Poeta
di biscotti e imbarazzo
La mattina mi svegliai di pessimo
umore.
Normalmente appena sveglio non
sono il massimo della civiltà. Appena sveglio non vorrei mai essermi svegliato.
Appena sveglio maledico il sole che girando ha fatto capolino. Appena sveglio
maledico il gallo, le sveglie, gli orologi. Appena sveglio odio tutti,
soprattutto chi cerca di farmi parlare, chi vuole interagire, chi cerca di
ricordarmi che fuori di me c’è un mondo.
Il bello di vivere con tuo
fratello è questo. Sei con uno che se non è identico a te almeno ti conosce
dalla nascita ed evita di romperti le scatole appena sveglio.
Quella mattina ero di umore
peggiore del solito.
Mi alzai dal letto, mi sistemai i
calzoni del pigiama, misi le ciabatte e andai in bagno. Una regola mia e di Nib
in casa è che se siamo io e lui, non si tira lo sciacquone se uno dei due sta
dormendo. In fondo è solo acqua sporca. Meglio un po’ di acqua sporca nel cesso
che essere svegliati prima del dovuto. Feci quello che dovevo fare, lasciando
tutto lì. Uscii dal bagno con calma, grattandomi i gioielli di famiglia. Non
fate finta di niente, è un gesto irresistibile per qualsiasi maschio, specie
appena alzati.
Strusciando le ciabatte, feci per
entrare in cucina. Sulla soglia, mi cadde addosso qualcosa di morbido e caldo
mentre alle mie orecchie arrivavano frequenze fuori posto. Avete presente? In
un contesto che conoscete bene non fate più attenzione ai rumori. Ad esempio,
nel traffico siete abituati a sentire i soliti rumori: motori, clacson,
sgommate. Non prestate particolare attenzione. Non li sentite più. Ma
immaginate di accendere il motore e sentire un muggito. Ecco. Quello lo
sentireste per bene, vi arriverebbe come una nota stonata.
Come mi succede quando sono
ancora assonato, avevo il cervello più lento del normale. Vedevo il mondo al
ralenti. E mentre le cose mi accadevano riuscivo a speculare, a farmi domande
e a rispondermi come se stessi guardando la vita di qualcun altro alla moviola.
Le frequenze fuori posto erano una voce femminile che diceva una cosa come “hey
maschiaccio” e la cosa morbida su cui ero impattato era un petto… o meglio… era
proprio un bel paio di tette che spuntava da una camicia aperta. Era una
camicia di Nib. La conoscevo. Gliel’avevo regalata io. Un po’ sopra le tette,
nascosta da cappelli biondi spettinati, c'era una bocca con un’espressione
sorpresa che si stava trasformando in un sorriso mascalzone.
Quel sorriso lo riconobbi: era
una delle conquiste serali di Nib. A parte la camicia, evidentemente troppo
grande, era nuda e con un pacco di biscotti in mano. Davvero un bello
spettacolo.
Non mi venne niente di meglio da
dire se non:
“Devo tirare l’acqua del cesso”
Mi girai, entrai in bagno, tirai l’acqua e
tornai indietro. Lei era sempre lì.
“Sei un poeta, quindi”
Ignorai la provocazione.
“E tu non hai freddo?”
Anche lei ignorò la mia. Provai a
toglierla dall’imbarazzo: le dissi che poteva tornare da mio fratello.
“E se restassi a farmi scaldare
da te? Mi sembri contento all'idea” lo disse ammiccando con aria maliziosa
verso gli evidenti sommovimenti che mi animavano il cavallo dei calzoni.
“Andiamo a mangiare quei biscotti
di là”
La presi per mano e la portai in
camera.
E sì. Mangiammo anche i biscotti.
E ci scaldammo nella maniera più antica, strofinandoci l’uno sull’altra come se
fossimo dei bastoncini per accendere il fuoco.
Fu una cosa decisamente
meccanica, almeno da parte mia. Meccanica e imbarazzata. Più imbarazzata che
meccanica.
Non sono uno da sesso
occasionale, senza un benché minimo coinvolgimento emotivo mi manca ogni
curiosità di scoperta. Con Lucrezia feci quello che dovevo, senza remore e
timidezza o particolare trasporto. Non mentirò dicendo che il suo fare
strafottente e malizioso non avesse fatto colpo e che lì per lì non fosse
divertente. Però poi divenne imbarazzante. A un certo punto mi ritrovai a
pensare al fatto che avesse passato la nottata con Nib. Ripensai alla notte con
Caterina e questo mi fece ricordare perché m’ero svegliato di cattivo umore. A
questo, per essere davvero onesti, andrebbe anche aggiunta quell'invidia che
provavo da sempre per Nib. Io trattato a merda, lui ubriaco che si fa riportare
a casa da una maiala che resta a rimboccargli le coperte.
Lei sembrò non accorgersi particolarmente
di tutto questo mio turbamento. Potrei dire che fu soddisfatta di quello che
trovò anche se non era proprio quello che cercava. Ma non lo dirò, so bene
quanto è facile far credere a un maschio di essere il più grande macho sulla
faccia della terra.
Mi disse che capita a tutti di
fare cilecca ma non con lei.
“Beh, vaffanculo, ora sì che va
meglio”
“Grazie anche a te!”
Poi si girò su un fianco e si
mise a dormire io mi rimisi i miei calzoni di pigiama, la mia maglietta e
tornai in cucina, col pacco di biscotti in mano, deciso a fare colazione.
In cucina trovai Nib e una mora.
Riconobbi anche lei: era sempre una di quelle della sera prima. Pensai per un
momento alla nottata intensa di mio fratello e mi sentii come uno sciacallo che
banchetta con gli avanzi di una preda uccisa da qualche fiera più grande.
Dall'imbarazzo nei loro occhi, mi resi anche conto di aver interrotto qualcosa.
Salutai, lasciai i biscotti sul tavolo e tornai in camera sbuffando.
Lucrezia ora era sotto le
coperte, rannicchiata. Appena mi sedetti sul letto si girò e mi cinse la vita.
“Con tuo fratello non ho fatto
niente… mi sono addormentata sul divano appena arrivati qui… poi gli ho rubato
una camicia e mi sono messa più comoda” disse d'un tratto con una voce da gatta
che fa la fusa e gli occhi chiusi “e mi sa che è andata bene così…ieri eri
proprio carino… anche se m’ignoravi…”
Ieri. Dedussi che in pigiama,
spettinato, di umore ritorto e con l’alito degno di un gatto morto causa
indigestione da topi e marci perdevo punti.
Che non avesse fatto nulla con
mio fratello mi migliorò l’umore, immediatamente, mentre mi mettevo più comodo,
mi dissi che Lucrezia non era quello che cercavo, che volevo Caterina e non una
ragazza di quel tipo, sebbene trovassi estremamente sexy ed intrigante, oltre
alla sua voce, il suo modo di muoversi, guardarmi e accoccolarsi attorno a me.
Non voglio descrivermi migliore
di quello che sono stato (o che sono), perché i pensieri sono più lunghi da
leggere e scrivere che a passar per la testa. Dall'esterno si sarebbe detto che
mi arresi subito e che non feci nulla per dissuadere Lucrezia. E in fondo è
così, i pensieri contano poco se non servono a darci la forza per opporci a
quello che sentiamo di non dover fare. I pensieri che m'invitavano alla cautela
sfumarono nel “io intanto me la godo, pareggiamo i conti... alla faccia di
Caterina e di Nib ubriaco che si fa riportare a casa da due maiale che restano
a rimboccargli le coperte!”
CAPITOLO 30
CAPITOLO 30
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