Citazione

lunedì 14 novembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #25

Jon Grumo
di ipotesi e canzoni

A parole e con Nib ero bravo a fare il fenomeno. La storia del coccodrillo non so nemmeno da dove mi fosse venuta. Ero orgoglioso di me stesso. Ma erano solo idee, parole, proiezioni di qualcosa a cui non sapevo se fossi capace di tener fede.

Forse avevo semplicemente descritto quello che avrei voluto essere oppure stavo gettando le fondamenta di un bel castello di idee elevate dove ripararmi in modo che il fallimento non fosse colpa mia.

Invidiai Nib, lui sarebbe andato al punto. Entrambi non eravamo troppo portati per la strategia, lui però riusciva a mantenere un approccio diretto, senza strafare. Metteva semplicemente le cose in chiaro, del tipo “io sono io, voglio te e non accetto un no”. E funzionava. Non ricordo sia mai stato rifiutato. Mai. Eppure dopo un po’, spento il fuoco, finiva tutto, spesso male.

C’era una correlazione o lui, semplicemente, puntava sempre su quelle sbagliate, distratto magari da una quinta o da un bel paio di chiappe?

Non arrivai ad una risposta perché Caterina si fece largo nei miei pensieri. La immaginai tornare a casa, chiudere la porta piano, e al buio lasciare le chiavi in uno svuota tasche, togliersi il cappotto, appenderlo a un attaccapanni, togliersi le scarpe e andare al bagno cercando di non far rumore. La immaginai chiudere la tazza con un’espressione di fastidio. Sedersi, rannicchiandosi con le ginocchia al petto e restare lì, a riordinare i pensieri, magari riscorrendo i messaggi del pomeriggio sul cellulare.

Si sarebbe lasciata cullare dal ricordo o si sarebbe fatta sopraffare da un subdolo senso di colpa? Avrebbe pianto? Avrebbe sorriso? Non potevo saperlo. Di una sola cosa ero certo, comunque fosse andata, ad un certo punto, sarebbe andata in camera da letto, si sarebbe spogliata e infilata sotto le coperte. Di fianco all’Idiota. L’ultimo pensiero mi fece male. Capii però che non dovevo “distogliere i pensieri”, dovevo accettare la situazione se volevo mantenere un equilibrio fino alla fine, qualunque essa fosse. Dovevo accettare che lei sarebbe tornata da lui ogni sera, che si sarebbe svegliata al suo fianco, che lo avrebbe carezzato, che si sarebbero baciati, che magari avrebbero fatto l’amore. Magri solo sporadicamente, controvoglia, senza alcuna soddisfazione reciproca magari a causa di alcune precocità estreme di lui...

Ma quale sarebbe stato il mio ruolo? Io sarei stato un tarlo? Un’idea fissa? Una speranza? Un senso di colpa? Una crepa destinata a far crollare il muro o ad essere imbrigliata dallo stucco?

Le mandai un messaggio. “Buonanotte” scrissi. Alla faccia del coccodrillo che aspetta il momento propizio per scattare. Nemmeno il tempo di sentirmi un cretino, ed ecco la risposta:

vorrei essere ancora in macchina con jon grumo che canta per noi

Non riuscii a trattenermi dal rispondere “as no good reason remains, I'll do the same...”, una strofa della canzone a cui faceva riferimento. Sapevo che non dovevo continuare, che era meglio interrompere lì lo scambio di messaggi. Ma era come averla di nuovo vicino a me e lontana dal letto dell’Idiota. Sapevo di tirare un filo sottile, sapevo che se si fosse rotto non avrei più potuto ripararlo. Ma ormai il danno era fatto. Decisi di non rispondere altro. Sperai che anche lei condividesse il mio stato d’animo. Rispose con un’altra strofa della canzone “...One day a ship comes in. Buonanotte”. Scelta a caso? Fortissimamente voluta? Curioso che fra la strofa scelta da me e quella scelta da lei ci fosse in mezzo un “thinking of you”.

Sì, lo ammetto, ero in disgustoso tunnel da pattume romantico e non facevo altro che supposizioni. Inutili supposizioni. Una cosa sola era certa: era sveglia, col cellulare in mano e il mio messaggio non l’aveva in alcun modo presa in contropiede, quindi era ancora lontana dall’Idiota.

L’idea mi rasserenò e mi permise di guardare al domani con ottimismo. E godermi il sonno dei giusti.

CAPITOLO 26

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lunedì 7 novembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #24

