Amiche
di frappuccini, carriera e fughe di cervelli
Lucrezia e Sonya si erano
conosciute sui banchi di scuola della loro regione depressa. Poi si erano
trasferite nella Grande Città per studiare. Presa la laurea avevano tentato la
carta dell'estero. Un anno a Londra luogo dove, secondo la vulgata, il mondo si
sarebbe accorto di loro e le avrebbe accompagnate al meritato successo
professionale.
All’estero le stavano aspettando
con un tappeto rosso, pronti a dar loro quei riconoscimenti che in patria
venivano negati da quell’ottusità mista a invidia di cui accusiamo chi ci è più
vicino.
Come invece accade nel mondo
fuori dai blog e dai racconti degli amici degli amici, si erano trovate a
dividere un appartamento con della gente allucinante e raschiata via dalla
muffa delle rispettive nazioni d'origine. Dopo una lunga serie di vicissitudini,
i loro sogni professionali avevano trovato sbocco nel settore commerciale: una
faceva la commessa per una linea di vestiti per galline con scarsa autostima in
cerca di manzi in discoteca, l'altra serviva bevande per hipster privi del
senso del gusto in un noto pseudo bar in franchising.
Il fatto che non fossero nascoste
in una cucina ad abbrustolire carne avariata su una piastra o a lavare i piatti
era dovuto essenzialmente alla più meritocratica delle caratteristiche: erano
carine. Di conseguenza al contatto col pubblico avrebbero attirato (o almeno
non allontanato) clienti.
Tutto questo fu vissuto in modo
traumatico e doloroso, come solo l’atterraggio al duro suolo della realtà può
essere. Fortunatamente, erano sveglie abbastanza da capire che il gioco non
valeva la candela e nel giro di un paio d’anni, erano tornate entro i patri
confini dove, dopo aver frequentato un corso organizzato dall'Università,
vinsero uno stage presso la multinazionale che pagava i pasti a l'Idiota.
In quanto stagiste neo acquisite
avevano immediatamente catalizzato l'interesse del coglione che, alla prima
occasione utile, le aveva convinte a partecipare ad un party indimenticabile.
Prima che me ne scordi, un’altra
caratteristica sgradevole de l’Idiota era il suo assoluto e cieco entusiasmo
per tutto ciò che ruotava attorno a lui. Il bar dove prendeva il caffè era
bellissimo e il caffè il migliore della città, le sue feste erano sempre
incredibili e indimenticabili, i ristoranti che frequentava i migliori, così
come i vestiti che comprava, la gente che frequentava, la sua automobile,
persino il marciapiede dove camminava era, in qualche modo, più esclusivo degli
altri.
Tornando invece a Sonya e
Lucrezia, ormai abituate ad una lunga convivenza e a una vita di sogni
infranti, scelte coraggiose e condivisioni degli spazi, dividevano una stanza
doppia di un grosso appartamento seminterrato abitato da studentesse; ne
contammo almeno 5 diverse, cosa che intrigò non poco Nib.
C'è una cosa che può urtare
profondamente uno che si alza tutte le mattine per andare a tirare la carretta:
condividere gli spazi con degli studenti. Non è per disprezzo spicciolo, il
problema fondamentale sono i ritmi diversi di vita che, a meno che non si
tratti di studenti zombie, rendono la convivenza inconciliabile. E fu questo il
motivo per cui Lucrezia e Sonya iniziarono a passare parecchio tempo a casa da
noi.
Nib sembrava estremamente a suo
agio, io, per i primi tempi, non vivevo propriamente benissimo la cosa. Non
sapevo cosa volevo, non capivo cosa e soprattutto perché lo facessi. Mi
lasciavo portare dalla corrente.
Inoltre, il rapporto fra Lucrezia
e Sonya era strano. Erano molto amiche, sopravvissute a scelte difficili e a
esperienze importanti ma contemporaneamente erano in competizione. Cercavano
costantemente di primeggiare l'una sull'altra. Anche io e Nib rientravamo in
questa sorta assurda competizione.
Lucrezia era, in fondo, una
ragazza estremamente confusa, fragile e a tratti instabile nascosta sotto una
maschera da donna-smaliziata-che-non-deve-chiedere-mai. Ed era bellissima.
Davvero. Anche troppo, lo ammetto. Di quelle bellezze così estreme che viste
sulle copertine delle riviste hanno un senso ma se te le vedi vicino, in giro
per casa, ti viene il sospetto di essere di troppo.
Poi c’era un altro problema, a
conti fatti era una vera e propria convivenza. In quattro. Di cui due donne.
Con un bagno solo. E noi che eravamo poco più addomesticati di due animali da
cortile.
Se prima la vivevo male per
motivi miei, poi iniziai a soffrire i limiti ambientali. Non penso di essere
una brutta persona se penso che ognuno di noi ha diritto ai suoi spazi. Ritrovarmi
a non potere reclamare il mio angolo di solitudine per sfogarmi, riflettere o
semplicemente annoiarmi quando ne avevo bisogno divenne sempre di più un
problema.
CAPITOLO 32
CAPITOLO 32
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