dopo la sera della festa non
sentii Caterina per parecchio tempo. Ero offeso, arrabbiato e anche deluso
dalla sua mancanza di orgoglio. Poi non avrei saputo che dirle, in effetti
sentirla per parlare di quando fosse splendida Lucrezia o per lamentarmi di non
essere più libero di scorreggiare sul divano guardando film orribili non mi sembrava
una gran mossa. Tendenzialmente, stringendo, non sentivo più di avere qualcosa
da dirle.
D’altro canto, Lucrezia aveva la
rara capacità di farmi sentire il più grande (e unico) maschio del pianeta, mi
faceva sentire desiderato e al centro dell'attenzione, cosa che raramente m'era
successa. Mai così a lungo, oltretutto. Per esempio, faceva i salti mortali per
passare con me la pausa pranzo (pur lavorando quasi dalla parte opposta della
città), mi saltava addosso spesso e volentieri e quasi ogni giorno riusciva a
dedicarmi un pensiero particolare o una sorpresa inaspettata, che fosse una
cena fuori a sorpresa, un disco che non avevo mai ascoltato o che cercavo da
tanto tempo, un massaggio dopocena…
Fra le tante attenzioni che mi
dedicava, c'era quello di cucinare per me. Lucrezia era una gran cuoca, aveva
talento, fantasia, capacità d'improvvisazione e un'inesauribile scorta di
ricette al seguito. Davvero qualcosa di incredibile.
A ripensarci ora mi sento un po’
uno stronzo, perché ad un certo punto, sbottai.
Ricordo chiaramente, ero tornato
tardi, estremamente infastidito per una giornata di lavoro di quelle da
dimenticare. Quelle dove devi fare anche il lavoro di qualcun altro, in fretta,
perché “deve essere tutto pronto per ieri”, ma quello con cui avresti dovuto
lavorare è scomparso. Poi l’autobus pieno, minuti interminabili di tragitto
sotto un’ascella che non vedeva sapone da mesi, pioggia, l’ombrello che si
rompe e arrivi a casa zuppo, con un unico desiderio: metterti in tuta,
ciabatte, berti una cosa calda e impersonare l’idea platonica di fallimento sul
divano, davanti allo schermo.
Arrivato a casa trovai gente a
cena. Amici di Lucrezia e Sonya con cui si festeggiava una qualche ricorrenza del
cazzo di Sonya. La cena era pure un po’ fredda perché “scusa, abbiamo iniziato
perché altrimenti si freddava tutto e pensavamo arrivassi da un momento all’altro”.
Tutti sembravano star bene,
divertirsi, io avrei voluto estinguere la vita sulla terra a furia di meteoriti
e cataclismi. L’idea di non avere più un mio spazio mi rendeva sempre più
nervoso, sempre più insofferente. M’inventai quindi di avere del lavoro da
finire, mi scusai e mi chiusi in camera.
Trenta minuti dopo entrò Lucrezia
in camera, cercava una cosa, mi trovo sul letto, con una rivista di musica in
mano e le cuffie sulle orecchie. Non disse nulla. Ma nei giorni successivi
qualcosa iniziò pian piano a cambiare. Pur continuando ad essere sempre molto
presente a tratti riusciva a darmi la sensazione di essere il pensiero di
scorta dell'ultimo dei suoi pensieri: poteva scomparire per giornate intere,
senza dare alcun segno di vita, dando come spiegazione un semplice “ero
impegnata” o “dovevo riflettere” o “poi ti dico”. Poteva chiamarmi dicendo “io
sto andando su Marte, parto fra un'ora, vieni o no?” facendomi sentire come un
flacone di shampoo, che se ti porti il tuo va bene, ma se te lo scordi non è un
dramma, tanto c’è sempre quello dell’albergo...
Erano assenze diverse da quelle
di Marta: prima di tutto erano decisamente più sporadiche, benché più profonde
e poi perché Lucrezia non mi diede mai l'impressione di dedicarmi
esclusivamente i ritagli di tempo, semplicemente (lo capii solo parecchio dopo)
pensava così di darmi lo spazio che pensava mi servisse, almeno all’inizio.
Sto divagando. Non sentii Caterina
né ebbi sue notizie, per un bel po' di tempo. Lucrezia e Sonya ogni tanto ci
riportavano simpatici aneddoti lavorativi su l'Idiota ma nient'altro. Una sera
andammo nel famigerato pub chiamato “Il Locale” perché sapevamo ci sarebbero
stati degli amici. C'era anche Caterina. C'era anche l'Idiota. Non me ne curai
e venne fuori proprio una gradevole serata, evidentemente per tutti tranne che
per Loro. Caterina non era mai stata brava a recitare o a nascondere i suoi
sentimenti, la sua sorpresa e il suo disagio erano tangibili. Ma davvero
impagabile fu la reazione di sconvolta sorpresa de l'Idiota che, evidentemente,
era all'oscuro del fatto che io e Nib ce la spassassimo con le sue stagiste
preferite e la cosa sembrò dargli estremamente fastidio.
Gli sguardi di quei due furono il
motivo principale per cui restai tutta la sera avvinghiato a Lucrezia. Una
meschina, ridicola, piccola ma decisamente soddisfacente rivalsa. Ammetto che
col senno di poi non fu una cosa particolarmente elegante.
Una volta a casa, Nib disse:
“Sonya mi ha chiesto cos'avesse
Caterina contro di noi”
“Quindi non l'ho notato solo io?”
“Penso che anche i muri lo
abbiano notato”
“Cos'hai risposto?”
“Ho fatto finta di niente, le ho
detto che forse l'Idiota le aveva raccontato di lei e Lucrezia in ufficio e di
come facesse il viscido”
“Ah, fa il viscido?”
“Non ti ha detto niente Lucrezia?
È una roba assurda, per far di peggio non gli resta che tirare fuori l'uccello
in mensa, a quanto pare”
“Interessante, Lucrezia non m'ha
detto proprio nulla, ma non c'è stata nemmeno occasione”
“Ma come va?”
“Bene, direi, anche se non sono
particolarmente preso, non so perché, ho la sensazione sia un qualcosa a tempo
determinato e di prossima scadenza... e, onestamente, è difficile che perdiamo
tempo a parlare de l'Idiota...”
Mi guardò strano.
Quell'espressione tipica di Nib quando conosce la risposta alla sua domanda e
non corrisponde a quello che gli dico. Mi riportò coi piedi per terra:
“Caterina”
“Caterina cosa?”
“L'hai vista poco fa... come va
al riguardo?”
“Boh. Spero che lei abbia
rosicato però”
“Quindi non t'è passata...”
“Dici?”
“Dai retta a me, non è una cosa
che passa”
“Può darsi, in effetti
sull'incontro di questa sera ci sto rimuginando parecchio”
“Di sicuro anche lei”
“Con Sonya come va?”
“Va bene come tutte le cose non
serie. Io non sono preso, lei non è presa. Ci divertiamo quando ci vediamo ma
entrambi cerchiamo altro”
“E ti va bene?”
“Meglio che star soli, no?”
“No”
“Giuro che non ti capisco”
“Dico che è meglio star soli”
“Ma cos'hai che non va?”
“Un fratello con troppo
testosterone e stupido come un pezzo di fango”
CAPITOLO 33
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