Confronto
di orgoglio e coccodrilli

“Sveltina in macchina?”
“Cosa?”
“Sveltina in macchina. Sai, calzoni mezzi calati, le chiappe in mostra dal vetro davanti, lei che si lamenta perché ha un poggiatesta in una costola ma tu prendi il tutto come un inno alla tua maschia potenza…”
“Definizione di un cruciverba?”
“No, farina del mio sacco e non stai rispondendo”
“No”
“Cioè? Non è farina del mio sacco? Ti ho picchiato per molto meno”
“Non mi hai mai picchiato”
“Forse una volta. Ma non stai rispondendo”
“No”
“Non vuoi rispondere?”
“Niente sveltina”
“Cioè? Tu in 48 minuti sei uscito, sei arrivato oltre le colonne d’Ercole, ti sei fatto una comoda scopata come Dio comanda, sei tornato indietro e hai pure parcheggiato? Lo sai che sotto i 10 secondi può essere un problema?”
“Secondo me tu sei stato adottato”
“Me lo diceva anche mamma!”
“Ho trovato posto subito e non c’era traffico. E non abbiamo fatto niente”
“Giochi di mano?”
“Giochi da villano”
“Coglione”
“Ehehehe! No, niente di niente”
“Limonato prepotente?”
“No”
“Lingua in bocca e mano su una tetta?”
“No”
“Sei una delusione”
“Me lo diceva anche papà”
“Devi darmi delle spiegazioni”
“Ti fidi di me?”
“No”
“A posto”
“Dai, cazzo, cosa è successo? Che ci faceva Caterina a casa nostra? Che ci faceva Caterina con te? E dov’è l’Idiota?”
“Andiamo per gradi. Sai come la penso su di lei”
“Appunto”
“È incasinata. Sta con l’uomo merda e fa finta di non saperlo. Sai, quelle questioni di orgoglio, tipo il Senegalese con cui parlammo quest’estate”
“Quello che all’umiliazione di tornare a casa preferiva vivere da mendicante qui scrivendo lettere ai genitori in cui millantava una posizione sociale invidiabile?”
“Esatto”
“Quindi è solo una questione di orgoglio personale?”
“Più o meno, sarebbe ammettere col mondo di aver sbagliato”
“Vabbè, dai, non ci sta col cervello”
“Sbagliamo tutti, eh!”
“No, cazzo, io posso sbagliarmi e mettere poco sale nella pasta, non a condividere il letto con l’Idiota…”
“Devo ricordarti Viola?”
“...colpito e affondato”
“Ecco. Quanto c’hai messo a lasciarla?”
“Beh, un pochino”
“Nib!”
“Forse un po' di più...”
“Comunque troppo. E mi pare che lei sia in una situazione simile. Sta con un imbecille, ma in fondo ha delle qualità, potrebbe lasciarlo, ma lui ci starebbe male e poi perché lasciarlo o per chi? Magari non andrebbe bene lo stesso e bla bla bla”
“Mi sa che la fai troppo complicata. Secondo me il punto è che non sai mai se è colpa tua o colpa sua”
“Dici?”
“Sì. Per quanto ce la raccontiamo, nessuno ha la coscienza pulita alla fine. Sensi di colpa, mancanze, rimorsi, rimpianti. Cose fatte male. Cose che si potevano fare meglio… sai, questa roba qui”
“Ti preferivo quando facevi l’imbecille”
“Dai, ogni tanto fammi fare il fratello maggiore. Anche se non ho ancora capito cos’hai intenzione di fare”
“Io ancora niente”
“Bella strategia!”
“Faccio il coccodrillo”
“Piangi?”
“no, resto fermo”
“Utile”
“Sto fermo. A bocca aperta. Faccio finta di vedere il mondo che passa senza curarmene aspettando il momento in cui il destino mi confonderà con lo sfondo, si dimenticherà di me, mi sottovaluterà e mi darà le spalle”
“E poi?”
“A quel punto scatto e mordo quello che trovo. Poi succeda quel che deve succedere”
“Non ti capisco, io le chiederei di scegliere”
“Io no”
“Capisco perché di donne in quella stanza ne passino poche”
“Non credere che non lo vorrei. Ma alla fine cosa otterrei? Dico, anche se venisse con me, non potrebbe restare coi dubbi? Mi piacerebbe altro. Mi piacerebbe che la scelta se la meditasse per bene. Non la voglio influenzare. Non penso che Caterina si meriti il pressing, la pressione, l’obbligo di scelta al buio”
“mi pare una cazzata”
“mettila così, una che cambia uomo dall'oggi al domani, dietro richiesta, ti ispirerebbe fiducia?”
“Intanto me la darebbe!”
“Dai, imbecille! Dico sul serio”
“Beh, che ne so, fai domande complicate”
“Domande complicate per gente complicata. Caterina è complicata”
“Bah! In fondo la conosci più te di me. Non ti capisco, ma mi adeguo. Ma nella pratica?”
“Nella pratica esattamente come prima”.

CAPITOLO 25

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lunedì 31 ottobre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #23

Macchina
di saluti e abbracci

Presi le chiavi della macchina e uscimmo. La macchina non era parcheggiata troppo distante. Poi dici che non devi maledire il caso… come quando devi fare una cosa mentre sei al volante e dici “al primo rosso la faccio” ed è la volta che becchi un’onda verde come mai ne hai incontrate in vita tua. Quella sera, quella sera che ero in giro, di notte, con Caterina e che mi avrebbero fatto comodo due passi romantici, la macchina era lì, dietro l’angolo, a meno di 20 metri dal portone. Roba che normalmente non è a meno di 2 isolati. Ma quel pomeriggio Nib aveva trovato subito postovicinocasacheculo!

Salimmo in auto in silenzio. Accesi il motore. Accesi le luci. Misi un po’ di musica.
“Dove ti porto? La notte è ancora giovane!”
“Dai, domani devo lavorare… portami a casa, per favore”
“Va bene… da l’Idiota?”
“Eh già...”

Conoscevo la strada. Mi disse che si era trasferita da lui da pochissimo che era stato molto restio perché non si sentiva pronto alla convivenza. Che fossero fesserie non lo dissi. Non le dissi nemmeno che quella era la prova del fatto che lui, di lei, non fosse eccessivamente interessato. Commentai invece che ognuno era fatto a modo suo e aveva dei tempi per fare le cose. E lo dissi infilandomi mentalmente un cacciavite in un testicolo.

