Citazione

lunedì 6 febbraio 2012

Snow (Hey Ho!)

Nessuno avviso, tranne il meteo che faceva terrorismo, ma il sindaco no, il sindaco ha detto tenete aperte pure le scuole ma senza attività didattica, che è tipo, legalizzare l’autogestione. Ma ok. Qundi indovinate dov’era il vostro Rumenta alle 8.30 di venerdì mattina? In ufficio a salvare vite umane e difendere quel che rimane del vostro stile di vita.

Alle 11.30 inizia a nevicare, ma dagli organi ufficiale non si sente dire niente. Oserei parlare di “silenzio assordante” se questo ossimoro, oggi, solo a sentirlo, non mi provocasse crampi, sciolte ed esplosioni di erpes.

Di conseguenza, assieme a tutte le altre maestranze, alle 13.30 si è tentato di tornare a casa. Distanza 12 km, tempo previsto 15 minuti. In caso di traffico pesante 60. In caso di traffico smodatamente estremo 120 minuti.

La Salaria (per i forestieri, trattasi di importante arteria stradale che collega la capitale all’adriatico) è bloccata, auto che camminano un po’ più velocemente che a passo d’uomo, ok, succede anche sotto natale. Non si vedono avvisi, né cartelli, né schiavi con cartelli con scritto “ADDENZIONE BUANA! SDRADA GHIUSA SDRADA GHIUSA! PERIGULO!”.

E quindi il vostro scrivente non si preoccupa e va. In fondo, di Salaria, devo percorrerne poche centinaia di metri fino a raggiungere la tangenziale. Tutto regolare, si va piano, ma si va, si osservano le solite smart correre in modo demenziale sulle corsie di emergenza, dimostrando, ancora una volta, di essere le auto predilette per criminali o gente affetta da forti deficit intellettivi. Comunque si va, nonostante il SUV davanti a me che sbanda. Si va. Tanto, penso, fra poco si entra nel lungo tunnel dedicato al papa buono, lì niente neve, li si va alla grande. Vavavuma, e preso dall’entusiasmo penso anche bene di deridere uno che, sceso dalla macchina in sosta, si mette a pisciare lungo la tangenziale.

E vavavuma un cazzo. Il traffico nel tunnel peggiora, si va sempre più piano, sempre peggio. Ma si va. A fatica. Puzza di frizione diffusa. Qualcuno preferisce lasciare la macchina in corsia d’emergenza e farsela a piedi respirandosi la qualunque. Io resto al chiuso, al caldo, ascolto la radio e paziento.

Dopo circa 2 ore dalla partenza sono ancora lì, mi avvicino centimetro dopo centimetro all’uscita. A quel punto sarà tutto un enigma. Cosa ne è della strada dopo 120 ulteriori minuti di neve? Riuscirà la macchina a salire sulla rampa di uscita? Avranno buttato sale? E le altre due salitelle da fare per arrivare a casa? Come saranno messe? Quale percorso è meglio fare?

Ecco, vedo il cartello in alto che indica l’uscita, mi sposto a destra. Sento delle sirene. C’è un’ambulanza che deve passare. Improvvisamente sembra la vittoria ai mondiali di calcio, macchine che iniziano a strombazzare, insulti, bestemmie, veicoli che entrano l’uno nell’altro, in un’estremizzazione del tetris e del gioco del 15, ma l’ambulanza passa. Io sto dove sto, in fila. Noto però che la mia, di fila, scorre molto più lentamente della altre, anzi, non scorre più, riconduco il tutto all’effetto risucchio dell’ambulanza. Vedo però un tipo 3 macchine più avanti uscire dalla vettura e tornare dopo un minuto. Parla con la tipa 2 macchine più avanti. Che parla col tipo davanti a me. Lo chiamo, chiedo lumi: la rampa è inagibile, si parla di due macchine cappottate che ostruiscono tutto. Alcuni quindi stanno lasciando la macchina lì, in corsia d’emergenza, dietro a quello che è dietro a quello che è dietro a quello (e ormai avete capito) che ostruisce il passaggio.