Come ad interrompere ogni successivo sviluppo del discorso esclamò “bellissima questa!” alzando di 6-7 tacche il volume della radio. Era “200 Days” di John Grumo. Ascoltammo musica per tutto il non breve tragitto e parlammo solo per commentare quello che usciva dalle casse.

Mi fermai in doppia fila davanti al portone di un palazzo che aveva un disperato bisogno di essere ristrutturato, in una zona studentesca fatta di edifici nelle medesime condizioni. Nemmeno un cane in strada. Nemmeno veicoli. Accesi le quattro frecce. Spensi il motore. Lei tolse la cintura.

“È stata una bella serata” dissi spingendo le mani contro lo sterzo per stiracchiare le braccia “spero si ripeta…”

Mi cadde addosso. Cioè, la prima impressione fu che mi fosse caduta addosso. Invece mi stava abbracciando, in quel modo goffo in cui si può abbracciare la gente seduta sui sedili anteriori di una macchina, specie se uno dei due non è pronto, è legato con la cintura di sicurezza e aveva ancora le mani sul volante.

Si strinse, con il viso tuffato nell’incavo della spalla e restò così. Non sapevo che fare e dopo i primi secondi di tentennamento l’abbracciai a mia volta. Un altro abbraccio goffo, ovviamente. Dopo alcune decine di secondi allentò la presa e mi baciò sulla guancia

“Grazie, è stato tutto bellissimo… e anche molto… molto intenso… no… sbagliato parola… insomma… tante sorprese e… devo pensare a un sacco di cose… grazie. Non mi divertivo tanto da molto” aprì la portiera e uscì, andò di corsa al portone, poi tornò indietro, riaprì la porta “Ringrazia anche Nib!”. Tornò al portone, impiegò un tempo impossibile a cercare le chiavi nella borsa, aprì e scomparve inghiottita dal palazzo malconcio.

Mi sentivo come se fossi arrivato primo alle olimpiadi e contemporaneamente solo come un cane

CAPITOLO 24

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lunedì 24 ottobre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #22

Improvvisazione
di spalle, pelouche e ribaltoni

Usciti dalla sala da tè ci salutammo con naturalezza, come se non ci fossimo confidati nulla, come se il mondo fra le righe fosse inesistente.
Rimasi fermo guardandola andar via, mi sentivo come uno spaventapasseri in un campo abbandonato e in pieno inverno. Certo, avevo detto che poteva andar bene così, ma ovviamente mentivo e lei doveva averlo ben compreso.

Quindi la rincorsi.
“Ti va di cenare? Intendo insieme… tipo… da me, a casa? Poi ti riporto, eh!”

Feci del mio meglio per non farle capire che il reale invito era “vieni a casa mia a strapparci i vestiti di dosso?”. Fece un passo indietro, mi guardò, poi guardò l’ora sul telefono.
“Ehhh non lo so…”
“Se non vuoi non preoccuparti”
Indossai l'espressione da peluche abbandonato su uno scaffale di un supermercato.
“No, in realtà mi piacerebbe… è che avevo un impegno in realtà…”
La mia espressione da peluche abbandonato in balia di cani randagi bavosi, puzzolenti e incazzatissimi.
“...dovevamo andare al cinema…”
La mia espressione da peluche fatto a pezzi da molossi infernali.
“anzi… strano che non mi ha nemmeno mandato un messaggio…”
La mia espressione da peluche che guarda il molosso infernale contorcersi per un bottone andatogli di traverso.
“...’spe’...”
la vedo cercare un numero in rubrica. La vedo portare il telefono all’orecchio. La vedo girarsi dandomi il fianco. La vedo attendere e lanciarmi occhiate nervose.

“Amore! Ciao! Io? Sto tornando a casa… sì… fra una mezzora… sì… un attimo… sì, aspetta… volevo chiederti… sì sì veloce, veloce, due secondi… questa sera, poi?”
La vidi irrigidirsi e darmi le spalle. Facendo finta di farmi i cavoli miei con il lettore mp3 aguzzai le orecchie.
“Ah! Mi… non mi ricordavo… gli amici del poker… ma non avevamo la serata.... No? No… non avevo capito… Ermanno?!?… ah ok... no va bene... cioè mi dispiace... però... ok amore, divertiti. Ciao” Sospirò e portando l’indice sul tasto rosso mormorò con tono triste “anch’io, bacio”.

Si girò di scatto, feci finta di non vederla, ostentando concentrazione sul lettore che avevo in mano.
“Tutto risolto”
“scusa?” feci finta di essere tornato alla realtà ma avevo lo sguardo del peluche che si è trasformato nel Punitore e sgominato la banda di molossi narcotrafficanti a furia di mitragliate
“Sì, l’impegno è saltato”
“Beh, allora andiamo!”

Ci incamminammo verso la fermata dell’autobus dove ebbi un rapido scambio di messaggi con Nib:

Fatti trovare vestito
Gnocca?
VESTITI! PULISCI IL CESSO!
Gnocca! Bravo!
COGLIONE

Poi le dissi che ci sarebbe stato anche mio fratello a cena e lei si disse contenta e sembrò realmente sollevata dalla cosa, evidentemente passare una cena e un dopocena nelle mie grinfie non doveva metterla propriamente a suo agio.

Parlammo molto aspettando l’autobus, parlammo molto sull’autobus, Scendemmo con qualche fermata di anticipo per goderci la passeggiata e continuammo a parlare.
Parlammo di tutto quello che ci veniva in mente, con la naturalezza di quando stai bene con qualcuno senza più l’ansia di dire o fare la cosa giusta.

Passammo per un supermercato e poi arrivammo a casa. Trovammo la tavola apparecchiata, il gabinetto pulito, un aperitivo pronto e Nib vestito che salutò Caterina guardandomi con gli occhi sgranati con un punto interrogativo dentro.

La cena fu estremamente piacevole. Mangiammo, ridemmo, chiacchierammo, Nib raccontò aneddoti imbarazzanti sul sottoscritto e ad un certo punto arrivò quell’ora dove o ci si apparta raggiungendo il letto più vicino o si va a casa.

Mi chiese di riaccompagnarla a casa.

CAPITOLO 23

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lunedì 17 ottobre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #21

Surreale
di specchi e sottintesi

“Mi piace quando sei vicino, mi piaceva essere in tua compagnia… “
“Sì, ma tu stai con l’Idiota!”
“Lui è il mio ragazzo… gli voglio bene… sono innamorata… però poi ci sono delle persone … degli amici… con cui sto bene… che sono più di amici, insomma… e tu sei un amico di questi… anzi… forse lo sei ancora più degli altri… sono una frana…”
“Ma se non ci fosse l’idiota tu vorresti stare con uno di questi amici-più-di-amici?”
“Sì… No… non lo so… forse… non ci ho mai pensato in questi termini… ma penso di… boh”
“Senti, sarò chiaro, non capisco come tu possa stare con un imbecille come quello”
“Ma con me è diverso… tu vedi solo una maschera… lui non è così…”
"Questa risparmiatela per raccontarla allo specchio"
"A chi?"
"Allo specchio, quando ti guardi in faccia la sera e lavandoti i denti ti chiedi perché continui a stare con un mentecatto e la te riflessa sputando la schiuma risponde che è per abitudine e pigrizia"
"..."
Forse avevo esagerato.
"Io lo AMO!" sì, avevo esagerato e si stava arrabbiando.
"No. Tu ami l'idea di esserne ancora innamorata, perché forse all'inizio lo sei stata davvero, con tanto di farfalle nella pancia, forse eri in un momento di debolezza o bassa autostima o avevi semplicemente conosciuto gente ancora peggiore di lui. Ma ora non è possibile, non saresti qui".

Non è vero, questo non lo dissi, lo pensai, oh se lo pensai. Ma dirlo?
Troppo rischioso, sarebbe stato un suicidio fatto e finito, mi avrebbe dato dello stronzo, lanciato la tazza (piena) addosso e sarebbe uscita per sempre dalla mia vita. Indossai quindi la migliore delle mie facce da culo e più falso di un Giuda con una banconota da 3 euro in mano risposi:

"Ok, scusami... sono stato ingiusto"

Lei restò un po' in silenzio guardando nella tazza, con una tale intensità che mi venne il sospetto ci stesse leggendo il futuro.

"Mi sa che ho fatto male a volerti incontrare... mi ero fatta un film... che finiva con me in lacrime a commiserarmi per la mia pochezza. E non è andata come pensavo. Io pensavo che non mi calcolavi... e che eri pieno di donne... e... e.... sono confusa. È un po' che lo sono ma tu non hai diritto a dirmi certe cose."
"Hai ragione, scusami ancora. È che nessuno merita di essere trattato in quel modo".

Sentirmi dire una cosa del genere mi fece sentire in colpa. Mi stavo scusando per la verità, stavo dicendo il contrario di quello che avrei voluto. Ma avrei dovuto? Il suo mondo stava per cadere a pezzi, la crepa era evidente, accelerare l'inevitabile non sarebbe servito a niente se non a farla stare peggio. Mi venne in mente la polemica che avevo fatto a mio fratello per la storia del meritare e mi venne da ridere. Risposi allo sguardo interrogativo di Caterina raccontandole tutto.

"Sono d'accordo. Anche secondo me Marta non ti meritava"
Mi stava provocando? Non aveva capito niente? Sottintendeva altro?
"E chi mi meriterebbe?"
"Qualcuna che non ti mortifica ignorandoti e che ti sopporta quando fai lo stronzo"
"Avvertimi se la trovi. Tornando a noi, come la risolviamo?"
"In che senso?"
"Nel senso che immaginare di rivederti in veste di tuo amichetto preferito sapendo che sei innamorata di uno che considero migliore della merda solo perché si pettina mi mette a disagio, soprattutto se è nei paraggi"
"Saaaaaai! Poverino. E comunque mica ha detto nessuno che dobbiamo vederci sempre sempre quando c'è lui, no? Possiamo anche vederci noi. Lui lo sa che mi sei molto simpatico, mica è uno geloso e poi non dobbiamo fare nulla di male."
"Quindi è risolta così?"
"Se a te va bene..."
"A me può andar bene."

CAPITOLO 22

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lunedì 10 ottobre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #20

Silenzi
di zen, biscotti e pause

La portai in una sala da tè.
Il termine “sala” non rende l’idea, era un posto simile a un pub elegante, dove invece di birra servivano tè da abbinare con biscotti strani. Tutto molto zen, rilassato, silenzioso, sotto l’insegna “il profumo dell’acqua”.