Conscio del presagio di sventura penso velocemente al da fare. Scatta il piano B, mi sposto nella corsia di sinistra. Ci provo almeno, perché una minorata in Smart fa di tutto per impedirmelo. In fine ci riesco, notando con sconcerto che la minorata di cui sopra sta parcheggiando. In seconda fila. Nel tunnel della tangenziale. Riesco a mettermi nella corsia all’estrema sinistra. Intanto la gente sta parcheggiando, alla mia destra, in terza fila (!).
E capisco che per le altre uscite sarà lo stesso. Le opzioni sono tre:

1. uscire a piedi ora che sono vicino a una rampa e farmi 3 km a piedi.

2. uscire a piedi più tardi, probabilmente lontano da una rampa, beccarmi un cancro e farmi più di 3 km a piedi.

3. passare le prossime ore in macchina, avvicinandomi via via a casa, per poi dover proseguire a piedi a un certo punto, tipo alla prima salita fuori dal tunnel.

Decido in fretta. Opzione 1. C’è uno spazio a sinistra per lasciar la macchina, fuori dalla corsia. Parcheggio, non intralcio il traffico. Chiudo la macchina e proseguo a piedi.

Sembra una scena da film apocalittico americano. Macchine intrappolate in un sottopassaggio, gente nel panico, macchine ammucchiate a caso e un’orda di zombi affamati e arrapatissimi che incombe urlando e fuori la notte più nera che si sia mai vista. Ecco, togliete gli zombie e invece della notte mettete neve che cade copiosa.

Benedico l’intuizione mattutina di mettere gli anfibi. M’incammino, non prima di aver aiutato una tipa con una carrozzina impantanata nella neve.

Nota: sulla rampa non c’è alcun veicolo cappottato, ma macchine parcheggiate ovunque perché incapaci di percorrere la salita innevata.

Cammino di buon passo sulla neve fresca, lasciato il delirio alle spalle sembra l’alba del giorno dopo, nessuno in giro, solo neve, vento, strade deserte e veicoli abbandonati. Se nevicasse cenere sarebbe una scena di The Road (leggersi il libro o vedersi il film, prego). Mi rendo conto di aver fatto la scelta giusta, tutte le vie sono ostruite, nei punti topici, da veicoli in panne e da code più o meno lunghe di macchine.

Nessun poliziotto, nessuno spalaneve, neanche un granello di sale ma alberi che cadono (!) sotto il peso della neve. Flaccide e mollice piante terrone non avvezze a climi più virili si schiantano, assisto al dramma di uno a cui la panda è rimasta sotto un grosso pezzo di albero. L’inverno è arrivato e i pini marittimi si dimostrano inadeguati.

Arrivando nel quartiere la vita un po’ si anima, ragazzini in slitta per le discese, coatti che si tumulano di palle di neve, un rincoglionito in Smart impantanato, a tavoletta che schizza neve e fango per metri, senza che questo migliori la sua situazione, di rincoglionito, di pilota di smart, di impantanato, di oggetto delle maledizione delle macchine immobilizzate dietro di lui.

Arrivo in fine a casa, con i piedi asciutti (Sant’Anfibio sei sempre il migliore) e di buon umore. Talmente buono che riesco, vado a comprare delle salsicce per una ricca polentata con tutta la rumentosa schiatta.

Riuscirò a recuperare il veicolo alle 15 del giorno dopo, sfidando pure l’ordinanza del sindaco (che iddio maledica lui e la sua progenie per sette volte sette generazioni) e il suo obbligo a spostarsi con le catene (che non ho) o gli pneumatici da neve (che non ho). Tornando a piedi nel luogo del delitto, entrando a piedi, contromano, nel tunnel della tangenziale (ora meno indecentemente ingombro di veicoli) e tornando pian pianino per strade solo in teoria ripulite. A causa dei veicoli parcheggiati è stata rimossa la neve solo dai tracciati principali e solo per uno spazio più stretto di una sola corsia, a senso unico alternato.

Arrivo vivo. Trovo pure parcheggio a una distanza più che accettabile da casa.

Bell’avventura. Grazie sindaco Alemanno. Davvero. Grazie per non aver fatto spargere sale preventivamente, grazie per non aver mandato gli spazzaneve, grazie per non aver chiesto niente alla protezione civile se non tardivamente, grazie per non aver avverito, per non aver mandato in giro polizia e vigili a prestare soccorso, grazie per essere così immensamente inadeguato per il tuo ruolo.

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