Mi resi conto che avevo avuto un gran culo, era il locale perfetto e mi era venuto in mente per caso, cercando di richiamare alla memoria dei posti in zona. Entrammo, Caterina si sedette ad un tavolo riparato, la cameriera ci portò i menù con centinaia di tipi diversi di tè e dolcetti da abbinare.

Dopo aver sfogliato le pagine ruppi il silenzio:

“Sono nel più profondo delirio decisionale”
“Anch’io… non ci capisco niente… però questo sembra buono…”
“Quello alla frutta? Sì forse, hai ragione… scegliamone due diversi però…”
“Allora io prendo questo e tu questo qui!” mi disse indicando sul menù.

Mi adeguai, ordinammo e restammo in silenzio, guardandoci attorno. Finché non arrivarono i nostri tè. Sul vassoio c’erano due piccole teiere in ghisa, piene di acqua bollente e con le foglie in infusione e due mug diverse fra loro sia di forma che di colore.

“Forse ora il giaccone puoi toglierlo…” le dissi.
“Eh??! Oddio!! Non mi ero resa conto di essere ancora tutta infagottata, stavo così bene al calduccio! Però mi sa che hai ragione…” iniziò a spogliarsi ridacchiando. Nel frattempo arrivarono anche i dolcetti: biscotti per me e una torta soffice per lei.

“E così ti mancavo ma non ti mancavo…” dissi quasi fra me e me.

Caterina arrossì, ma non disse nulla, prese la sua teiera, si versò un po’ di infuso nella tazza e respirò il vapore con occhi chiusi ed espressione godereccia. Poi mi guardò. Seria. Sguardo fermo su di me che facevo finta di nulla versandomi il tè a mia volta:

“Perché sei sparito?”

Avendo cura di non ricambiare il suo sguardo e con fare distratto, mentre giravo pigramente il mio infuso con un cucchiaino, risposi:

“Vuoi la verità?”
“Sì”
“Sicura?”
“Sì”
“Sai, spesso la gente pretende una risposta sincera salvo poi offendersi quando questa non è all’altezza delle aspettative. Quindi a volte, per quanto non mi piaccia, preferisco censurare la realtà, dare una risposta di comodo o rispondere quello che gli altri vogliono sentirsi dire…”
“Non ti ho chiesto se mi trovi ingrassata…”
“Ecco, nel tuo caso avrei risposto sinceramente un no, comunque hai centrato il punto…”
“Non stai rispondendo”
“Mi è difficile rispondere. La domanda traccia un bivio e la risposta può portarmi in territori inesplorati che potrebbero non piacermi affatto”
“Non piacerebbero nemmeno a me?”
“Penso di no. Però c’è una risposta, che magari non ti piacerebbe lo stesso, ma ci porterebbe su un percorso già abbondantemente mappato e sicuro, lasciandoci esattamente così come siamo.”
“Ma sarebbe sincera”
“Probabilmente no”
“Quindi devo scegliere fra due risposte che potrebbero non piacermi?”
“Sì… ”
"Ma che ne sai? È tutta una tua presunzione. Tu hai deciso che delle risposte potrebbero piacermi, altre no, altre non si sa... "
"Vero, ma anche tu avrai qualche idea su quello che vorresti che ti rispondessi e su quello che non ti piacerebbe"
"Forse... so cosa vorrei che mi dicessi, ma so che non lo dirai e non sono nemmeno sicura che mi piacerebbe... in fin dei conti mi mette un po' paura pensarci..."
"Quindi?"
“Quindi scelgo la risposta non di circostanza… quella più sincera… la verità insomma!”
“Pur tenendo in gran conto la tua preferenza, non è detto che invece a me vada di rischiare, in fondo una risposta di circostanza non avrebbe ripercussioni di nessun tipo”
“Quindi?”

Morsi un biscotto. Lo masticai lentamente. Lo assaporai (cristo se era buono!). Caterina mi guardava fisso, potevo vedere i suoi pensieri muoversi freneticamente, mentre con una mano nervosa disintegrava la tovaglietta di carta.

“È per colpa tua” risposi a bruciapelo, visto che tutti i miei tentativi di prendere tempo erano andati male

Decisi per la risposta più complicata. La verità. Senza censure. Cosa potevo rischiare? Un’ustione in faccia da tè bollente per poi non rivederla mai più? Non vederla più era proprio quello che tentavo di fare da un pezzo, quindi non rischiavo niente.

“Cosa?! Cos'è colpa mia?”
“Se sono scomparso”
“...”

fa sempre effetto lasciare qualcuno senza parole. E ammetto che in quella circostanza ci provai più gusto del solito.

“Ma cosa ti ho fatto?”
“Mi piaci. Mi piaci molto. Ho provato a far finta di nulla ma non ci riesco, quindi mi sono allontanato…”

Restammo in silenzio, ognuno concentrato sulla sua tazza e sul dolce.

“... e io che pensavo mi considerassi una cretina… e... e ora capisco anche perché Nib si comportava così quando gli chiedevo di te… e…” e sorrise.
“E… ?”
“...niente...”
“Ok, hai avuto la tua dose di verità, finiamoci la merenda e poi ognuno per la sua strada, in pace per quanto possibile...”
“Perché?”
“E me lo chiedi pure?”
“Non lo capisci?”
“Cosa devo capire?”
“Anche tu mi piaci”
“Rus vuxcvxjklhjjlhg sg lògzkg?” dissi così, giuro. E i pensieri in quel momento non erano affatto più limpidi.

CAPITOLO 21

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lunedì 26 settembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #19

Incontro
di occhi lucidi e risposte casuali

Era Caterina ed era trafelata.

“Ho fatto una super corsa! Tanto per cambiare ero in ritardissimo e ho perso l’autobus!”
“Ah”

Bella trovata, vero? “Ah” ma davvero non mi venne in mente altro? Ma vi pare possibile? Fra tutte le frasi fatte, le frasi lette nei libri, gli aforismi, i versi dei poeti, i testi di canzoni, le permutazioni casuali di vocaboli… niente di niente… aprii la bocca e feci uscire l’aria con la pressione necessaria a dire “Ah”.
“Come stai?” chiese, facendo finta di ignorare il mio “ah”.
“Che ci fai qui?”

Sì. Risposi ad una domanda con un’altra domanda. Quel che è peggio fu il tono fra il secco e il duro. Tipo il tono che aveva mio padre quando mi trovava dove non dovevo stare, ad esempio quando facevo sega a scuola ma lui rincasava in orari non convenzionali beccandomi in flagrante.

“Che ci fai qui?” uguale uguale. Sputato. Severo. Autoritario. Quell'autorità da signore d’altri tempi, tipo quegli uomini che usano vocaboli desueti, che portano la macchina all'autorimessa, che volano su un apparecchio, vanno al cinematografo e che, quando prendono il treno, salgono sulla vettura. Quella gente a cui sei portato a dare del lei rendendoti conto che è pure poco e che forse sarebbe più adeguato il coloro. Quelli che ti mettono soggezione solo per come posano lo sguardo su di te, come titani che scrutano le umane miserie. Quello era il tono di mio padre. Quello era il tono che usai con Caterina.
E dovetti usarlo bene, perché lei fece un passo indietro, intimidita, abbassando lo sguardo e mormorando “oddio mi sento così stupida….”

Io ero zitto, la guardavo, teso, imbarazzato.

“Io… io… volevo solo… solo vedere… sapere come stavi…” aggiungendo, quasi parlando da sola, a voce più bassa “ma che ci faccio qui?”
“Sono contento tu sia qui”

Mi stupii di sentirmelo dire, avrei voluto riprendere le parole nell’aria e rinfilarmele di corsa in bocca, masticarle e ingoiarle lettera per lettera e in velocità. “Ho fatto la cazzata” pensai e tutt’oggi rivedendomi la scena, la vedo al rallentatore, come durante un incidente d’auto quando il tempo sembra fermarsi.
Caterina alzò gli occhi su di me, mi guardò per la prima volta, occhi lucidi, mi abbracciò. In realtà mi si buttò quasi addosso. Mi strinse. Piano piano ricambiai l’abbraccio.

“Scusa” le dissi “sono stato un po’ brusco… ma mi hai preso un po’ di sorpresa…”

Lei mi lasciò.

“ehm… scusa… è che non ti fai più vedere da un sacco! Nessuno sa niente di te, tuo fratello fa finta di nulla e si arrampica sugli specchi, e io…. niente…. io… io mi sono preoccupata… e poi hai risposto come uno stronzo al messaggio di oggi… e mi preoccupo di più… e… e mi manchi… no, cioè, no… non intendo che mi manchi-manchi… ma un po’ sì... oddio sono un disastro…”

“no, ma che disastro. Vieni, andiamo a sederci da qualche parte, comodi e al coperto”

E ci incamminammo in silenzio. Almeno esteriormente. Dentro urlavo, ero nella confusione più totale, mi preparavo il discorso dei discorsi dandomi contemporaneamente dell’imbecille cercando di convincermi che la fuga fosse la risposta più adatta.

Capitolo 20

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lunedì 19 settembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #18


Caterina
di concubine, complicazioni e dilemmi

Risolta la situazione con Marta mi sentii quindi estremamente libero di interessarmi a Caterina.
Nel frattempo, infatti, avevamo comunque continuato a incontrarci con i rispettivi amici (miei e di Marta). Caterina era simpatica a tutti e collezionava oggetti trash a 360°. E quindi fu naturale iniziare ad invitarla alle successive uscite cercando di tagliar via sempre Marta e il resto dell'allegra brigata. C'era però un problema: Caterina era la concubina dell'Idiota.
Questo spiegava perché, a differenza degli altri evanescenti soggetti sponsorizzati da lui, Caterina fosse l'unica a ripresentarsi, sia pure ad intermittenza.

Era tutto decisamente più complicato per una serie di motivi che, stringendo stringendo, si riducevano a due:
1) uscire con Caterina implicava avere l'Idiota di mezzo
2) al tempo vedevo le donne impegnate come angeli asessuati.

All'inizio non sapevo che fare, prima provai a far finta di niente, era semplicemente una persona piacevole ma potevo sempre guardarmi attorno aspettando che la natura facesse il suo corso, l’Idiota fosse scaricato o magari l’arrivo di una preda più appetibile.

L'attesa fu vana.

Decisi di farmela passare, provai a non chiamare più né Caterina né l’Idiota ma ci pensavano sempre altri. Per inciso, è curioso quello che avviene nei gruppi di persone, alla fine ti abitui ad avere attorno anche gentaglia odiosa di cui nessuno riesce più a fare a meno. Nonostante non riscuotesse le simpatie di molti alla fine quasi tutti concordavano sul "ma dai, non possiamo non chiamare l'Idiota!"

Fallito anche il piano B.

Iniziai quindi a farmi vedere sempre più di rado. Mi ritirai pian pianino in eremitaggio. Lontana dagli occhi, lontana dal cuore. Giuro che ci credevo davvero! Non vacillai nemmeno quando Nib mi disse che sembravo quello che si era tagliato l'uccello per far dispetto alla moglie! Mi sentivo un monumento di integrità a tutto vantaggio della mia autostima. Finché un pomeriggio mi arrivò questo messaggio:
Ciao. Tutto bene? Mi preoccupo? Cat

Ulteriore fallimento. Prima di domandarmi se il destino stesse cercando di dirmi qualcosa, andai nel panico. Che fare?
Beh, tanto per cominciare memorizzai il numero. E poi? Che alternative potevo avere?
Tanto per cominciare avrei potuto non rispondere. Avrebbe pensato che non avessi ricevuto il messaggio, di averlo mandato al numero sbagliato, che non volevo rispondere o che non volevo rispondere a lei?

In realtà volevo rispondere. Ma come? Un laconico sì? O un drammaticissimo no? Optai per qualcosa di più verboso ma meno specifico con un
insomma, ma mi riprenderò.

Ne arrivò subito un altro:
:-( salute o altro?

I problemi si complicavano. Il fatto vero è che non sapevo più cosa volevo. Volevo mantenere il contatto? Volevo troncare tutti i rapporti? Entrambe le cose? Ci credevo? Non ci credevo? Decisi di vedere dove sarebbe arrivato lo scambio di messaggi e risposi "altro".

esci alle 5?
si. perché?

Non arrivarono altre risposte. Restai qualche minuto a fissare il display del telefono ma nulla di fatto. Arrivò l'ora di uscire. Presi l'ascensore, mi misi le cuffie nelle orecchie, passai il cartellino, superai il tornello, varcai il portone salutando il guardiano con la mano e una voce disse "ciao". Non era il guardiano. Era Caterina.

CAPITOLO 19

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lunedì 12 settembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #17


Email
di meriti e giri di giostra

Meritare. È facile dire "quella non ti merita" ma, stringendo, che vuol dire? C'è una tabella da qualche parte che stabilisce i meriti nei rapporti umani e sentimentali? C'è un qualche metro, una scala?

Forse è tutto in proporzione a quanto dai? Tipo, sei dai tanto, devi legittimamente ricevere molto. Ma anche il "dare tanto" mica mi ha mai convinto. I perché non contano? E soprattutto questo tanto è in una scala assoluta o relativa? Se uno dà poco, ma è il massimo che può fare, è sempre poco o diventa tantissimo? E se uno dà tanto esclusivamente per tornaconto, per calcolo.... tipo, vengo a prenderti, ti porto l'acqua nelle orecchie, ti porto a cena, scompaio quando devo scomparire, però me la dai? Vale? Cosa merita uno così? Tanto o poco?

Oppure è una questione tipo specchio-riflesso, se dai poco (qualsiasi cosa voglia dire) meriti poco (qualsiasi cosa voglia dire, purché sia la stessa cosa di prima). Quindi uno che dà tanto per calcolo merita pari trattamento, uno che dà poco ma è il massimo che può fare merita lo stesso e via così? Magari è solo qualcosa che si dice per consolare qualcuno a cui vuoi bene e non vuoi dirgli “quella è una merdaccia fregatene”.

Non lo so, la frase "lei non ti merita" mi resta comunque oscura. Forse perché non ho mai pensato di meritare qualcosa ma mi sono limitato a prendere quello che trovavo, valutando di volta in volta quello che l'altra persona aveva a disposizione per me.
Il punto con Marta era proprio questo, sul piatto c'era qualcosa che non mi andava a genio. Poco spazio e poco tempo. Giusto o sbagliato che fosse, ci stavo stretto e ci stavo male. Quando scegli una compagna devi sentirti parte dello stesso mondo (e con Marta questo non succedeva), nel momento in cui ti rendi conto che hai remore a presentarle i tuoi amici, i tuoi familiari e non ti trovi a tuo agio con i suoi, c'è un problema e presto o tardi i nodi arriveranno al pettine.

Se scopri che la carne ha un brutto odore è inutile cucinarla sperando che in qualche modo le cose migliorino. Personalmente la penso così, a prescindere dalla fame. Meglio un pacchetto di patatine a quel punto.

Così dopo un po' di tempo, durante l'ennesimo silenzio radar di Marta, vista l'impossibilità di parlarle, le scrissi quello che pensavo in una romanticissima email; uno sproloquio per giunta con un tono un po' piccato in cui il succo era "mi sono rotto le palle". Non si fece sentire per un mese. Poi mi chiese di andare in un pub. Nulla era cambiato, stessi discorsi, stesso atteggiamento, nessun accenno a quanto le avevo scritto, né alla nostra relazione o frequentazione. Serata piacevole. Soprattutto quando mi chiese di salire da lei perché doveva farmi vedere una cosa.

La coda della relazione fu un po' lunga: ci vedemmo altre volte e non ci facemmo mancare qualche giro di giostra in memoria dei tempi andati. Per fortuna, a quel punto tutto rimase nell'ambito ludico, nessuno prese in giro nessuno e forse era quello che Marta voleva fin dall'inizio.

Forse avevo travisato tutto io. Forse non ci eravamo capiti. Forse era davvero incasinata. Forse era solo stronza. Forse ero io ad essere un illuso. Non ne parlammo mai, nemmeno successivamente, quando ci incontrammo in un pub, con le vite decisamente su altri binari, e lei definì il modo in cui mi aveva trattato come il più grande errore della sua vita.

CAPITOLO 18


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lunedì 5 settembre 2016

LA RAZIONALITA' DEL COCCODRILLO #16


Mare
di ombrelloni, madri e pezzi

Lei era così. Spariva a botte di messaggi come "ho da fare in palestra, forse ti chiamo quando esco" oppure "devo vedere delle persone" oppure un laconico "faccio tardi". Poi tornava, si facevano fuoco e fiamme per un paio di giorni o magari per un pomeriggio e poi nessuna notizia per un po'.

Un giovedì marcammo entrambi ferie e andammo al mare. Per me andare al mare voleva dire uscire di casa in costume e sandali, portando un asciugamano e i soldi necessari per un panino e un gelato, raggiungere una spiaggia, lanciare l'asciugamano da qualche parte e passare la giornata preferibilmente in acqua. Arrivai quindi da lei in macchina e fu subito passione fin dalla provinciale, come nemmeno da adolescenti.
Al mare però lei si diresse ad uno stabilimento, dove acquistò per lei un ombrello e un lettino. Così, senza parlarne, senza chiedere, senza un confronto preventivo.

Ombrellone, sdraio e lettino sono per me un’immagine che mi rimanda alle vacanze dell’infanzia con mamma, papà e Nib. L’atto di acquistare l’ombrellone mi rimanda a mio padre, al capo famiglia che si prende cura della cucciolata. Un atto borghese da adulto ormai arrivato. Da adulto stanziale. Da vecchio, diciamo.

Per non far la figura del ragazzino dabbene presi una sdraio sacrificando i soldi del pranzo. La situazione mi turbava non poco ma lo tenni per me.

Passammo comunque delle belle ore (digiuno a parte), acqua fresca, cielo limpido, sole caldo, pochissima gente. Sembravamo una bella coppia. Lei mi disse che con me stava bene che fin dal giorno del concerto la facevo sentire al sicuro, che aveva parlato di me a sua madre (!).

Poi tornammo a casa, durante il tragitto in macchina andò tutto bene. Ci ascoltammo un disco dei Miss Pell che lei definì estremamente erotico facendomi pregustare una gran serata. Verso casa le chiesi cosa avrebbe preferito per la sera, se mangiare da lei, da me o andare da qualche parte. Mi rispose:

“Chi ti ha detto che ho voglia di passare la serata con te?"
"?"
"Credo di aver voglia di vedermi con delle mie amiche"
"Beh, sentile, possiamo andare..."
"Non mi hai sentito?"
"Sì, le amiche, chiamale"
"Tu cosa c'entri?"
"Sai, una coppia, di solito sta... in coppia"
"Siamo una coppia?"
"Penso di sì, siamo insieme..."
"Non stiamo insieme, questa è.... è una frequentazione"

La lasciai a casa e tornai alla base riflettendo su quell'informazione. O meglio, no, non rimuginavo ancora nulla, ero arrabbiato, tanto arrabbiato che la salutai a malapena e me ne andai.

A cena, sondai l'opinione di Nib:

"Se una definisse la vostra relazione col termine frequentazione cosa penseresti?"
"Parli di Marta?"
"No, in generale"
"Che si vuole divertire, e finché il balocco sono io ben venga"
"Tu e Carla vi frequentate?"
"È più complicato"
decisi di non approfondire la questione Carla e andai oltre
"E se una ti dice che ha parlato di te a sua madre?"
"Rischio di averla messa incinta?"
"Estremamente difficile"
"Allora vuol dire che è amore, roba forte!"
"E se una che ti frequenta parla di te a sua madre?"
"Non ci sta col cervello ed è meglio che scappi"
"Non ci sta col cervello più o meno di Viola?"
"È una bella lotta, mi sa che finiscono pari, ma, insomma, mi vuoi dire che è successo oggi?"

Gli raccontai tutto. Era basito.

"Quindi, questa prima ti salta addosso in macchina, poi in acqua, poi al ritorno ci riprova nemmeno fossi l'uomo del Mennen, e poi ti scarica come uno stronzo ma non prima di aver raccontato di quanto sei meraviglioso a sua madre?"
"sì, riassumendo è così"
"Hai fatto cilecca?"
"Non direi"
"Allora è matta”
“Quindi?”
“Quindi scappa. Oppure vuole solo trombare e racconta alla madre i dettagli, quindi è matta, quindi scappa. O magari è solo confusa, quindi scappa lo stesso. O semplicemente c'è un altro, tipo un ex con cui fa da mesi tira e molla, quindi è indecisa e coi sensi di colpi"
"Quindi scappo?"
"È un suggerimento da fratello maggiore"
"Fratello maggiore che si accontenta di una frequentazione anche se vorrebbe di più?"
"Lei non può darmi di più e mi accontento"
"Fai finta di accontentarti"
"Te l’ho detto, è complicato... e poi sono fatti miei, e poi mica sono io che sono venuto a chiedere il tuo parere"
"Quindi scappo?"
"Una così non ti merita e ti fa a pezzi. Che fosse strana s'era capito, ma così è troppo. E scommetto quello che vuoi che con le amiche non è uscita".


CAPITOLO 17